Con questa lunga intervista, il professor Bruno Amoroso, a
suo tempo allievo di Federico Caffè, definisce gli aspetti di storia
economica e di mutamenti geopolitici che hanno attraversato il pianeta
negli ultimi cinquanta anni. Un testo ricco di spunti e di riflessioni
che potrebbero innescare un interessante dibattito fra chi vuole
guardare alla crisi attuale con una prospettiva di ampio respiro.
Il professor Bruno Amoroso è uno dei pochi intellettuali italiani che
guarda alla crisi economica con lo sguardo ampio di chi è abituato ad
osservare la complessità del pianeta. Sono passati tanti anni da quando,
preconizzava uno scontro politico ed economico fra le potenze
tradizionali e quelle emergenti, uno scontro che potrebbe anche tradursi
in conflitto militare.
«Per spiegarmi debbo partire da alcune riflessioni attorno alla
crisi. Stanno cambiando velocemente i rapporti fra i diversi sistemi
economici che ridefiniscono anche la geopolitica del mondo. Nasceranno
nuovi equilibri e si tratta insomma di capire quello che sarà il futuro.
Tutto parte dal riconoscimento alla fine degli anni Sessanta, di quelli
che sarebbero stati i limiti dello sviluppo conseguenti alla scarsità
di risorse. Nasceva consapevolezza e molti fra tecnici e scienziati, non
solo marxisti, cominciavano a pensare al futuro dell’umanità. Il
sistema capitalistico funzionava basandosi sul profitto, un profitto che
avrebbe creato nuova occupazione e maggiore produzione. Si legittimava
l’espansione a livello globale. Questa capacità espansiva veniva messa a
confronto con i livelli di consumo pro capite a livello energetico. Si
definivano gli scenari di una serie di conflitti per l’accesso alle
risorse».
Un dibattito attuale ancora oggi?
«Si, sui limiti dello sviluppo. La direzione delle nostre riflessioni
era rivolta a come ripensare il modello, come uscire dal capitalismo,
come garantire il benessere tenendo conto delle risorse. Si è cominciato
a parlare di ambiente e di qualità della vita. Era un occasione storica
per l’occidente. . Se avesse fatto una critica dei propri sistemi
produttivi si poteva pensare una alternativa. Il dibattito si arenò e si
scelse un'altra: quella di bloccare lo sviluppo degli altri. La
popolazione mondiale, all’epoca di 4 miliardi, era in crescita e ha
vinto quel meccanismo, che nasce negli anni Settanta e che chiamiamo
globalizzazione. Si è arrestata anche l’espansione in Occidente,
erodendo via via lo stato di benessere, diminuendo la diffusione del
consumo di massa e limitandolo a gruppi ristretti della popolazione.
Dagli anni Ottanta ci si chiude agli altri continenti, Africa, Asia e
America Latina. Si crea quello che con un libro ho definito “Apartheid
globale” e si seguita a controllare gli altri popoli utilizzando gli
apparati militari. Si comincia ad utilizzare la loro mano d’opra a costo
più basso diminuendo quantitativamente la classe operaia autoctona. Ma
gli altri popoli se ne accorgono e reagiscono. Iniziano quelle che noi
chiamiamo rivolte islamiche nel mondo arabo e soprattutto inizia a
correre l’Asia, soprattutto la Cina. La Cina in 15 anni ha fatto quello
che l’occidente ha realizzato in un secolo e mezzo».
Si apre una fase di conflitti in concomitanza con il crollo del blocco sovietico.
«Si il primo problema diviene quello di bloccare gli altri che
cominciano a crescere. Dagli anni Settanta in poi si cominciano a dare
botte a chi tenta di rialzarsi per conto proprio. Si gettano le basi per
frantumare la Yugoslavia e poi via via si prende di mira l’Irak, e ci
si confronta con le prime rivolte arabe per il controllo delle risorse.
