Legge
di stabilità. Il governo ragiona sul lavoro dipendente, e su come
deregolamentarlo. E ignora quello indipendente, ridotto al
silenzio
***
E la nave va in un mare di follia. Non poteva essere più efficace
l’immagine usata dal direttore del Censis Giuseppe De Rita ieri alla
presentazione di uno studio annuale dell’Unrae per descrivere la
discussione sull’asset principale della politica economica del
governo Renzi: il bonus Irpef degli 80 euro. "Pensare che in una
società satura come quella italiana si possano rilanciare i consumi
con 80 euro è una pura follia. Infatti sono andati tutti a sostenere
i risparmi". O i debiti per multe, rate, bollette.
«L’Italia — ha aggiunto De Rita con il buon senso che può fulminare
tutti leggendo le statistiche macro-economiche — è un paese in
deflazione e questo produce incertezza sul futuro e quindi un
atteggiamento attendista, inducendo i consumatori a non
spendere ma a risparmiare». Il banco di prova è il mercato delle
auto. Carissime, sono in pochi ormai a potersele permettere. E poi
i famosi risparmi di cui il Belpaese è orgogliosamente ricco.
«Mentre nel 2011 i risparmi delle famiglie ammontavano a 23 miliardi
di euro, oggi sono 26 miliardi».
Considerazioni opportune ma che non lasciano un’orma sul
bagnasciuga della politica italiana, impegnata nell’esercizio più
angoscioso dell’anno: la legge di stabilità. La maggioranza, con il
Pd in testa, ha confermato che la platea non cambia e dunque
l’esercizio di scuola voluto da Renzi continuerà ad essere inutile
e discriminatorio rispetto a tutte le altre categorie del lavoro
in Italia. A partire dai lavoratori indipendenti, i precari e le
partite Iva in testa.
Lo ha confermato il viceministro all’Economia, Enrico Morando
(Pd), secondo il quale «gli sgravi Irpef non si toccano perché tirando
troppo il filo, la corda si spezza». La struttura dell’intervento non
si può cambiare perchè «è legata al reddito individuale e non alla
famiglia». Risultato: la commissione Bilancio alla Camera ha
bocciato l’emendamento (primo firmatario l’ex vice ministro
dell’Economia Fassina, oggi leader della minoranza Pd) che chiedeva
di modulare il bonus in base alla struttura familiare. Era uno degli
otto emendamenti, due dei quali sostenuti da Sel, che avevano
scatenato l’altro ieri la reazione furibonda della maggioranza
renziana. È passata invece la modifica del «bonus bebè» sui minori
poverissimi o in povertà assoluta.
Morando ha voluto così dimostrare la disponibilità del governo
alla lotta contro la povertà. Con misure più vicine al pauperismo
che ad una chiara visione universalistica degli effetti sociali
della crisi. Quest’ultima apertura è stata colta con favore da
Francesco Boccia, presidente della Bilancio alla Camera: «C’è un
solo Pd, le polemiche sono strumentali» ha detto. E spera che gli
altri sei emendamenti vengano accolti, a riprova di un’unità del suo
partito. Unità anche sul Jobs Act, nonostante le perplessità e i
ripensamenti della minoranza Pd.
Nell’esecutivo qualcuno si è però accorto dell’ingiustizia sociale
degli 80 euro. È il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti
(Scelta Civica), a dimostrazione che Viale XX settembre è un coro di
voci non sempre accordate. Zanetti copre il fronte delle partite Iva
in un governo ossessionato — come tutti quelli precedenti —
a intervenire solo sul lavoro dipendente. Il sottosegretario
pensava di «raccogliere applausi» per avere messo sugli autonomi 850
milioni di euro. E invece la riforma dei minimi, che triplica le tasse
per le partite Iva under 35 ha trasformato il suo sogno in
un incubo. Il governo rischia di accanirsi sulla platea dei nuovi
poveri, colpendolo in maniera definitiva. Zanetti auspica che la
norma sia cambiata alla Camera o al Senato. Se invece passasse, per
Renzi sarebbe una débâcle.
Lui che punta tutto sull’innovazione, le start up e i freelance, fa
un regalo alle partite Iva «affluenti», gli autonomi come
i commercianti con un reddito superiore ai 40 mila euro annui,
rafforza la lotta di classe contro il proletariato dei freelance
e i lavoratori della conoscenza con un reddito di povertà. L’appello
di Zanetti sembra un vaso di coccio nella gigantomachia in corso
tra sindacati e governo sull’articolo 18. I tempi sulla legge di
stabilità restano serrati. Lunedì arriverà il responso della
Commissione Ue. Si valuta se concedere a Renzi le attenuanti della
crisi. In cambio il Pd dovrà accelerare sulle riforme. Il modello
è il Jobs Act.
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