“Fate presto”. Così, su nove colonne,
titolò il Sole 24 Ore quando lo spread superò i 500 punti, nel novembre
2011. Sono passati 8 mesi da allora, ma l'Italia e l'Europa si trovano
in una situazione persino peggiore. Lo spread non è arrivato ancora a
quota 500, ma manca davvero poco. Il “salvataggio” delle banche spagnole
non ha dato grandi effetti sui mercati che anzi ieri hanno nuovamente
colpito Italia e Spagna.
I dati macro parlano tutti, all'unisono,
della gravità di quanto sta accadendo: produzione industriale a picco,
redditi in calo, consumi in diminuzione, entrate fiscali più basse del
previsto, disoccupazione in aumento. E questa è solo l'Italia, il paese
periferico messo relativamente meglio nell'area Euro.
Il mondo guarda in questi giorni
all'Europa con grande preoccupazione e si chiede come sia possibile che
l'Europa sia governata da matti che ignorano la semplice matematica
della macroeconomia. Basta leggere le rassegne stampa per trovare il
presidente degli Stati Uniti Obama, il capo della Fed Ben Bernanke, i
leader dei paesi emergenti, che richiamano l'Europa, dicendole in
sostanza: “Stiamo cadendo in recessione un'altra volta, e la colpa è
vostra”.
Hanno qualche ragione per farlo, ma per
onestà occorre dire che Obama è l'ultimo a poter rimproverare gli
europei: dopo un ambizioso piano di stimoli varato appena eletto, con
tanto di fotomontaggi che lo raffiguravano come Roosevelt, il presidente
nero si è trasformato in un nuovo Hoover e ha tagliato tutto quel che
poteva tagliare. Certo, non i tagli lineari e stupidi di Tremonti.
Certo, non le vessazioni tassatorie di Monti che, come prevedibile,
hanno prodotto meno entrate di quanto previsto (e noi l'avevamo detto,
troppo facili profeti). Ma comunque oggi Obama può “vantarsi” di essere
il presidente che ha fatto meno deficit negli ultimi 30 anni. Un errore
fatale, proprio nel momento in cui vi era bisogno di deficit molto
maggiori. Fatale perché la disoccupazione rimane alta e può portarlo a
perdere le elezioni. Ma fatale soprattutto per l'economia mondiale che
avrebbe bisogno di un'America decisamente più spendacciona. Se gli
Europei hanno le colpe più grandi, dall'altra parte dell'Atlantico non
ci sono innocenti.
Guidata da una classe dirigente in parte
accecata dall'ideologia dell'austerità, in parte ben conscia di
proteggere concreti interessi, l'Unione europea si è cacciata da sola in
una situazione da cui era facile uscire. Se la crisi morde e rischia di
sfasciare 60 anni di paziente costruzione dell'Europa unita, la colpa
non è del destino cinico e baro, né delle dure leggi del mercato.
Al contrario, il Vecchio Continente, se
vuole trovare il colpevole, deve semplicemente guardarsi allo specchio.
Sarebbe bastato non tagliare o tassare. Sarebbe bastato seguire la
lezione che viene dal buon senso prima ancora che dalla teoria
economica. Sarebbe bastato guardare alla storia della Grande
Depressione.
In questi giorni si sono affacciate voci
di una possibile svolta, di un piano più o men segreto, una road map
per trasformare l'Unione europea in una unione fiscale. Proposte ancora
avvolte nell'ombra e che trovano comunque nella Germania della
Cancelliera Merkel una invalicabile resistenza appena si nominano gli
eurobond, una misura certo necessaria ma che oggi da sola non basterebbe
affatto a risolvere il problema della crisi del debito.
Il rischio è enorme. L'uscita dall'Euro
della Grecia si tirerà dietro quasi sicuramente alcuni o forse anche
tutti i paesi periferici, Spagna, Portogallo, Italia e Irlanda, e farà
sembrare il fallimento di Lehman Brothers un evento di portata minore
nella storia della crisi. Per quel che ci riguarda lo diciamo per tempo.
O entro pochi mesi, forse settimane,
l'Europa, da una parte, virerà di 180 gradi, abbandonando l'austerità e
gettandosi sulle spese in grande stile, riformando la BCE, accentrando
il debito e l'America, dall'altra, si rimetterà anch'essa a spendere,
oppure l'Euro rischierà di saltare, gli USA potrebbero tornare in
recessione e i paesi emergenti subiranno un rallentamento che non
possono permettersi.
La combinazione di questi fattori può
portare a conseguenze ben peggiori di quelle vissute nel 2007/8. Una
Grande Depressione del tipo di quella degli anni '30, con disoccupazione
oltre il 20% e il Pil che si inabissa non è alle spalle, ma tutta
davanti a noi.
Le leggi dell'economia sono semplici ma impietose.
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