La
notizia è di qualche giorno fa, uscita alla vigilia del World economic
forum di Davos: le 85 persone più ricche del mondo posseggono quanto la
metà più povera del pianeta, ossia 3 miliardi e mezzo di esseri umani.
La notizia, diffusa dalla Oxfam fa parte di uno spaventoso panorama che
si completa con l’aumento impetuoso delle disuguaglianze in quasi tutti i
Paesi, con i 21 mila miliardi di dollari nascosti nei paradisi fiscali,
col fatto che l’1% dei ricchi ha intercettato il 95% delle risorse dopo
la crisi del 2008 e che che 45 mila persone detengono un valore pari
all’intero pil mondiale, come un’altra ricerca ha messo in luce.
Si tratta di cifre che non hanno riscontri, mutatis mutandis, nemmeno
nel medioevo più buio, che fanno venire il capogiro e la nausea. Ma non
appena ci mettiamo a riflettere, spogliandoci delle castronerie
ammannite come scienza (curva di Laffer, estensioni della legge di Say)
con cui è stata appoggiata la lotta di classe al contrario, capiamo
bene come proprio questo processo di disuguaglianza e regressione
sociale sia all’origine della crisi che è dovuta al calo della domanda
visto che poche migliaia di straricchi non possono sostenere l’economia e
all’impoverimento di vaste masse di ceti medi e popolari. Ciononostante
l’idea che la ricchezza di pochi crei benessere per tutti, il dogma del
neo liberismo di Chicago, continua a resistere e a fare vittime,
soprattutto in Europa, senza che nessuno si chieda come mai la crisi non
accenni a finire, salvo qualche fasullo dato riparametrato, come mai
essa ormai duri da più tempo di quella del ’29, come mai all’ottimismo
ufficiale e di facciata dentro la stessa Bce si fa notare come “nel suo
insieme l’area Euro va male e oggi sta peggio di prima che iniziasse la
crisi”.
Come si faccia ad interpretare tutto questo come crisi ciclica e come
si faccia a darlo a bere alle opinioni pubbliche è un mistero anche a
fronte dei potenti mezzi di pressione delle lobby, dei potentati, del
sistema finanziario. Ma il fatto è che le castronerie neoliberiste non
hanno opposizione: le sue premesse ideologiche siano state fatte proprie
dalle forze socialdemocratiche o dalle sempre più sedicenti sinistre
narranti e dunque sono le uniche diffuse dai media. Proprio tre
settimane fa – tanto per fare un esempio – un Hollande che ha cercato di
spostare l’attenzione dal piano di tagli draconiani e agevolazioni alle
aziende sulle sue avventure sentimentali, se ne è uscito con una frase
sorprendente ancorché sottoscrivibile da tutti i leader degli ormai
Pifigs: “È sull’offerta che dobbiamo agire, è l’offerta che crea la
domanda”.
Krugman non si è tenuto: “Benedetto ragazzo! Questa dichiarazione
richiama quasi letteralmente la fandonia, più volte smascherata, nota
come “legge di Say”, che pretende che cadute generali della domanda non
possono verificarsi, perché chi guadagna deve comunque in qualche modo
spendere”. Già, ma quando sono sempre di meno a poter spendere … è
semplice aritmetica che tuttavia sotto l’imperversare dello
sciocchezzaio mediatico pare al di sopra delle facoltà di comprensione
delle opinioni pubbliche.
Vedo che mi sono lasciato trascinare un po’ lontano da ciò che volevo
dire in merito agli 85 uomini più ricchi e al dirupo sociale che essi
aprono. Questi piccoli numeri al confronto con i grandi che esprimono i
patrimoni finanziari, ci dimostrano ancora una volta come il mercato non
sia ormai che un semplice velo di Maia posto a protezione
dell’oligarchia mondiale. Poche migliaia di persone attraverso i centri
finanziari e bancari di cui sono gli effettivi padroni, sono quelli che
fanno il mercato delle azioni, dei titoli di stato, delle materie prime e
che dirigono il gioco a seconda delle convenienze economiche, ma anche
politiche quando si tratta di estendere la loro libertà di agire. La
“mano invisibile” che tutto regola e dirime non soltanto è una fede
sciocca che pretende di estendere la propria banalità oltre i confini
dello scambio per diventare antropologia, ma è anche falsa, un trompe
l’oeil, per nascondere l’esiguo numero di manovratori, una specie di
colosso di Memnone che fa udire i suoi lamenti non all’alba come in
Egitto, ma all’apertura delle borse.
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