Si sfascia il medio oriente attraverso un nuovo tentativo di
colonizzazione ancora in atto, trasformando rivolte sociali in guerre di
religione. Ora toccherà all’Iran. Ma con l’Asia la situazione è
diversa. Rendiamoci conto che da qui a dieci anni o la Cina viene
fermata o si fa una seria autocritica e si partecipa al progresso
economico e sociale dell’Asia. Ma si tratta di una autocritica di cui
ancora non c’è traccia, si continua a guardare a certi Paesi come se
fossero ancora sospesi fra barbarie e medioevo. Un errore anche della
sinistra. Eppure noi siamo rimasti come europei, quattro gatti
spelacchiati, potremmo divenire una struttura di servizio per quei
popoli e invece si imbocca la strada che porta ad un conflitto. La Cina
chiederà presto di assumere il ruolo istituzionale che oggi è degli Usa.
Se continuiamo a dire che il nostro modo di vita non è negoziabile, se
pensiamo ad una riforma delle istituzioni internazionali garantendo a
certi paesi il solo ruolo di osservatori, significa che non abbiamo
capito nulla. Significa che vogliamo riformare le istituzioni secondo il
nostro modo di vedere le cose. Oggi il ruolo di Cina o Russia è quello
di bloccare i nostri piani di colonizzazione. Se noi non ripensiamo il
ruolo dell’occidente non ne usciamo. Le guerre in medio oriente sono in
realtà rivolte alla Cina, per impedire la sua espansione. Siamo riusciti
a trasformare il conflitto con l’islam in uno scontro fra sciiti e
sunniti per fare in modo che la guerra contro l’Iran la combattano paesi
come l’Arabia Saudita, alcuni emirati come il Qatar ecc… E in Italia
tutto questo passa sotto silenzio. Qualche mese fa è uscito un piccolo
articolo su un quotidiano, rispetto al fatto che la base americana di
Sigonella sarebbe stata abbandonata. Da anni pensavamo di farla divenire
una università euro mediterranea. Invece pochi giorni fa, in perfetto
silenzio, Monti ha concluso un accordo con la Nato per farla divenire
una base per droni, gli aerei utilizzati per omicidi mirati. Si vuole
stabilire il controllo Nato su tutto il Medio Oriente da estendere fino
alla Cina e non si può far finta di non sapere. Così si espone il Paese
ad un rischio, a ritorsioni. Risultiamo solidali e complici in un piano
imperiale che sta andando a rotoli da solo».
E perché accade questo?
«Ignoranza. Manca una analisi di quello che avviene in Asia, pensiamo
ancora il mondo come una fotocopia dell’occidente e classifichiamo
alcuni Paesi come governati dal capitalismo selvaggio e da dittature.
Eppure dimentichiamo che sono gli Stati europei ad aver inventato le
dittature, Hitler ha agito in Europa non in Cina. Invece forse accade
qualcosa di diverso che dobbiamo comprendere. Lo stesso ragionamento
vale per le “primavere arabe”. Si tratta di rivolte sostenute dall’islam
e per noi sono inconcepibili rivolte etico religiose, non sappiamo
leggerle, rischiamo di sostenere nuovi paesi che costituiranno un muro
di cemento. Comunque si tratta di forze che determineranno un nuovo
equilibrio mondiale. Noi siamo ancora presi dal discorso sull’euro, nel
frattempo Cina e Giappone hanno stretto un accordo per togliere di mezzo
il dollaro negli scambi asiatici fra le maggiori potenze. Anche il
marxismo non ha compreso questi cambiamenti. Pensavamo di restare
egemoni grazie alle tecnologie ma ora queste le hanno anche gli altri
paesi. Neanche i droni saranno sufficienti a fermare la Cina. Sei mesi
fa hanno deciso un piano di sviluppo per l’aeronautica che riguarderà
certamente anche investimenti in campo militare. Nella costruzioni di
nuove armi non c’è limite alla follia umana. La loro industria entrerà
in concorrenza con quella statunitense e verranno realizzati strumenti
offensivi terribili entro pochi anni. Anche la nostra sinistra continua a
ragionare solo di diritti, a fare il tifo per chi teoricamente li
rispetta di più e non ragioniamo su come cambiare le nostre
istituzioni».
