In
questi anni la destra politica e sociale è riuscita a imporre la
propria egemonia sul tema delle pensioni rendendo plausibile
all’opinione pubblica i tagli e le riduzioni dei diritti.
Per
difendere il sistema previdenziale pubblico occorre “smontare” tra i
lavoratori e le lavoratrici le false verità propagandate dai vari
governi che si sono succeduti, da Berlusconi passando per Monti-
Bersani, per arrivare a Matteo Renzi.
Volendo fare un breve sintesi delle molteplici menzogne ne prenderemo in considerazione per adesso solo tre.
La
prima falsità. Ogni volta che si parla di prelievo fiscale si include la
trattenuta in busta paga versata all’INPS per la previdenza sommandola
alla voce: tasse.
E’ una
menzogna. Le trattenute previdenziali non sono tasse, perché non
finiscono nelle casse dello Stato ma sono accontamenti versati all’INPS
che servono per godere di un vitalizio (comunemente chiamata pensione)
quando ci si congeda dal lavoro.
Un
esempio? A nessuno verrebbe mai di accostare i fondi integrativi
previdenziali alle tasse, eppure seguono lo stesso iter: la trattenuta
in busta paga il vitalizio al termine del lavoro.
Ma
questa menzogna serve per accostare la previdenza al deficit dello Stato
e giustificare come inevitabile i tagli alla previdenza pubblica.
Facciamo i conti in tasca all’INPS.
Le
entrate correnti dell’INPS ammontavano nel 2012 a circa 314 miliardi,
dei quali 210 miliardi derivano dalle entrate contributive (cioè pagate
delle buste paga) e solo 99 miliardi dai trasferimenti dal bilancio
dello Stato.
Perché
lo Stato trasferisce soldi all’INPS? Non per pagare la previdenza. I
trasferimenti rimborsano l’INPS del lavoro e delle prestazioni erogate a
favore della collettività (a tutti i cittadini non solo ai lavoratori o
ai pensionati ) gestendo a costo zero le prestazioni assistenziali che
nulla hanno a che fare con la previdenza. Proprio questa confusione tra
previdenza (pagata dai contributi) e assistenza (quella che lo Stato
eroga ai più poveri) è lo strumento usato per screditare la previdenza
pubblica, accusando le spese dell’INPS di essere eccessive e
corresponsabili del“ grande” buco di bilancio statale.
Sottoponiamo al lettore un piccolo esempio di come può essere facile costruire dati falsi per creare disinformazione.
Questa frase è estrapolata dalla sintesi, ad uso della stampa, del bilancio sociale dell’INPS .
“Le prestazioni pensionistiche (comprensive di quelle a favore degli invalidi civili) ammontano a circa 267 miliardi”
Bene.
Confrontiamo questa cifra (267 miliardi) con quelle delle entrate
contributive prima citata (210 miliardi) Oplà il gioco è fatto: il
titolo è già scritto “il bilancio delle pensioni in Italia nel 2012
registra un disavanzo di quasi 60 miliardi”. Falso, perché si usano dati
distorti, ma efficace perché a supporto si cita la “matematica”.
Peccato
che il termine “prestazioni pensionistiche” non significa “prestazioni
previdenziali”, cioè quelle che si ricevono in cambio del pagamento dei
contributi nella logica previdenziale del “ dare e avere”. Con il
termine generico pensioni si includono le invalidità civili, le pensioni
sociali, le integrazioni al minimo, e le pensioni di reversibilità etc.
che sono assistenza che lo Stato eroga a favore di persone indigenti,
utilizzando risorse che dovrebbero provenire dalla fiscalità generale.
Si pensi che le sole pensioni per gli invalidi civili ammontano a circa 17 miliardi.
Previdenza
e assistenza sono due voci di bilancio che non hanno nulla in comune.
Sul piano strettamente tecnico esiste un separazione nei conteggi INPS
ma sono così complessi che solo dagli esperti possono interpretarli,
mentre i comunicati stampa ad uso del pubblico aggregano “le pere con le
mele” per sostenere la tesi del deficit del sistema previdenziale. Su
questo la dirigenza dell’INPS ha una grave responsabilità perché non
diffonde in modo semplice, compresnibile a tutti, queste semplici
verità.
Ma proseguiamo
Abbiamo
visto che già il termine pensioni è usato strumentalmente per scaricare
sulla previdenza costi assistenziali dello Stato. A sostegno di questa
nostra tesi analizziamo qualche voce del bilancio INPS.
Le
prestazioni chiaramente definite non pensionistiche, sono pari a 36
miliardi di euro, Cosa sono queste spese? Ad esempio la spesa per
ammortizzatori che nel 2013 era pari a 14,5 miliardi e considerando
anche i contributi figurativi (che sono a carico dello Stato) raggiunge i
23,5 miliardi
La
spesa complessiva per ammortizzatori è finanziata per il 38,3% dai
contributi delle imprese e dei lavoratori e per il 61,7% dagli oneri a
carico dello Stato.
Questo esempio solo per far capire come quando si parla di bilancio dell’INPS, come detto, si mettono insieme “pere e mele”.
Tornando alle pensioni. Sempre citando il bilancio sociale dell’INPS si scopre sempre ad uso della stampa che “nel
2013 l'INPS ha erogato circa 21 milioni di pensioni, tra cui circa 17,3
milioni di pensioni previdenziali IVS (invalidità, vecchiaia,
superstiti) per circa 242 miliardi di euro e 3,7 milioni di pensioni
assistenziali (principalmente pensioni e assegni sociali e prestazioni
agli invalidi civili) per oltre 25 miliardi di euro. “ Spudoratamente si definisce " previdenza" invalidità e reversibilità.
