La vertenza TKAST ha subìto in queste ore un’accelerazione che
potrebbe portarla ad una sciagurata conclusione. L’altro ieri, la
risposta eversiva da parte delle forze dell’ordine al corteo dei
lavoratori ha, da un lato, creato giusto consenso intorno alla figura
del sindacato ed alle rivendicazioni delle RSU e dei lavoratori;
dall’altro, ha invece portato ad una proposta governativa di riscrittura
fittizia del piano industriale che ha trovato il consenso delle
segreterie nazionali dei metalmeccanici. Il pericolo che si possano
rivivere i giorni della vertenza del magnetico, con l’accantonamento del
piano da parte di TKAST per poi riproporlo ad acque calme, è reale.
Venerdì scorso, i sindacati hanno chiamato a raccolta l’intera
cittadinanza ed un immenso corteo composto da decine di migliaia di
persone ha sfilato per le vie della città per dire no allo
smantellamento del sito siderurgico. Il sindacato necessitava di una
prova di forza da contrapporre alle istituzioni locali e nazionali che,
avendo prodotto un documento rifiutato in toto dai lavoratori, avevano
posto la RSU e le segreterie locali dei metalmeccanici in completa
solitudine di fronte agli attacchi dell’azienda.
È, infatti, da segnalare che dal dopoguerra ad oggi, questa è la
prima volta che un sindaco, Leopoldo Di Girolamo, e un presidente di
regione, Catiuscia Marini, entrmbi eletti nelle liste del Partito
Democratico, si schierano fattivamente con il governo e non coi
lavoratori; per una città come Terni è qualcosa di inaudito. Segno di
una mutazione genetica ormai conclamata del PD. Ma non tutto è andato
come previsto.
Se i rappresentanti delle RSU sono stati applauditissimi, non è stato
lo stesso per i segretari nazionali, soprattutto per la Camusso. La
piazza in toto ha quindi espresso bene il malcontento generale e ha
rifiutato un’altra manfrina circa la difesa dello stabilimento, delle
produzioni e delle unità lavorative che si erano sentiti dire già dieci
anni fa durante la vertenza del magnetico. Oltremodo, la parte più
politica della piazza, formata da USB, centro sociale e Rifondazione
Comunista ha criticato gli apicali perché dietro le belle parole si
nasconde in realtà l’intenzione di mediare con il governo Renzi sia
sulla manovra di stabilità che sul Jobs Act e perché gli stessi, negli
ultimi anni, si sono resi firmatari di accordi capestro che ledono
l’agire democratico dei lavoratori e che aprono una voragine su
contrattazione e condizioni lavorative.
La risposta della CGIL ternana non si è fatta attendere e, oltre a
sminuire la portata della contestazione ha tacciato di “delinquenza
politica” chi aveva fischiato la Camusso perché, a loro dire, in quel
modo si era criticato anche l’operato dei compagni delle RSU che stanno
gestendo la vertenza, ma disconoscendo volutamente e pretestuosamente il
fatto che la RSU della FIOM, in questa fase, gode del più ampio
consenso e appoggio da parte di tutte le soggettività politiche della
sinistra d’alternativa che vedono proprio, in una parte ben definita
della FIOM stessa, il punto avanzato e radicale della lotta sindacale e
quindi della gestione della vertenza stessa.
La vertenza delle acciaierie ternane rappresenta, infatti, un punto
avanzato, nella metodologia della lotta, in primis, rispetto a tutte le
altre vertenze sparse nel paese. Da una settimana, oltre ai blocchi
delle portinerie ed allo sciopero ad oltranza, si è cominciato a
presidiare la Prefettura e soprattutto si è occupata la sala del
Consiglio Comunale con l’interruzione dei lavori istituzionali. Un atto
simbolico, ma che nasconde una forza politica non indifferente dato che,
come già specificato sopra, nella storia di questa città è la prima
volta che un sindaco si schiera di fatto contro i lavoratori ed il
sindacato.
L’asse istituzionale formato da sindaco, presidente della regione e
governo ha lavorato costantemente contro il piano alternativo delle RSU e
contro la salvaguardia del sito a favore delle logiche aziendali,
mettendo in piedi anche a livello locale il disegno eversivo del governo
Renzi che vede nelle Istituzioni governative l’unico soggetto politico
qualificato da contrapporre alle aziende ed ai lavoratori per la
risoluzione delle vertenze industriali.
