Altro che sistema spagnolo. Da queste convulse trattative rischia di venir
fuori una fotocopia del Porcellum. Con modifiche minime all’impianto che la
Consulta ha appena bocciato e con il reiterato scippo ai cittadini, che
verrebbero privati ancora di ogni possibilità di scelta dei deputati. Ci
auguriamo davvero che ciò non accada.
Che nei prossimi due giorni, prima della direzione Pd, ci sia un colpo d’ala. Perché dalle indiscrezioni raccolte a margine degli incontri, dalle confidenze dei leader e dei loro sherpa, emerge un quadro preoccupante. Con che faccia la politica può ripresentarsi ai cittadini se l’intesa esclude sia i collegi uninominali-maggioritari che le preferenze? Verrebbe da gridare l’allarme: ma è prudente attendere il testo nero su bianco, perché in questa materia anche i minimi dettagli possono risultare molto rilevanti.
Cosa sta accadendo? Come base di partenza del negoziato è stato scelto, dalla triade renziana, l’ipotesi pseudo-spagnola. A dire il vero, come ha spiegato Gianfranco Pasquino ieri su questo giornale, la parentela con il sistema in vigore in Spagna era già alla lontana nello schema basico. Poi, la trattativa ha ulteriormente affievolito i legami. Nella proposta originaria di Renzi le micro-circoscrizioni (4-5 seggi al massimo) fissavano una soglia di sbarramento implicita attorno al 15%. I tre partiti maggiori sarebbero stati tutti premiati, quelli intermedi sarebbero rimasti fuori dal Parlamento e avrebbero ricevuto uno straordinario incentivo le liste locali, territoriali, secessioniste.
Ovviamente, la prospettiva di un’esclusione degli attuali partner della maggioranza che sostiene Letta, porterebbe inesorabilmente alla caduta del governo. E Renzi si troverebbe di fronte all’alternativa: andare al voto subito con questa legge proporzionale (una catastrofe per la credibilità delle istituzioni) oppure fare subito un nuovo governo con Berlusconi (per di più in posizione stavolta determinante).
La trattativa, insomma, non poteva non aprirsi alle forze minori. Il negoziato però sembra andare in una pessima direzione. Da un lato sarebbe stato eliminato il fondamento stesso del sistema spagnolo, cioè la ripartizione dei seggi all’interno delle piccole circoscrizioni senza recupero nazionale, dall’altro sarebbero stati reintrodotti gli sbarramenti previsti dal vecchio Porcellum, e di conseguenza anche le coalizioni preventive (quelle che servono a vincere le elezioni, e poi a sfasciare successivamente i governi). Ma il ripristino del collegio unico nazionale per la ripartizione dei seggi e della duplice soglia d’ingresso in Parlamento (4% per chi è in coalizione, 8% per chi è fuori dalla coalizione) ci conduce a una vera e propria fotocopia del Porcellum. Compreso il furto del diritto di eleggere i deputati: con la ripartizione nel collegio unico nazionale, infatti, le circoscrizioni piccole sono solo uno specchio per le allodole, anzi, un modo fraudolento per aggirare l’incostituzionalità di un Parlamento interamente «nominato» dai leader di partito. Le liste si presenterebbero peraltro, come nel Porcellum, alleate tra loro al fine di conquistare il premio di maggioranza (questo è stato il marcio del ventennio, il moltiplicatore del trasformismo e dell’instabilità, insomma la più grande beffa agli elettori, ai quali era stato promesso di diventare arbitri delle alleanze). Il vantaggio rispetto al passato sarebbe l’eliminazione dei partiti-micro: chi non supera il 4% viene spazzato via senza possibilità di ripescaggio. E l’altro vantaggio, rispetto alla proposta originaria di Renzi, è che lo sbarramento si alzerebbe in modo significativo nei confronti delle liste territoriali e dei capataz locali: un vero sistema spagnolo trasportato in Italia rischierebbe di disgregare ciò che resta dell’idea nazionale di rappresentanza.
Bisogna ancora stabilire, invece, a quale soglia scatterà il premio di maggioranza.
