sabato 22 novembre 2014

Le ragioni della crisi tra partito e rappresentanza di tommaso Nencioni, Il Manifesto

"Coloro che dan­nono i tumulti intra i Nobili e la Plebe mi pare che bia­si­mino quelle cose che furono prima causa del tenere libera Roma…". Già il Machia­velli dei “Discorsi” aveva isti­tuito un saldo legame tra con­flitto e raf­for­za­mento delle isti­tu­zioni democratiche.

E Giu­seppe Di Vit­to­rio, nel pre­sen­tare all’inizio degli anni Cin­quanta del secolo scorso un primo pro­getto di Sta­tuto dei Lavo­ra­tori, avvertì che «la demo­cra­zia se c’è nella fab­brica c’è anche nel Paese» e, al con­tra­rio, «se la demo­cra­zia è uccisa nella fab­brica essa non può soprav­vi­vere nel Paese».
La grande que­stione che ha di fronte a sé la sini­stra poli­tica è quella di isti­tu­zio­na­liz­zare il con­flitto, dar­gli cioè una rap­pre­sen­tanza sta­bile. Non da oggi, certo.
Ma ormai la crisi pro­cede per accu­mu­la­zioni suc­ces­sive, da quan­ti­ta­tiva si è fatta qua­li­ta­tiva; si è tra­sfor­mata cioè da crisi con­giun­tu­rale in crisi orga­nica, che scon­volge ogni aspetto della Repub­blica: eco­no­mico, sociale, isti­tu­zio­nale. Già si intra­ve­dono, minac­ciosi, dise­gni per una sua solu­zione sco­per­ta­mente rea­zio­na­ria. Di qui l’urgenza della rico­stru­zione di un rap­porto vir­tuoso tra con­flitto e rap­pre­sen­tanza poli­tica. Per ripren­dere i ter­mini di Erne­sto Laclau, sul momento oriz­zon­tale del movi­mento si deve sal­dare il momento ver­ti­cale della lotta per l’egemonia.
 