Il sindacato, o perlomeno una parte di esso, è divenuto il problema
che frena la ripresa e lo sviluppo. Per questo, se da una parte è giusta
la battaglia politica della CGIL per la riconferma nel paese del ruolo
strategico e democratico del sindacato come luogo di rappresentanza dei
lavoratori in un contesto di centralità delle masse lavoratrici –le
parole di Landini dopo le manganellate ricordano questo- dall’altra, è
doveroso affermare e tentare di evitare che tutto questo potenziale si
tramuti del tutto e che venga visto solo, come purtroppo sta accadendo,
come mero braccio di ferro tra le due fazioni del PD e cioè l’ala
renziana e quella della “sinistra interna”.
Lo si è potuto vedere sia nelle dinamiche locali che hanno appunto
visto contrapporsi sindacato e sindaco e lo si sta scoprendo in questi
giorni con il braccio di ferro tra CGIL e governo Renzi anche dopo i
fatti accaduti l’altro ieri durante il presidio/manifestazione degli
operai della TKAST. Dicevamo che la vertenza TKAST è divenuta un punto
avanzato della battaglia politica e sindacale in Italia, che travalica
ormai la questione della vertenza territoriale stessa assumendo la
portata di vertenza nazionale simbolo sia per le innumerevoli aziende in
crisi, sia perché è ormai divenuta la potenziale miccia per
l’accensione di una stagione di lotte in tutto il Paese.
Dopo la risposta eversiva delle forze dell’ordine contro il corteo
dei lavoratori ternani, in Italia si è improvvisamente svegliata la
coscienza operaia e di classe. Presidi spontanei davanti alle Prefetture
si sono susseguiti in tutto il paese, gli studenti di Napoli sono stati
caricati dalla polizia per aver dimostrato solidarietà ai lavoratori
ternani, innumerevoli aziende metalmeccaniche hanno organizzato scioperi
e presidi, la FIOM ha indetto uno sciopero nazionale di categoria.
Terni sta quindi rappresentando la riscossa del movimento operaio
nazionale ed ancora oggi i lavoratori hanno in mano la possibilità di
costruire un movimento sociale che, facendo cardine sulla battaglia
politica e sindacale, riesca a far cambiare le sorti del Paese. Non
bisogna disperdere questo potenziale.
Non bisogna disperderlo lasciandolo solo in mano al sindacato
confederale; tutte le forze sociali e politiche della sinistra radicale
devono stare al fianco dei lavoratori e saper indirizzare la battaglia
verso una radicalizzazione strategica e programmatica che porti alla
costruzione di un grande movimento nel Paese, perché se il sindacato
resta solo, tutto si tramuterà in una mera mediazione tra le parti,
tutto si risolverà in un’asfittica, sterile, grande vertenza
politico-sindacale con protagonisti le correnti del PD e la sinistra
poltronista (al corteo dei lavoratori erano presenti anche parlamentari
di SEL e ciò, se proiettato in lontananza riesce a far capire anche i
movimenti che attualmente stanno avvenendo a sinistra del PD e che
condizioneranno, in negativo, la sinistra nel prossimo futuro).
Non a caso le uniche prese di posizione forti che sono venute da SEL e
da altri partiti d’opposizione vanno solo nella direzione della
richiesta di dimissioni del ministro dell’Interno Alfano.
Il Paese ed i lavoratori non vogliono e non si meritano un grande
fuoco di paglia. Il pericolo è proprio questo e già in queste ore i
principali attori si stanno muovendo in questa infelice direzione. E,
infatti, per far spegnere la miccia di una eventuale “insurrezione
nazionale” già si parla di una possibile soluzione della vertenza TKAST.
L’incontro di ieri tra il governo e le segreterie nazionali dei
sindacati ha permesso al ministro Guidi di mettere sul tavolo una
proposta di modifica del piano industriale, che pare già sia stata
accettata dall’azienda e in più la convocazione di un nuovo tavolo di
confronto per il 6 novembre prossimo; il nuovo piano, ma che nuovo in
sostanza non è, prevederebbe il ridimensionamento degli esuberi da 537 a
290 –come da piano presentato quasi un mese fa dalla stessa Guidi-
sotto forma di esuberi incentivati (già un centinaio di lavoratori hanno
scelto di andarsene usufruendo dell’incentivo di 80000 euro) e in più
la possibilità a marciare con un forno a 15 turni ed uno a regime
completo; investimenti confermati (100 milioni che servono solo per la
manutenzione ordinaria), ma nulla si dice su volumi e mix produttivi
come non si dice nulla sul commerciale, sul contratto integrativo e sui
contratti di solidarietà.
