Nessun taglio alle 100mila pensioni d’oro che ogni anno costano 13 miliardi. Sì invece a quello dei buoni pasto
per 450mila dipendenti pubblici che fa risparmiare solo 10 milioni. E,
ciliegina sulla torta, un pasticcio sulle gare d’appalto che potrebbe
costare allo Stato 1,2 miliardi, corretto oggi in commissione grazie a un emendamento passato contro le intenzioni del governo. Prende insomma una curiosa piega la prima spending review del governo Monti. L’atto ufficiale sarà un decreto pesantissimo che il Consiglio dei ministri licenzierà dopo il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno. Circa 20 miliardi di tagli
così distribuiti: 4,2 miliardi nel 2012, dai 7 ai 10 per ciascun
biennio 2013-2014. Il provvedimento punta a scongiurare l’aumento
autunnale dell’Iva (dal 21 al 23%), mettere in sicurezza i conti
pubblici e fronteggiare l’emergenza terremoto. Monti lo presenterà
domani alle Regioni e quindi ai vertici del Pdl Berlusconi e Alfano. Poi la pausa per il vertice di Bruxelles e le consultazioni con i sindacati il 2 luglio. Ancora da fissare, invece, l’incontro con gli altri vertici della maggioranza Casini e Bersani.
Come
in dettaglio sarà raggiunto l’obiettivo di risparmio non è ancor chiaro
ma il piano sarà modellato sul pacchetto-Bondi che mette nel mirino gli
acquisti di beni e servizi della pubblica ammnistrazione (sanità in
primis) e la spesa per il pubblico impiego. Con qualche sorpresa.
Di
sicuro le misure di risparmio non passeranno attraverso il tanto
sospirato taglio alle pensioni d’oro dei manager pubblici. Qui la
notizia è già ufficiale: il governo ha accantonato il tetto sulle
pensioni sopra i 6mila euro dando parere negativo a un emendamento
presentato dal deputato Pdl Guido Crosetto. Doveva
essere una misura di equità nel gran calderone dei tagli ma nel Cdm in
programma domani mattina non c’è n’è traccia. Da Palazzo Chigi filtra
solo la promessa di riproporre la questione insieme alle misure sullo
sviluppo. Si ripartirà da quell’emendamento che prevede che le pemnsioni
erogate in base al sistema retributivo non possano superare i 6mila
euro netti al mese mentre sono fatti salvi le pensioni e i vitalizi
corrisposti esclusivamente in base al sistema contributivo. Per ora è
tutto rimandato e il sistema continuerà ad elargire 109mila pensioni
sopra gli 8mila euro che costano 13 miliardi di euro l’anno (dati Inps).
Si
va avanti a testa bassa, invece, sul contenimento dei costi della
pubblica amministrazione. Nelle scorse settimane si è tanto parlato di
una stretta sulle spese telefoniche della Pubblica amministrazione che
parte dal Dipartimento della funzione pubblica per
coinvolgere via via altri settori. Le chiamate saranno abilitate solo in
ambito urbano per tutti mentre soltanto i dirigenti potranno fare
chiamate nazionali e verso cellulari. “Una rivoluzione di buon senso”,
l’ha definita il ministro Filippo Patroni Griffi che ha
emanato la circolare taglia bolletta. Parlare meno, mangiare meno.
Perché prende sempre più consistenza l’ipotesi di un secco taglio ai
buoni pasto dei dipendenti pubblici. Nel pacchetto dell’ex liquidatore
Bondi c’è infatti un’ipotesi di messa a dieta di 450mila dipendenti che
già da due anni subiscono il mancato adeguamento all’inflazione dei
contratti collettivi. I loro buoni pasto passerebbero dai 7-8 euro
attuali a un valore di 5,29 euro che è la soglia minima esentasse per il
lavoratore (per cui non viene denunciato ai fini Irpef) e per il datore
di lavoro (non viene calcolato ai fini previdenziali).
Per il
governo dalla dieta si ricaverebbero circa 10 milioni di euro. Una cifra
che appare risibile ai sindacati di categoria che chiedono di ridurre i
privilegi dei manage pubblici piuttosto affamare i dipendenti già in
difficoltà. «Ridurre l’importo del buono pasto dei dipendenti pubblici a
5,29 euro, cioè la soglia massima esentasse, significa tornare al
valore di acquisto di 15 anni fa e quindi togliere fisicamente il pane
dalla bocca a tanti lavoratori senza far risparmiare in maniera
significativa lo Stato». Lo sostiene Franco Tumino, presidente Anseb, l’associazione delle società emettitrici buoni pasto aderente a Fipe-Confcommercio, commentando alcuni contenuti della spending review.
Su
tutti questi provvedimenti si attende il muro di partiti e sindacati
mentre è la Ragioneria centrale dello Stato a mettere le mani avanti su
un altro capitolo delicatissimo della spending review, cioè la norma del
decreto sulle aggiudicazioni di appalti che – secondo una modifica
intervenuta nel passaggio in Senato – verrà applicata anche alle
procedure di affidamento per le quali si è già proceduto all’apertura
dei plichi. Secondo gli esperti di via XX Settembre questa scelta poteva
comportare contenziosi e costare allo Stato oltre 1 miliardo di euro.
Preoccupazioni riassunte in una lettera inviata al Parlamento dalla
ragioneria generale dello Stato e dalla Consip. Oggi nelle commissioni
Affari costituzionali e Bilancio della Camera un emendamento (approvato
da Pdl e Udc, con governo e Pd contrari) ha ripristinato la regola
secondo la quale l’apertura in seduta pubblica delle buste si applicherà
solamente alle gare per le quali le buste non erano state aperte alla
data dell’entrata in vigore del provvedimento.
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