mercoledì 29 gennaio 2014

Electrolux …. ed è subito Polonia


Senlis_(Oise),_zone_industrielle,_ElectroluxAnna Lombroso per il Simplicissimus
Credo che non ci sia stata casa italiana nella quale non abbia corso sui pavimenti una lucidatrice Electrolux, non ci sia stata una bottiglia di latte che non sia stata su una mensola di un frigo bianco e sfolgorante della stessa marca. L’azienda  fondata nel 1910 a Stoccolma  col nome  di  Elektromekaniska AB, per poi cambiare in un Elektrolux ancora più futurista quando si unì alla Lux nel  1919, assorbendo decine di aziende nel corso del tempo  è il primo produttore di elettrodomestici del continente con 22 impianti produttivi, e detiene con i suoi marchi il 25% del mercato mondiale.  Produce in Europa oltre 21 mila lavoratori, oltre 8 mila dei quali nei paesi dell’Est, ma anche in America Latina, con quasi 18 mila dipendenti,  in Africa con quasi 7.000 dipendenti, in Asia con 2.756 addetti.
Ha assorbito aziende e dipendenti ma ha anche delocalizzato, piantando le sue bandierine sulla mappa  della  domanda, ma soprattutto del costo del lavoro, vincendo molte battaglie della guerra condotta contro diritti, garanzie e conquiste. Così oltre ad esportare aspirapolvere e frigo, diffonde il verbo del ricatto grazie a alcuni sui casi di successo, come la Polonia dove riesce a pagare un salario medio di 7 euro l’ora, per non dire delle sedi africane o asiatiche delle cui performance di sfruttamento poco sappiamo, se non che rappresentano la vera aspirazione padronale.
Come suggerisce proprio oggi il Simplicissimus, si sono create così le condizione,  nello spirito del tempo, di dettare nuove regole ai viziatissimi e incontentabili dipendenti italiani degli impianti  di Solaro, Pordenone, Porcia, Forlì e Susegana, quei circa 5.715 lavoratori troppo assecondati nelle loro dissipate abitudini e nelle loro spropositate richieste da arrendevoli rappresentanze, coi loro salari principeschi, le feste pagate, le pause da pascià, i permessi sindacali e perfino gli scatti di anzianità.
Il neo colonialismo e l’imperialismo della cupola globale: grandi patrimoni, imprenditori e manager disinteressati a produrre, alti dirigenti del sistema finanziario, politici che intrecciano patti opachi con i proprietari terrieri dei paesi emergenti, tycoon dell’informazione, quella classe capitalistica transnazionale che domina il mondo  e che rappresenta decine di trilioni di dollari e di euro che per almeno l’80% sono costituiti dai nostri risparmi dei lavoratori, non vogliono più scomodarsi a cercare un Terzo Mondo lontano e ormai poco arrendevole, preferiscono ricrearlo vicino o dentro casa,  comminando pene e ricatti, impartendo lezioni di una pedagogia che dovrebbe ammaestrare ad accettare qualsiasi condizione per garantirsi l’unico diritto, quello di faticare.
Gli imperturbabili killer svedesi hanno soprannominato soavemente  il loro diktat feroce “piano per salvare le 4 fabbriche”, pensando forse alle mura dei tetri opifici, che quello è decisamente un piano per affondare certezze, diritti, conquiste, lavoro, dignità e sopravvivenza.  La proposta comporta un taglio dei salari così drastico che l’attuale media di 1400 euro al mese si dimezzerebbe o quasi, a circa 700-800 euro, cioè una cifra paragonabile all’assegno della cassa integrazione.  Avanza l’ipotesi di “raffreddare – si sa è gente del nord cha costruisce frigo –  l’effetto inflattivo del costo del lavoro, responsabile del continuo accrescere del gap competitivo con i paesi dell’est Europa, attraverso il congelamento per un triennio degli incrementi del contratto collettivo nazionale di lavoro e degli scatti di anzianità”.  Ma non basta, proporrebbe  anche  un taglio dell’80% dei 2700 euro di premio aziendali, la riduzione delle ore lavorate a 6, il blocco dei pagamenti delle festività, la riduzione di pause e permessi sindacali (-50%) e lo stop agli scatti di anzianità. Restrizioni. Non si parla, forse per un residuo pudore, dell’obbligo di remare  nelle galee che attraversano il Mare del Nord  o di costruire piramidi, nemmeno di punizioni corporali, ipotesi riservate a altre fasi negoziali.
Solo a queste condizioni, avrebbero detto gli svedesi, gli stabilimenti di Susegana, Porcia, Solaro e Forlì sopravviverebbero, mentre se il piano fosse respinto il gruppo bloccherebbe gli investimenti in Italia.
Eh si, clima da grande Nord e stiamo freschi infatti se il ministro Zanonato chiamato in causa dai sindacati ha messo le mani avanti: «I prodotti italiani nel campo dell’elettrodomestico sono di buona qualità ma risentono dei costi produttivi, soprattutto per quanto riguarda il lavoro, che sono al di sopra di quelli che offrono i nostri concorrenti. E’ necessario dunque ridurre i costi di produzione, in Italia c’è un problema legato all’esigenza di ridurre il costo del lavoro».  Come a mettere le premesse per un disonorevole compromesso, nel quale a cedere alla minaccia del cappio saranno inevitabilmente i lavoratori dell’Electrolux, prima, simbolici capri espiatori, ma poi tutti gli altri una volta creato l’esemplare precedente.
Il ricatto ormai è il più efficace sistema di governo planetario. Il Italia ha avuto vari sacerdoti che hanno con successo officiato le sue liturgie a Torino, Pomigliano, Taranto, eccetera eccetera. E sono tutti, imprenditori e manager interessati solo a accontentare un azionariato sempre più avido intento a investire in giochi d’azzardo finanziari, a sfruttare i fondi pagati dai loro stessi dipendenti, a grattare via quel che si può e ancora resta dei sempre più magri aiuti pubblici, a intrecciare accordi delinquenziali con la criminalità per spartirsi appalti per opere irrealizzate e irrealizzabili, promossi, favoriti, sponsorizzati e propagandati da un ceto correo, politici, economisti (ammesso che voglia dire qualcosa), commentatori, opinionisti, sociologi, quegli stessi che hanno visto nelle vertenze di Mirafiori e Pomigliano, nell’infame referendum che ha segnato come un marchio la fine della solidarietà tra lavoratori e l’inizio della solitudine di chi vuol resistere,  come la necessaria pièce de rèsistence di un padronato interessato a “riavviare la crescita” applicando le regole dell’austerità, quindi la sregolatezza, la precarietà, l’arbitrarietà, l’inganno, il dileggio delle leggi e delle sentenze, il dispetto alla dignità e alle conquiste del lavoro, la cancellazione del lavoro stesso in favore della servitù.
Tra qualche giorno cade un altro giorno della memoria, i 220 anni del primo atto per l’abolizione della schiavitù nelle colonie, firmato dall’Assemblea Costituente. Ma giusto per l’anniversario è probabile che venga firmato un nuovo atto ufficiale per la sua reintroduzione nelle colonie dell’impero del male globale.

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