mercoledì 19 novembre 2014

RAZZA P(L)ADRONA

Jobs act, una pensata da camerieri

di Pierfranco PellizzettiIl Fatto Quotidiano 
 
Adesso è tutto chiaro. Dopo aver ascoltato Yoram Gutgel, il sedicente guru economico di Renzi ospite ieri sera dalla Gruber, non ci sono più dubbi: soltanto uno stuolo di camerieri poteva allestire quella pubblica messa in scena di servilismo chiamata jobs act. La presunta ricetta per rilanciare l’economia attraverso licenziamenti a go-go coniugati con tagli salariali. In cambio della benevolenza di lorsignori (si tratta di mega-manager arraffa stock option o di imprenditori capaci di fare i fenomeni con i soldi altrui). Comunque, quell’un per cento di privilegiati e di potenti a cui queste mezzecalzette si prosternano a baciare la pantofola. Magari in cambio di un buffetto o di un estemporaneo invito ad un rinfresco padronale in villa.
Matteo Renzi
Mezzocalzismo impietosamente evidenziato (quanto volontariamente?) dalla conduttrice, mettendo il dimesso Gutgel a confronto con un’economista di taglio internazionale quale Mariana Mazzucato; la studiosa a cui sono ben note le dinamiche dell’innovazione trainate da una politica industriale in cui la ricerca pubblica svolge il ruolo decisivo. Come avviene – al di là delle chiacchiere sugli imprenditori privati “cavalieri della valle solitaria” – in tutte le economie avanzate. Appunto, dagli Stati Uniti fino alla Germania.
Sicché faceva quasi pena sentire pigolare il consigliori renziano di un’Italia dipinta con i colori che solo un “brambilla brianzolo” potrebbe avvallare: i mancati investimenti e i blocchi patologici della crescita d’impresa per colpa della triade burocrazia, tasse e costo del lavoro. Con una pennellata di passaggio sull’articolo 18.
Quando le ragioni sono tutt’altre. Come la stessa Confindustria ammetteva quando non si dimostrava disponibile a cavalcare il revanscismo delle sue componenti più becere. Difatti, tre lustri fa proprio l’organizzazione degli industriali aveva promosso una ricerca, in collaborazione con l’istituto Taliercio, sulla “questione dimensionale” che dichiarava a chiare lettere come l’italico nanismo delle aziende trova la propria origine nella struttura proprietaria familiare: non si cresce perché i padroncini e i loro congiunti hanno paura di vedersi scappare di mano il controllo della situazione. Nell’inconfessato timore di non essere all’altezza di un salto di qualità competitivo.
Difatti la vera origine della crisi economica italiana è che ci si affida a queste ownership d’impresa che presidiano senza slanci di fantasia e coraggio prima di tutto le proprie posizioni di potere. Come dimostra il fatto che – rare eccezioni a parte – le nostre fabbriche da quarant’anni si sono sedute su una gamma merceologica circoscritta ai beni per la casa e la persona: prodotti a bassissima soglia tecnologica di entrata e per questo copiabilissimi. Dunque, ampiamente copiati dai Paesi di nuova industrializzazione.
Sembra abbastanza evidente che dando mano libera a questa banda di gente impegnata a covare uova di pietra non deriverà altro che un’opaca difesa al ribasso di posizioni declinanti. Mentre solo un Grande Piano di intervento pubblico, che attivi e guidi fertili incontri tra ricerca e impresa attraverso scelte da sistema-Paese, può invertire le tendenze disastrose in atto. Intervento sotto forma di investimento ma anche di scelte mirate nell’allocazione di tali risorse. E di controllo. Come fanno gli Stati Uniti, la Cina e la Germania, ad esempio in materia di fonti energetiche alternative. Come proponeva di fare qui da noi il grande Paolo Sylos Labini nel campo della meccatronica (l’elettronica innestata sulle antiche eccellenze italiane nella meccanica).
Ma per fare questo bisognerebbe avere maturato un qualche giudizio meno stereotipato (e servile) nei confronti delle vicende economiche italiane degli ultimi decenni. E il coraggio di liberarsi da vassallaggi psicologici nei confronti di una genia che ha trasformato l’innovazione, l’Hi-Tech o le specializzazioni competitive in meri fantocci da convegno. Bisognerebbe che la banda Renzi fosse una classe dirigente.
 