Renzi spinge per portarla sotto il 40%, vicino al 35. Ma la sentenza della Corte è severa: un premio di venti punti innestato in un sistema che, con le correzioni, diventerebbe più proporzionale non si giustifica e si scontrerebbe con quel giudizio di irragionevolezza ripetutamente espresso nelle motivazioni.
A proposito di incostituzionalità, una volta aggirate le piccole circoscrizioni con il collegio unico nazionale, il rischio è altissimo per le liste bloccate (la Consulta ha scritto che liste bloccate e premio sono incompatibili perché così la scelta dei parlamentari «viene totalmente rimessa ai partiti»). Ma, soprattutto per ragioni etiche, non vogliamo neppure pensare che si approvi una legge in cui i cittadini siano privati sia dei collegi uninominali che delle preferenze. Certo, sarebbero preferibili i collegi uninominali-maggioritari, magari all’interno di un buon sistema misto. Ma se il Pd si trovasse isolato su questa proposta, non può comunque accettare lo scippo agli elettori: si vota con le preferenze nei Comuni, nelle Regioni, per l’Europarlamento.
Sarebbe insensato che la sola assemblea dove i cittadini vengono esclusi sia il Parlamento nazionale.
Ancora c’è qualche ora di tempo. Si era aperta la possibilità, per la prima volta, di un consenso maggioritario attorno alla proposta storica del Pd: il doppio turno. Non piaceva a Berlusconi e Grillo, ma aveva il consenso della coalizione che sostiene Letta.
Può darsi che Renzi l’abbia rifiutata perché non vuole cambiare la legge elettorale con una maggioranza risicata (ma fare una pessima legge con una maggioranza larga è anch’esso disdicevole).
Se invece l’obiezione di Renzi al doppio turno si fonda sul temuto condizionamento delle coalizioni preventive (che confliggono con un sistema fondato su partiti grandi e a vocazione maggioritaria), il rischio è che il nuovo Porcellum spagnoleggiante riproduca tutti questi difetti.
Per dare al nostro sistema parlamentare la stabilità che gli manca, servono due cose, che non hanno a che fare con la legge elettorale: la prima è il rapporto di fiducia con il governo affidato ad una sola Camera (e questo Renzi lo ha ben chiaro); la seconda è la sfiducia costruttiva, come in Germania e come in Spagna (ma questo manca ancora dalle proposte del Pd).
Che nei prossimi due giorni, prima della direzione Pd, ci sia un colpo d’ala. Perché dalle indiscrezioni raccolte a margine degli incontri, dalle confidenze dei leader e dei loro sherpa, emerge un quadro preoccupante. Con che faccia la politica può ripresentarsi ai cittadini se l’intesa esclude sia i collegi uninominali-maggioritari che le preferenze? Verrebbe da gridare l’allarme: ma è prudente attendere il testo nero su bianco, perché in questa materia anche i minimi dettagli possono risultare molto rilevanti.
Cosa sta accadendo? Come base di partenza del negoziato è stato scelto, dalla triade renziana, l’ipotesi pseudo-spagnola. A dire il vero, come ha spiegato Gianfranco Pasquino ieri su questo giornale, la parentela con il sistema in vigore in Spagna era già alla lontana nello schema basico. Poi, la trattativa ha ulteriormente affievolito i legami. Nella proposta originaria di Renzi le micro-circoscrizioni (4-5 seggi al massimo) fissavano una soglia di sbarramento implicita attorno al 15%. I tre partiti maggiori sarebbero stati tutti premiati, quelli intermedi sarebbero rimasti fuori dal Parlamento e avrebbero ricevuto uno straordinario incentivo le liste locali, territoriali, secessioniste.
Ovviamente, la prospettiva di un’esclusione degli attuali partner della maggioranza che sostiene Letta, porterebbe inesorabilmente alla caduta del governo. E Renzi si troverebbe di fronte all’alternativa: andare al voto subito con questa legge proporzionale (una catastrofe per la credibilità delle istituzioni) oppure fare subito un nuovo governo con Berlusconi (per di più in posizione stavolta determinante).