In un mio studio di un anno fa sul bilancio 2011 sono emersi dati molto interessanti
Con il termine pensioni nel 2011 si sono pagati 194,4 miliardi di euro.
Peccato
che di questa spesa i costi previdenziali (cioè quelle sostenute con i
contributi dei lavoratori) sono solo 169,9 miliardi; i restanti 24,5
miliardi di euro (un decimo del bilancio previdenziale INPS ), sono
costi derivanti dalle prestazioni sociali (pensioni sociali, vitalizi
etc.)
Nei
169,9 miliardi si nasconde inoltre una voce che andrebbe anch’essa
collocata nel settore assistenziale, le pensioni ai superstiti (le
cosiddette reversibilità).Senza questa voce i costi per la previdenza
(le uscite per le pensioni di vecchiaia e anzianità) sono solo 131,5
miliardi. Essendo i contributi versati per il 2011 pari a 150,8 miliardi
appare evidente che le entrate sono significativamente superiori alle
pensioni pagate..
Anche
considerando le pensioni per i superstiti, le uscite sono pari a 159,5
miliardi di euro ed il bilancio dell’istituto previdenziale è comunque
in equilibrio.
Abbiamo
sin qui svelato il grande imbroglio mediatico utilizzato per colpire
lavoratori e pensionati. Il sistema previdenziale italiano non è in
deficit ma la contrario è strutturalmente solido
Potremmo
fermarci qui ma vi sono ancora due ulteriori elementi che è importante
disvelare per difendere le nostre pensioni pubbliche.
Altro luogo comune è che la spesa previdenziale italiana sia considerevolmente superiore a quelle della media europea.
La media europea per spesa previdenziale è del 15,1% (in Francia al
16,5% e in Germania al 13,6%). All’Italia viene calcolata una spesa
previdenziale pari al 18,8%, superiore quindi di 3,7 punti.
Questo
dato è però falsato da una comparazione tra dati non omogenei per
distorcere le statistiche. Infatti i dati statistici europei includono
nella spesa previdenziale italiana i trattamenti di fine rapporto (il
TFR) che da solo ammonta al’1,7% del PIL. Il TFR, come è a tutti noto,
non c’entra nulla con la pensione, ma evidentemente i tecnocratici
europei non sono riusciti a comprendere questa semplice verità.
Il grande imbroglio si completa confrontando i totali delle spese dei singoli paesi europei al lordo delle imposte.
Le tabelle che pubblichiamo a lato dimostrano come l’Italia è l’unico
paese che ha un prelievo fiscale sulle pensioni identico a quello dei
redditi da lavoro, quindi molto alto. Tanto alto da portare nelle casse
dello Stato una cifra pari a ben il 2,5% di tutta la ricchezza prodotta
dall’Italia ( il famoso il Pil).
Si
noti come nella Germania, citata sempre come esempio da seguire, le
trattenute sulle pensioni sono pari a zero. Con questo espediente (cioè
pagare le pensioni al lordo e non al netto) si gonfia la spesa, che
invece al netto delle tasse risulterebbe addirittura inferiore alla
media europea. Ricapitolando. Si carica sulla spesa previdenziale il TFR
(che è invece un salario differito). Si pagano le pensioni al lordo
gonfiando artificialmente la spesa mentre lo Stato si riprende buona
parte di ciò che paga attraverso le tasse sulle pensioni.
Infine il terzo imbroglio. Nello scambio economico tra Stato e INPS il primo è quello che prende il secondo è quello che da.
L’imponibile
fiscale nel 2011 derivante dalle sole pensioni è stato pari a 228,2
miliardi con un introito fiscale sottratto alle pensioni che si aggira a
circa 40 miliardi di euro.
Questo
significa che non è lo Stato che trasferisce danaro ai pensionati, ma
sono i pensionati che pagano, con una partita di giro, almeno il 50% dei
soldi che lo Stato deve all’INPS per le spese assistenziali, che per
l’anno in questione fu pari a 83 miliardi di euro. A questa quota va
aggiunto il prelievo su tutte le altre forme di sostegno al reddito
erogate dall’INPS. Si pensi che in Italia si tassa persini la cassa
integrazione e la disoccupazione.
Comunque,
il solo prelievo fiscale effettuato sulle pensioni paga tutta la spesa
per le pensioni assistenziali pari a 24,6 miliardi con un avanzo di
quasi 16 miliardi di euro.
Altro che costo per lo Stato, le pensioni sono una risorsa
Queste
cifre dimostrano questo circolo “virtuoso”: i lavoratori dipendenti
pagano con i loro contributi non solo le pensioni ma coprono sia i buchi
di molti fondi particolari (come quello del clero, dei dirigenti, e
soprattutto la voraggine del lavoro autonomo), sia molti dei costi
assistenziali, a partire dai prepensionamenti ed i contributi
figurativi. I pensionati con il loro prelievo fiscale pagano le pensioni
assistenziali.
I
dati ufficiali dell’INPS ci dicono le entrate contributive superano le
prestazioni previdenziali generando sempre un attivo. Ma stampa e
politici ci raccontano quotidianamente una storia diversa.
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