Era prevedibile ma vederlo realizzato è cosa che fa piacere: la
candidatura di Tsipras a Presidente della Commissione Europea catalizza
su di sé attenzione e consensi. Se ne parla su tutti i giornali
europei, da Le Monde al Guardian, tra l’altro in un Paese come
l’Inghilterra dove non c’è nemmeno una formazione politica che faccia
riferimento a lui. Ma sta anche sulle pagine del New York Times. E il
sostegno gli arriva da ambienti politici e culturali vasti e variegati,
da Balibar a Negri.Si dirà che si tratta di un ennesima versione della
personalizzazione della politica, dominante in questa era di “politica
debole”. Certo, anche questo è un rischio. Ma se guardiamo bene a ciò
che ha dato forza alla sua figura, troveremo tratti del tutto diversi da
quelli che abbiamo imparato a conoscere. Tsipras è fuori da molte delle
categorie di questi pessimi anni. Non è un “vincente”, in quanto al
contrario è espressione di un popolo non solo sconfitto ma anche
colpevolizzato oltre misura. E infatti non è neanche un giustiziere
proprio perché i giustizieri sono quelli della Troika che colpiscono con
la spada sacra dell’austerità. Non è un venuto da “fuori” perché la sua
storia è quella, travagliata e drammatica, della sinistra greca.
Certo è giovane, e questo è bene, ma mi pare che ormai si stia
palesando come anche questa condizione non sia esente da altre
attribuzioni valoriali. In realtà Alexis è, in parte almeno, un “ritorno
all’antico” cioè a quella connessione sentimentale tra una dimensione
collettiva e una figura carismatica che ha rappresentato una condizione
importantissima della funzione storica delle sinistre. Tanto più, e
meglio, quando è stata capace di nutrire questa connessione con una
politica condivisa e partecipata, consapevolmente agita. Lui dice di sé
da aver imparato molto da Genova, e lo si vede. La sua lotta è una lotta
di popolo che però vive in una dimensione generale; la sua formazione
politica si è fatta partito rendendosi nel contempo agente sociale di
resistenza; la sua dimensione è, appunto, la resistenza, dalla quale
tentare l’”assalto al cielo” del governo e non il governo come surrogato
della resistenza.La cosa che a me pare positiva del consenso che gli
sta arrivando è proprio che una parte almeno di questa dimensione che un
tempo avremmo definito politica viene percepita.
Non un leader salvifico ma una possibilità politica, incarnata in una
leadership e in un sistema di forze. Per altro la sfida della
dimensione europea chiama necessariamente ad una assunzione di
responsabilità diretta. Tsipras non cambia l’Europa da solo ma chiede
sostegno alla lotta del suo popolo e chiede che questo sostegno nasca
dal rafforzare ciascuno la propria lotta.Per questo leggere gli elementi
politici che Tsipras porta con sé è importante, ancor di più nel
momento in cui si pensa di sostenerlo o, ancora meglio, di condividere
la sua battaglia. Ci sono due errori speculari che andrebbero entrambi
evitati. Una lettura settaria, per cui c’è un bollino DOC di
appartenenza al club Tsipras. All’opposto un suo uso strumentale che
prova ad appropriarsene a prescindere da quello che è il suo messaggio
politico. Per altro entrambe questi due comportamenti avrebbero
l’effetto di vanificare ogni azione positiva
Il successo della candidatura di Tsipras mostra già di per sé quale
l’elemento, e il contesto, politico in cui si realizza. E’ quello di
apparire, ed essere, con tutta evidenza l’unica alternativa a questa
“Europa reale” che si manifesta a sinistra. Non solo, Tsipras dimostra
che ci può essere una sinistra che si ponga, e sia percepita, come tale.
Di fronte a lui la candidatura di Schultz è impallidita. E per altro ha
assunto una sembianza assolutamente diversa da quando si è costruita la
nuova grande coalizione in Germania e lui ne rappresenta comunque una
espressione. Per altro che questa grande coalizione fosse assai
prevedibile è del tutto evidente se si pensa a come la Spd abbia
accompagnato tutte le politiche della Merkel. E che Schultz sia interno a
tutto ciò era anche questo un dato disponibile visto che è ora
Presidente del Parlamento Europeo in staffetta e con i voti dei
Popolari. Non è pensiero astruso quello che immagina analoga
possibilità, staffetta e condivisione del voto tra socialisti e
popolari, per la Presidenza della Commissione. Non è scontato, perché
mai la politica lo è, ma l’ostacolo a che ciò si realizzi non passa per
Schultz ma, almeno in parte, per Tsipras. Per altro la condizione di
Schultz non appartiene solo a lui, e al suo essere tedesco. Appartiene,
purtroppo, all’insieme del Socialismo Europeo. Tutti i comportamenti
fondamentali di questo aggregato politico sono stati interni ai diktat
dell’Europa reale. Vale per i voti al Parlamento Europeo e vale per i
comportamenti nazionali, dal Pasok all’Spd ad Hollande che arriva ora a
risposare le più trite teorie neoliberali.
Non a caso dunque la candidatura di Tsipras nasce da fuori, e in
alternativa, al socialismo europeo. Non per ragioni ideologiche, e
settarie, ma per le condizioni materiali. Nasce infatti in ciò che si è
ricostruito di una sinistra alternativa all’austerità e si diffonde
negli ambiti più vasti che, per fortuna, questa lotta all’austerità la
fanno. Così come la lotta di Syriza guarda al governo ma non ne fa
l’elemento identitario. L’elemento identitario è l’alternativa
all’austerità. La collocazione politica è la resistenza. Il governo è un
terreno di lotta che chiede di cambiare l’intera Europa. E’ bene
ricordare che Syriza ha subito uno scissione, quella di Dimar, Sinistra
Democratica, consumata proprio sull’idea di quest’ultima di mettere al
centro il rapporto col Pasok e quello col Governo. Conosciamo gli esiti
di questa scissione, ridotta a piccolo partito e fallita nell’esperienza
di governo. Mentre yriza faceva un balzo storico.