Fisco, in arrivo per decreto non punibilità per false fatture sotto i 1000 euro

Fisco, in arrivo per decreto non punibilità per false fatture sotto i 1000 euro
Il provvedimento sull'abuso del diritto dovrebbe fare chiarezza sui confini tra evasione delle tasse, elusione e abuso. E aggiornare le penalità amministrative. Ma dalla bozza emerge un ammorbidimento su tutta la linea. Per di più le nuove norme avranno effetto retroattivo
False fatture non punibili se inferiori ai 1000 euro. Soglie molto più alte perché la dichiarazione infedele delle imprese che accettano di collaborare con le Entrate sia sanzionabile. E semplici multe che prendono il posto delle sanzioni penali. A prevederlo, secondo quanto riportato dall’agenzia Public policy, sono le bozze del decreto sull’abuso del diritto, uno dei provvedimenti attuativi della delega fiscale con cui le Camere hanno autorizzato il governo a riscrivere le regole del fisco. L’idea di partenza era quella di limitare l’uso distorto di leggi, regolamenti e “buchi normativi” finalizzato solo a pagare meno tasse, facendo chiarezza sui confini, a volte labili, tra evasione, elusione e, appunto, abuso. Cioè, in ultima analisi, tra legalità e illegalità. E in più aggiornare le penalità amministrative previste. Ma il testo che dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri giovedì (il quarto dopo quelli già approvati sulla dichiarazione precompilata, la riforma del catasto e sul riordino delle accise sui tabacchi) non stringe le maglie, anzi le allarga.
Per esempio stabilisce una soglia di 1000 euro al di sotto della quale è prevista la non punibilità per il reato di “frode mediante uso ed emissione di fatture per operazioni inesistenti“. Un reato che in base alla legge sui reati tributari è punito con la reclusione da 18 mesi a 6 anni. E dire che, in extremis, la non punibilità per falsa fatturazione di chi fa rientrare capitali nascosti all’estero è stata esclusa dal dettato del discusso ddl sulla Voluntary disclosure, approvato alla Camera e incardinato nelle commissioni Finanze e Giustizia del Senato. Non per niente le Entrate, che hanno lavorato al decreto sull’abuso del diritto con il ministero dell’Economia di Pier Carlo Padoan e la Guardia di finanza, si sono opposte proponendo invece della non punibilità tout court una attenuazione della pena, da trasformare per esempio in una contravvenzione.
Il decreto, stando alla bozza, introduce poi il raddoppio della soglia di punibilità per la dichiarazione infedele nel caso di imprese sottoposte al regime di “adempimento collaborativo”, cioè il progetto pilota di tutoraggio avviato, stando alle dichiarazioni, per aumentare la trasparenza del rapporto con i grandi contribuenti. In più per gli abusi si prevede la sanzionabilità amministrativa ma non quella penale. A questo si aggiunge che le nuove norme avranno effetto retroattivo: “verranno applicate anche alle condotte abusive già commesse alla data dell’entrata in vigore del decreto legislativo per le quali non sia stato notificato il relativo atto impositivo”.
E dire che la direttrice dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi aveva assicurato che non c’era da temere “un affievolimento della lotta all’elusione“, ma ci si doveva attendere solo “una regolamentazione precisa di un principio finora non normato”. A fronte degli ammorbidimenti introdotti dal decreto, l’agenzia sta cercando di spuntare almeno il raddoppio dei termini dell’accertamento per le condotte che costituiscono reati tributari non solo quando la denuncia sia presentata entro il termine di decadenza dell’accertamento, ma anche oltre “se emergono nuovi elementi che riaprano le istruttorie” o “se le istruttorie hanno elementi di complessità”.
 

Ville, yacht e auto comprati con i contributi non versati: otto indagati

   
Ville, yacht e auto comprati con i contributi non versati: otto indagati
Operazione della Guardia di Finanza che ha scoperto una frode da 45 milioni di euro. Venivano create cooperative o srl con una "vita media" di tre o quattro anni che poi chiudevano
Lo schema era semplice, efficace e remunerativo. Creare – avvalendosi di teste di legno – cooperative o srl con una “vita media” di tre o quattro anni, fatturando regolarmente gli elevati ricavi ma “dimenticandosi” di versare qualsiasi tipo di imposta (Iva, Ires, Irap, ritenute d’acconto, contributi Inps e oneri sociali), frodando così, non solo il fisco per 45 milioni di euro ma anche migliaia di lavoratori. E con i soldi “rubati” sono stati acquistati: terreni ben 41, yacht, auto di lusso e immobili cosiddetti in pregio in Toscana, Emilia Romagna, Campania e Veneto.
Dopo due anni di indagini la Guardia di Finanza di Roma ha denunciato otto persone e sequestrato in cinque regioni, oltre che nel Lazio, in Toscana, Veneto, Emilia Romagna e Campania, conti correnti, quote societarie e beni immobili per 22 milioni di euro. A capo dell’organizzazione, che dava vita a cooperative di facchinaggio e srl ‘apri e chiudi’, quattro campani, amministratori di aziende di rilevanti dimensioni con appalti su tutto il territorio nazionale per la fornitura di mano d’opera (facchini, operai, call center), arrivati a gestire più di 2.000 dipendenti.
I beni acquistati con la frode poi venivano intestati a prestanome ma, di fatto, pagati mediante assegni circolari emessi dalle società coinvolte. Il sistema era anche in grado di sbaragliare la concorrenza grazie a prezzi altamente competitivi, inferiori alla media di settore. I capi e i partecipanti all’organizzazione dovranno rispondere dei reati di frode fiscale, riciclaggio, appropriazione indebita, distruzione delle scritture contabili e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
 
 

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