Credo che non ci sia stata casa italiana
nella quale non abbia corso sui pavimenti una lucidatrice Electrolux,
non ci sia stata una bottiglia di latte che non sia stata su una mensola
di un frigo bianco e sfolgorante della stessa marca. L’azienda fondata
nel 1910 a Stoccolma col nome di Elektromekaniska AB, per poi
cambiare in un Elektrolux ancora più futurista quando si unì alla Lux
nel 1919, assorbendo decine di aziende nel corso del tempo è il primo
produttore di elettrodomestici del continente con 22 impianti
produttivi, e detiene con i suoi marchi il 25% del mercato mondiale.
Produce in Europa oltre 21 mila lavoratori, oltre 8 mila dei quali nei
paesi dell’Est, ma anche in America Latina, con quasi 18 mila
dipendenti, in Africa con quasi 7.000 dipendenti, in Asia con 2.756
addetti.
Ha assorbito aziende e dipendenti ma ha
anche delocalizzato, piantando le sue bandierine sulla mappa della
domanda, ma soprattutto del costo del lavoro, vincendo molte battaglie
della guerra condotta contro diritti, garanzie e conquiste. Così oltre
ad esportare aspirapolvere e frigo, diffonde il verbo del ricatto grazie
a alcuni sui casi di successo, come la Polonia dove riesce a pagare un
salario medio di 7 euro l’ora, per non dire delle sedi africane o
asiatiche delle cui performance di sfruttamento poco sappiamo, se non
che rappresentano la vera aspirazione padronale.
Come suggerisce proprio oggi il
Simplicissimus, si sono create così le condizione, nello spirito del
tempo, di dettare nuove regole ai viziatissimi e incontentabili
dipendenti italiani degli impianti di Solaro, Pordenone, Porcia, Forlì e
Susegana, quei circa 5.715 lavoratori troppo assecondati nelle loro
dissipate abitudini e nelle loro spropositate richieste da arrendevoli
rappresentanze, coi loro salari principeschi, le feste pagate, le pause
da pascià, i permessi sindacali e perfino gli scatti di anzianità.
Il neo colonialismo e l’imperialismo
della cupola globale: grandi patrimoni, imprenditori e manager
disinteressati a produrre, alti dirigenti del sistema finanziario,
politici che intrecciano patti opachi con i proprietari terrieri dei
paesi emergenti, tycoon dell’informazione, quella classe capitalistica
transnazionale che domina il mondo e che rappresenta decine di trilioni
di dollari e di euro che per almeno l’80% sono costituiti dai nostri
risparmi dei lavoratori, non vogliono più scomodarsi a cercare un Terzo
Mondo lontano e ormai poco arrendevole, preferiscono ricrearlo vicino o
dentro casa, comminando pene e ricatti, impartendo lezioni di una
pedagogia che dovrebbe ammaestrare ad accettare qualsiasi condizione per
garantirsi l’unico diritto, quello di faticare.
Gli imperturbabili killer svedesi hanno
soprannominato soavemente il loro diktat feroce “piano per salvare le 4
fabbriche”, pensando forse alle mura dei tetri opifici, che quello è
decisamente un piano per affondare certezze, diritti, conquiste, lavoro,
dignità e sopravvivenza. La proposta comporta un taglio dei salari
così drastico che l’attuale media di 1400 euro al mese si dimezzerebbe o
quasi, a circa 700-800 euro, cioè una cifra paragonabile all’assegno
della cassa integrazione. Avanza l’ipotesi di “raffreddare – si sa è
gente del nord cha costruisce frigo – l’effetto inflattivo del costo
del lavoro, responsabile del continuo accrescere del gap competitivo con
i paesi dell’est Europa, attraverso il congelamento per un triennio
degli incrementi del contratto collettivo nazionale di lavoro e degli
scatti di anzianità”. Ma non basta, proporrebbe anche un taglio
dell’80% dei 2700 euro di premio aziendali, la riduzione delle ore
lavorate a 6, il blocco dei pagamenti delle festività, la riduzione di
pause e permessi sindacali (-50%) e lo stop agli scatti di anzianità.
Restrizioni. Non si parla, forse per un residuo pudore, dell’obbligo di
remare nelle galee che attraversano il Mare del Nord o di costruire
piramidi, nemmeno di punizioni corporali, ipotesi riservate a altre fasi
negoziali.
Solo a queste condizioni, avrebbero detto
gli svedesi, gli stabilimenti di Susegana, Porcia, Solaro e Forlì
sopravviverebbero, mentre se il piano fosse respinto il gruppo
bloccherebbe gli investimenti in Italia.
Eh si, clima da grande Nord e stiamo
freschi infatti se il ministro Zanonato chiamato in causa dai sindacati
ha messo le mani avanti: «I prodotti italiani nel campo
dell’elettrodomestico sono di buona qualità ma risentono dei costi
produttivi, soprattutto per quanto riguarda il lavoro, che sono al di
sopra di quelli che offrono i nostri concorrenti. E’ necessario dunque
ridurre i costi di produzione, in Italia c’è un problema legato
all’esigenza di ridurre il costo del lavoro». Come a mettere le
premesse per un disonorevole compromesso, nel quale a cedere alla
minaccia del cappio saranno inevitabilmente i lavoratori
dell’Electrolux, prima, simbolici capri espiatori, ma poi tutti gli
altri una volta creato l’esemplare precedente.
Il ricatto ormai è il più efficace
sistema di governo planetario. Il Italia ha avuto vari sacerdoti che
hanno con successo officiato le sue liturgie a Torino, Pomigliano,
Taranto, eccetera eccetera. E sono tutti, imprenditori e manager
interessati solo a accontentare un azionariato sempre più avido intento a
investire in giochi d’azzardo finanziari, a sfruttare i fondi pagati
dai loro stessi dipendenti, a grattare via quel che si può e ancora
resta dei sempre più magri aiuti pubblici, a intrecciare accordi
delinquenziali con la criminalità per spartirsi appalti per opere
irrealizzate e irrealizzabili, promossi, favoriti, sponsorizzati e
propagandati da un ceto correo, politici, economisti (ammesso che voglia
dire qualcosa), commentatori, opinionisti, sociologi, quegli stessi che
hanno visto nelle vertenze di Mirafiori e Pomigliano, nell’infame
referendum che ha segnato come un marchio la fine della solidarietà tra
lavoratori e l’inizio della solitudine di chi vuol resistere, come la
necessaria pièce de rèsistence di un padronato interessato a “riavviare
la crescita” applicando le regole dell’austerità, quindi la
sregolatezza, la precarietà, l’arbitrarietà, l’inganno, il dileggio
delle leggi e delle sentenze, il dispetto alla dignità e alle conquiste
del lavoro, la cancellazione del lavoro stesso in favore della servitù.
Tra qualche giorno cade un altro giorno
della memoria, i 220 anni del primo atto per l’abolizione della
schiavitù nelle colonie, firmato dall’Assemblea Costituente. Ma giusto
per l’anniversario è probabile che venga firmato un nuovo atto ufficiale
per la sua reintroduzione nelle colonie dell’impero del male globale.
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