Ho detto queste cose per aiutarci a leggere anche la situazione
italiana. Anche da noi, che viviamo una condizione devastata, la
candidatura di Tsipras sta suscitando un’eco vasta e conseguenze
politiche che potrebbero essere di rilievo. L’appello per una lista che
lo appoggi, proposto tra gli altri da una figura di grande spessore come
Barbara Spinelli, e che io ho sottoscritto, ha il merito di una lettura
pienamente politica della sua candidatura, del contesto in cui matura e
della prospettiva in cui collocarla. Contro l’Europa reale ma per
un’altra Europa; contro le grandi intese che ne sono la condizione
attuale; per una collocazione parlamentare, quella nel Gue, che
corrisponda al dato di fatto non solo della collocazione di Tsipras ma
di ciò che è la realtà politica dei comportamenti avuti rispetto
all’austerità. Si può essere contro l’austerità ma stare con chi l’ha
votata?
Il punto, per altro, non è solo di collocazione simbolica ma di
lettura della realtà e di investimento sul futuro. Lo dico in
particolare rispetto a chi ha fatto del “riaprire la partita” e del
farlo attraverso il rapporto col PD e il governo elemento quasi
identitario. A me questa impostazione pare ampiamente falsificata dai
fatti. E’ materia sensibile perché oggetto della discussione di un corpo
politico, quello di Sel, cui ho brevemente appartenuto, e che rispetto.
Ma è anche materia che deve appartenere a tutti noi in una discussione
pubblica che ci dobbiamo vista la situazione cui siamo arrivati. Che a
me pare tra le più gravi in Europa. Dove il principale erede di quello
che fu il Pci arriva ora con Renzi segretario a compiere due gesti
insieme: entrare nel Partito socialista europeo e sferrare il più grave
attacco alla democrazia rappresentativa che si sia avuto in questi anni
di maggioritario. O si pensa che questi due gesti siano schizofrenici o
se ne legge il contesto comune. E il contesto è appunto quello della
costituente dell’Europa reale, quella dove il governo si fa governance,
la rappresentanza è circoscritta e l’alternativa bandita. E dove i
principali soggetti politici sono sussunti ad apparati. Si dirà che ci
sono momenti di resistenza anche interni a questi soggetti, e in
particolare al Pse, ed è sicuramente vero. Ma ciò che è ancora più vero è
che sono sempre più circoscritti ed inefficaci mentre il trend va in
un’altra direzione. E che sempre più l’accento si sposta necessariamente
su ciò che è fuori dal recinto anche per liberare chi ci è rimasto
dentro.
Se pensiamo alla parabola italiana la cosa appare assolutamente
evidente. Affidare al governo e al rapporto col Pd il rilancio della
sinistra e il cambiamento del Paese ha portato all’esatto contrario. Il
governo ha agito ed agisce in piena sintonia europea, il Pd è arrivato
da Bersani alla metamorfosi definitiva del renzismo, senza per altro
dare segni di una vera resistenza interna, la sinistra è restata
inefficace socialmente e politicamente ed ora è definitivamente
minacciata dalla vergognosa riforma renzianberlusconiana. Si ha un bel
dire che la colpa è di Grillo, del moderatismo o del settarismo. Se
politica è previsione e organizzazione di forze per affrontare ciò che
si pensa accada e per andare in una certa direzione, su tutti e tre i
punti non si può sfuggire alla prova dei fatti. Né si possono rincorrere
eventi e persone magari affermando un giorno che con Renzi si sente il
profumo della Leopolda per poi scoprire Tsipras ma pensando di poter
continuare a stare dove si stava e a riprovare le stesse cose. Il mio
discorso vuole essere l’opposto del settarismo proprio perché cerca il
linguaggio della verità. Tsipras è l’idea della ricostruzione di un
campo di forze, di una visione delle cose e di una prospettiva autonoma e
alternativa a quelle esistenti. Quel campo di forze, quella
collocazione non sono una gabbia ma una opportunità. Pensare che Tsipras
sia forte non per quello che è ma malgrado quello che è, è ancor più
che una presunzione immotivata data la differenza delle forze tra noi e
lui, un errore. Come è un errore guardare a quelle forze, quelle fuori
dal recinto e da Bisanzio, come residui di un passato lontano quando
sono assai più primi embrioni di una nuova realtà. Certo tutta da
ricostruire, con una cassetta degli attrezzi del tutto nuova, ma
decisiva e possibile.
Troppo tempo per altro si è perso. Dopo Genova non abbiamo saputo
percorrere veramente quella strada. Ma anche dopo le sconfitte ci si è
riorganizzati secondo vecchi percorsi. Quando sento oggi parlare di
terre di mezzo penso a come ancora qualche anno fa questa definizione
aveva un senso. Questo prima che la gelata dell’austerità e della troika
tagliasse ponti e seccasse i germogli. Un conto erano i socialisti
prima dell’austerità altro sono oggi, per le loro responsabilità ma
anche per ciò che li ha resi essersele assunte. E discorsi diversi ma
con elementi di analogia valgono anche per i verdi. Ad averla praticata a
tempo quella terra di mezzo, magari partendo dallo stare sul proprio
pezzo, si sarebbe forze allargata. Ma si è scelta la terra altrui, del
governo e del cosiddetto centrosinistra.
Ma la politica è andare avanti. Ora c’è una nuova sfida possibile,
quella di Tsipras e di un’altra Europa. Sarà vincente se la prenderemo
sul serio e ci faremo cambiare da essa.
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