Una proposta che somiglia di più a quella dell’azienda che a quella
delle RSU. Anche la questione del tubificio, Aspasiel, Società delle
Fucine e Titania resta ignota. Addirittura l’azienda ha di punto in
bianco riconfermato il contratto, fino a fine dicembre e con rinnovi su
base trimestrale, dell’Ilserv (un’azienda che si occupa di seconde
lavorazioni all’interno dell’acciaieria e che sotto il profilo logistico
è essenziale) mentre l’altra notte, a contratto scaduto e non
rinnovato, la dirigenza Ilserv aveva dovuto annunciare ai sindacati e ai
lavoratori che avevano assediato ed occupato la sede della
Confindustria ternana, la messa in cassa integrazione di duecento
operai.e senza contratto. Tuttavia, finora la vicenda dell’IIserv rimane
in sospeso e non vi è chiarezza, come d’altronde sul resto.
È una grande partita a scacchi giocata da governo e azienda sopra la
testa dei lavoratori. Rispetto a tutto questo, i sindacati hanno detto
che se si rispetteranno i punti del nuovo piano i lavoratori faranno la
loro parte. Ciò significa che le segreterie nazionali dei confederali
saranno disposte a ragionare di esuberi ed integrativo. Oltretutto, la
provocazione aziendale continua con il mancato pagamento dei salari
mentre l’altro ieri il ministro aveva garantito lo sblocco degli
accrediti.
È in questa fase che la risposta dei sindacati dovrebbe essere una
sola: radicalizzazione del conflitto. E, invece, si assiste ancora oggi
ad un silenzio minaccioso che lascia i lavoratori gonfi di rabbia
davanti ai presidi. Perché si è scelta la strada del silenzio? Perché
dopo il corteo massacrato dalla celere non si è deciso di occupare la
fabbrica? Perché si continua con i blocchi, aspettando inermi l’incontro
del 6? Si è forse giunti ad un accordo tra governo, azienda e sindacati
in cui, ad una riscrittura parziale del piano avallata dall’azienda si è
chiesto come contro partita la fine delle agitazioni – a parte scioperi
e presidi che rimangono nell’alveo del concetto di democrazia- con
conseguente spegnimento della miccia che può far divampare un Paese
intero? Del resto, anche alla ThyssenKrupp e alla sig.ra Morselli sta a
cuore la tenuta sociale di una città e di un intero paese.
Se fosse così, i confederali incapperebbero in due madornali errori:
il primo, di pura naturale sindacale. Infatti, se ipoteticamente si
sottoscrivesse un nuovo piano industriale come quello avanzato dalla
Guidi, si commetterebbe lo stesso sbaglio della vertenza del magnetico.
La ThyssenKrupp non rinuncerà alle quote che l’AST che può portare in
dote al sistema produttivo tedesco e, ad acque calmate, ripresenterà il
piano originario (chiusura dei forni) con la differenza che i lavoratori
saranno già sfiancati dalla vertenza attuale e, sfiduciati, non
parteciperanno a nessuna mobilitazione.
Il secondo errore sarebbe quello di aver volutamente dissipato un
potenziale politico impressionante costruito l’altro ieri col sangue dei
lavoratori e dei sindacalisti stessi; un potenziale, ripeto, fatto di
scioperi spontanei, presidi alle Prefetture e cortei studenteschi. Se si
vuole cambiare il Paese, è giunta l’ora di radicalizzare il conflitto.
Se il sindacato, in particolar modo la FIOM-CGIL, pensa di ridurre tutto
questo solo ad una sterile mediazione tra governo e parti sociali o,
ancor peggio, tra due parti del PD, avrà perso un’occasione storica e
soprattutto perderà di credibilità.
Landini e la FIOM tutta hanno, se vogliono, il sostegno dell’intera
classe lavoratrice nazionale, della sinistra comunista e radicale, degli
studenti e dei movimenti sociali. Ieri in conferenza stampa, il
segretario nazionale della FIOM ha parlato della necessità di un
intervento statale nella strategia industriale del paese, in risposta
alla provocazione renziana circa un intervento pubblico per la TKAST.
Bene: per i comunisti l’unica conseguenza a queste parole è una presa di
posizione pubblica e netta del sindacato verso la ripubblicizzazione di
tutto il comparto siderurgico italiano -Terni, Piombino, Taranto- e non
solo siderurgico, per poter garantire investimenti sugli impianti,
sulla sostenibilità ambientale delle produzioni, avviando così una nuova
fase per l’industria manifatturiera italiana.
La strategicità delle produzioni si ha solo quando una fabbrica è
pubblica. Si può fare, ce lo ricorda la Costituzione. In più, la Cassa
Depositi e Prestiti possiede un tesoro, pubblico, di circa 316 miliardi
di euro. I comunisti devono in questa fase attivarsi affinchè i
lavoratori si rendano conto che solo la radicalizzazione del conflitto
paga e che sarà determinante non solo per la buona riuscita delle
vertenze sindacali, ma anche per la costruzione di un conflitto sociale
allargato al Paese che può determinare il cambio di rotta di un governo
eversivo ed espressione dei poteri forti
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