Imotivi per cui que­sto intrec­cio vir­tuoso non si è fino ad ora pro­dotto sono mol­te­plici, for­te­mente radi­cati in errori sog­get­tivi, primo tra tutti la man­canza di unità tra le varie forze poli­ti­che della sini­stra. Ma ci sono cause ulte­riori da inda­gare. Prima tra tutte: può essere ancora il par­tito nove­cen­te­sco la sin­tesi tra con­flitto sociale e lotta ege­mo­nica? Allo stato dei fatti, i par­titi tra­di­zio­nali attra­ver­sano una crisi della pro­pria ragione sociale tutt’altro che epi­so­dica. Ridotti a comi­tati elet­to­rali al ser­vi­zio del lea­der di turno, risol­vono spesso la pro­pria fun­zione in quella di “uffici di col­lo­ca­mento” per un ceto medio iper­tro­fico e in crisi di iden­tità sociale, spe­ran­zoso di tro­vare nel “mestiere poli­tico” un’àncora di sal­va­tag­gio con­tro l’inesorabile degra­dare della pro­pria posi­zione sociale.
Schiere di can­di­dati si aggrap­pano a quest’àncora ad ogni tor­nata elet­to­rale, fino a supe­rare tal­volta in numero, per sommo para­dosso, gli affluenti al voto. Il tra­sfor­mi­smo più estremo è all’ordine del giorno, per cui si trama nei cor­ri­doi del Palazzo per allun­gare legi­sla­ture ingiu­sti­fi­ca­ta­mente soprav­vis­sute alla fine della spinta pro­pul­siva dei risul­tati elet­to­rali che le ave­vano pro­dotte. Leggi elet­to­rali liber­ti­cide sono pro­mul­gate nell’assenso acri­tico della Camere. Gli enti locali, da ele­menti di demo­cra­zia diretta e popo­lare, sono ridotti a pas­sa­carte delle diret­tive fiscali dei governi cen­trali, in nome delle ragioni della “ditta” da far pre­va­lere su quelli della cittadinanza.
La destra cavalca que­sta crisi della fun­zione sociale dei par­titi, men­tre la sini­stra stenta, per antico abito men­tale (com­pren­si­bil­mente) duro ad estin­guersi, a coglierne i motivi di lungo periodo. Eppure essi dovreb­bero essere oggetto di attenta analisi.
Il par­tito di massa delle classi subal­terne si con­fi­gura, nei sui albori deci­mo­no­nici, come anti-Stato. Il par­tito è lo stru­mento di cui le classi subal­terne si dotano per agire all’interno dello Stato libe­rale, e al tempo stesso tra­sfor­marlo. Esso nasce per uni­fi­care le lotte e dare loro con­ti­nuità. Se il par­tito ope­raio con­tiene in sé i germi del plu­ra­li­smo fin dalla sua for­ma­zione, la forza trai­nante è indi­vi­duata nel pro­le­ta­riato di fab­brica, inteso come classe gene­rale. Que­sto schema entra in crisi con la rivo­lu­zione del “lungo ‘68″. In que­sto periodo il con­flitto tra classi subal­terne ed élite tra­di­zio­nali da un lato assume la sua mas­sima inten­sità; dall’altro, per così dire, esplode; si fran­tuma. Accanto alle lotte del pro­le­ta­riato di fab­brica, rico­no­scen­done solo in una prima fase la guida, fanno la pro­pria com­parsa, e poi via vi acqui­stano rispetto ad esse un grado cre­scente di auto­no­mia, quelle degli stu­denti, per l’emancipazione fem­mi­nile, per la pace, per la sal­va­guar­dia dell’ambiente, tutte ege­mo­niz­zate da una nuova classe media in ascesa.
L’inizio della restau­ra­zione con­ser­va­trice si porta die­tro la rot­tura dell’unità tra il movi­mento ope­raio e que­ste nuove classi medie. Si regi­stra, in que­sti movi­menti, un alto tasso di “inte­gra­bi­lità” nel sistema capi­ta­li­stico, che ne adotta le istanze di avan­guar­dia per rin­no­varsi e rin­vi­go­rirsi. Il par­tito ope­raio di massa, in que­sto con­te­sto, entra in crisi. Entra in crisi la sua capa­cità di uni­fi­ca­zione ed orga­niz­za­zione del con­flitto.
All’interno dei par­titi, il rap­porto tra intel­let­tuali e mili­tanza ope­raia si inverte, con i primi che ascen­dono facil­mente e fret­to­lo­sa­mente ai posti diri­genti e la seconda che è vis­suta quasi come un resi­duo fasti­dioso. Si giunge per que­sta via all’espulsione dei ceti subal­terni dalla rap­pre­sen­tanza poli­tica diretta. Ceti subal­terni i quali, a loro volta, in parte subi­scono que­sto allon­ta­na­mento, in parte lo pro­muo­vono attra­verso l’affermazione, tra di essi, di un nuovo senso comune che rimette in discus­sione l’utilità e la neces­sità dell’azione col­let­tiva, e di nuovi modelli di con­sumo del tempo libero.
In que­sta fase di scom­po­sta riti­rata siamo ancora immersi, pro­prio nel momento in cui il con­flitto sociale riprende vigore. Invece di attar­darsi in ten­ta­tivi di rie­su­ma­zione di una espe­rienza sto­rica forse irri­pe­ti­bile, serve tro­vare rispo­ste inno­va­tive. È urgente la crea­zione di un fronte plu­ra­li­stico della istanze popo­lari che sor­gono dalla società civile in lotta, cer­cando di ridurle ad unità in base ad una ela­bo­ra­zione col­let­tiva e ad una rico­stru­zione di un senso comune che san­ci­sca la loro non-contraddizione; e model­lando, su que­ste nuove moda­lità di isti­tu­zio­na­liz­za­zione del con­flitto, ade­guate pro­po­ste di rin­no­va­mento demo­cra­tico delle isti­tu­zioni repub­bli­cane. Dalla rico­stru­zione di que­sto intrec­cio vir­tuoso tra con­flitto sociale e rispo­sta poli­tica dipende il futuro della nostra democrazia.

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