La trattativa, insomma, non poteva non aprirsi alle forze minori. Il negoziato però sembra andare in una pessima direzione. Da un lato sarebbe stato eliminato il fondamento stesso del sistema spagnolo, cioè la ripartizione dei seggi all’interno delle piccole circoscrizioni senza recupero nazionale, dall’altro sarebbero stati reintrodotti gli sbarramenti previsti dal vecchio Porcellum, e di conseguenza anche le coalizioni preventive (quelle che servono a vincere le elezioni, e poi a sfasciare successivamente i governi). Ma il ripristino del collegio unico nazionale per la ripartizione dei seggi e della duplice soglia d’ingresso in Parlamento (4% per chi è in coalizione, 8% per chi è fuori dalla coalizione) ci conduce a una vera e propria fotocopia del Porcellum. Compreso il furto del diritto di eleggere i deputati: con la ripartizione nel collegio unico nazionale, infatti, le circoscrizioni piccole sono solo uno specchio per le allodole, anzi, un modo fraudolento per aggirare l’incostituzionalità di un Parlamento interamente «nominato» dai leader di partito. Le liste si presenterebbero peraltro, come nel Porcellum, alleate tra loro al fine di conquistare il premio di maggioranza (questo è stato il marcio del ventennio, il moltiplicatore del trasformismo e dell’instabilità, insomma la più grande beffa agli elettori, ai quali era stato promesso di diventare arbitri delle alleanze). Il vantaggio rispetto al passato sarebbe l’eliminazione dei partiti-micro: chi non supera il 4% viene spazzato via senza possibilità di ripescaggio. E l’altro vantaggio, rispetto alla proposta originaria di Renzi, è che lo sbarramento si alzerebbe in modo significativo nei confronti delle liste territoriali e dei capataz locali: un vero sistema spagnolo trasportato in Italia rischierebbe di disgregare ciò che resta dell’idea nazionale di rappresentanza.
Bisogna ancora stabilire, invece, a quale soglia scatterà il premio di maggioranza.
Renzi spinge per portarla sotto il 40%, vicino al 35. Ma la sentenza della Corte è severa: un premio di venti punti innestato in un sistema che, con le correzioni, diventerebbe più proporzionale non si giustifica e si scontrerebbe con quel giudizio di irragionevolezza ripetutamente espresso nelle motivazioni.
A proposito di incostituzionalità, una volta aggirate le piccole circoscrizioni con il collegio unico nazionale, il rischio è altissimo per le liste bloccate (la Consulta ha scritto che liste bloccate e premio sono incompatibili perché così la scelta dei parlamentari «viene totalmente rimessa ai partiti»). Ma, soprattutto per ragioni etiche, non vogliamo neppure pensare che si approvi una legge in cui i cittadini siano privati sia dei collegi uninominali che delle preferenze. Certo, sarebbero preferibili i collegi uninominali-maggioritari, magari all’interno di un buon sistema misto. Ma se il Pd si trovasse isolato su questa proposta, non può comunque accettare lo scippo agli elettori: si vota con le preferenze nei Comuni, nelle Regioni, per l’Europarlamento.
Sarebbe insensato che la sola assemblea dove i cittadini vengono esclusi sia il Parlamento nazionale.
Ancora c’è qualche ora di tempo. Si era aperta la possibilità, per la prima volta, di un consenso maggioritario attorno alla proposta storica del Pd: il doppio turno. Non piaceva a Berlusconi e Grillo, ma aveva il consenso della coalizione che sostiene Letta.
Può darsi che Renzi l’abbia rifiutata perché non vuole cambiare la legge elettorale con una maggioranza risicata (ma fare una pessima legge con una maggioranza larga è anch’esso disdicevole).
Se invece l’obiezione di Renzi al doppio turno si fonda sul temuto condizionamento delle coalizioni preventive (che confliggono con un sistema fondato su partiti grandi e a vocazione maggioritaria), il rischio è che il nuovo Porcellum spagnoleggiante riproduca tutti questi difetti.
Per dare al nostro sistema parlamentare la stabilità che gli manca, servono due cose, che non hanno a che fare con la legge elettorale: la prima è il rapporto di fiducia con il governo affidato ad una sola Camera (e questo Renzi lo ha ben chiaro); la seconda è la sfiducia costruttiva, come in Germania e come in Spagna (ma questo manca ancora dalle proposte del Pd).
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