La cosa incredibile è che ogni volta lo dicono con l’aria di chi ha
avuto una grande idea. Innovativa. E invece è un concetto noto da
millenni in ogni famiglia: ci sono quelli che si vendono la casa per pagare i debiti.
Lo Stato italiano da oltre vent’anni, cioè da quando il debito pubblico
ha raggiunto livelli stellari, pensa di tappare i buchi vendendo i suoi immobili.
Nel solco della tradizione corrono idee strampalate e numeri a caso.
Quanti sono gli immobili pubblici che si possono almeno in parte mettere
in vendita? Secondo la Cassa Depositi e Prestiti valgono 500 miliardi
di euro, su un totale del patrimonio statale di 1.800 miliardi. Secondo
la Ragioneria dello Stato valgono invece 56 miliardi. Una differenza da
uno a dieci, non poco per due pensatoi entrambi del ministero
dell’Economia.
Ai tempi gloriosi di Giulio Tremonti
fu coniato il marchio “finanza creativa”, e l’architrave dell’inventiva
tremontiana era la mitica “cartolarizzazione” degli immobili. Ma anche
il governo Monti non scherza. Prima annuncia che la spending review
affidata al mastino Enrico Bondi dovrà portare tagli di spesa per 4,2
miliardi. Ieri è stata affidato alle agenzie di stampa (con l’impagabile
formula “secondo quanto si apprende”, che con tutta evidenza non
significa niente, se non che qualcuno del governo ti ha chiesto di dare
la notizia senza dire che te l’ha detta lui) l’annuncio che dalla
spending review arriveranno risparmi non più per 4,2 miliardi in un anno
ma per 30 miliardi in tre anni. E così forse non ci sarà il temuto
l’aumento dell’Iva.
Ma in questa disperata ricerca di denaro per fare fronte al debito, cioè al risultato finale di una spesa pubblica
senza controllo, è sempre la vendita degli immobili a fare la sua
figura. Annunci a cui non fanno mai seguito risultati apprezzabili, a
parte quelli conseguiti da banche, avvocati e immobiliaristi: per loro,
ogni volta, il guadagno è assicurato. Il primo inventore della vuota
formula fu, come spesso è accaduto, Giuliano Amato. Nel 1992 il suo
governo, alle prese con la gravissima crisi finanziaria dell’estate,
dopo aver sottratto nottetempo il famoso sei per mille ai conti correnti
degli italiani, varò la società Immobiliare Italia, che doveva fare
quello che da vent’anni tutti hanno continuato a rifare: censimento
degli immobili pubblici, valorizzazione, vendita.
Immobiliare
Italia ha concluso così poco che anni dopo fu lo stesso Amato a
ironizzare, convinto che come sempre gli italiani si fossero dimenticati
che l’idea era stata sua: “Era meglio chiamarla Immobile Italia”. Nel
frattempo era arrivato al governo l’Ulivo di Romano Prodi,
che puntualmente avviò un censimento degli immobili pubblici, in vista
della valorizzazione e vendita. Infatti il censimento è il momento
chiave dell’incontro tempestoso fra politici e tecnici. Il governo
Amato, nel ‘92, mise in vendita anche il monte Cristallo e le Tofane,
cioè i gioielli dolomitici affacciati sulla conca ampezzana. Nessuno ha
mai capito chi mai avrebbe dovuto comprarsi il Patrimonio Spa, monte
Cristallo e per farci che cosa, e soprattutto a che prezzo. Nessuno al
tempo fece notare ad Amato, molto più fantasioso nella progettazione
della sua pensione d’oro, che per risanare i conti pubblici avrebbe
fatto molto prima a tassare come si conviene i frequentatori di Cortina e
delle Tofane.
Poi venne Tremonti, e con la collaborazione di un
altro inventore non da poco, Domenico Siniscalco, suo direttore generale
al Tesoro e poi suo successore, lanciò nel 2002 Patrimonio Spa, che
doveva vendere gli immobili pubblici, ma servì solo per dare una
poltrona a Massimo Ponzellini ed è finita nel nulla,
come Immobiliare Italia. Però Tre-monti ha fatto le cartolarizzazioni,
passate alla storia come Scip 1 e Scip 2. Ha messo dentro queste società
veicoli immobili degli enti previdenziali per 16 miliardi di euro, sono
stati venduti per 5 miliardi di euro, lo Stato e gli enti ci hanno
rimesso 5 miliardi. Nel frattempo banche d’affari, consulenti, studi
legali e immobviliaristi, hanno emesso parcelle per centinaia di milioni
di euro. Perché da vent’anni questa è la costante: quando partono le
vendite di immobili pubblici non si sa quanto ci guadagnerà (o perderà)
lo Stato. Ma si può dire in anticipo con la massima certezza chi sta già
pregustando l’affare della vita.
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