Uno scenario inquietante
«In realtà non è la prima volta che i rapporti mondiali si
modificano. È ovvio che i rapporti monetari, cambiano con i rapporti
internazionali fra gli stati. Pensiamo a quando dollaro e oro erano
legati, Tutti organizzavano il proprio sistema a partire da questo.
Nixon, se ricordo bene, decise lo sganciamento dall’oro e ci fu un
periodo in cui si ricontrattarono i rapporti di cambio. Quando iniziò la
formazione del sistema monetario europeo e poi del Serpente monetario,
le cose cambiarono ancora. L’euro ha funzionato per 10 anni, ora
purtroppo la Germania è divenuta troppo potente e bisogna riorganizzare i
sistemi monetari come si è fatto nel secondo dopo guerra. Non si può
restare insieme per difendere posizioni di privilegio. Questo vale anche
per i rapporti internazionali, dobbiamo ridefinire radicalmente le
istituzioni. Un altro esempio per capire come non si tratti di nulla di
inedito: guardiamo la sterlina. Un tempo era moneta internazionale, con
l’impero, ora non è più dominante ed è stata sostituita negli scambi dal
dollaro. Capiterà anche al dollaro e semplicemente le persone non ne
prenderanno più per gestire gli scambi. Non sarà la fine del mondo, si
tratta di passaggi storici che andrebbero seguiti con giustizia, come
dovremmo dire da sinistra».
Una sinistra che pare in forte ritardo
«Si, spaventoso. Soprattutto rispetto alla conoscenza dei paesi
asiatici. Quando nacque il marxismo, il mondo occidentale, che
comandava, pensava a quei popoli come barbari. Lo si pensava in
Inghilterra e ne era convinto anche Marx. Non si poteva neanche
immaginare che l’egemonia occidentale potesse essere messa in
discussione. Oggi dovremmo cominciare a parlare di sistema pluralistico e
multipolare in cui ogni paese deve avere pari dignità in base alle
proprie dinamiche. Invece seguitiamo ad essere eurocentrici. Veltroni e
Obama vanno a braccetto. Sul piano culturale e teorico questo è
terribile. Alla sinistra istituzionale va bene così e si tratta di un
modello mentale che vede lo sviluppo capitalista come parte fondante
della cultura occidentale. E invece in altri paesi le cose funzionano in
modo diverso, noi utilizziamo indicatori che in altri contesti non
significano nulla e viceversa. Si tratta poi di criteri ipocriti che ad
esempio non siamo in grado di applicare in Italia e pretendiamo di
vedere applicati a Cuba».
Ce ne accorgiamo nel modo con cui sono accolti i migranti
«Non possediamo il concetto di intercultura. La nostra logica si basa
sul miserabilismo e sull’integrazione. Ovvero sul fatto che chi arriva a
lavorare qui faccia propri in toto quelli che definiamo nostri
principi. Ma noi non siamo in grado di comprendere neanche la cultura
statunitense. Ci accontentiamo di riconoscerci in quello che è scritto
nella loro costituzione, così vicino ai dettami europei eppure lì c’è la
pena di morte, esempi assurdi di comunitarismo anche di stampo
religioso, modalità particolari per determinare i processi elettorali.
Un substrato che dovremmo conoscere e invece ci chiudiamo e perdiamo».
Lo stesso concetto di Europa andrebbe rivisto?
«Il continente europeo è composto da entità diverse. Altiero Spinelli
europeista ma comunista ( anche se questo è stato dimenticato) insieme
ad altre menti forti confinate a Ventotene, ragionava su come fare ad
uscire dalle guerre, a come costruire una società di pace, come
trasformare la competizione in cooperazione fra popoli diversi che
dovevano imparare a convivere, senza annullare gli Stati nazionali. Ma
dopo 5 anni dalla fine del conflitto è iniziata la Guerra Fredda. In
funzione di questa è stata riarmata l’economia tedesca e finanziata la
sua ricostruzione. L’Europa si è militarizzata, è ridiventata
competitiva, l’Occidente si è imposto come superiore. C’era un piano
preciso, Berlino doveva diventare, in quanto divisa, una città splendida
per dimostrare come il nostro modello fosse migliore di quello
sovietico. Si è creata una Europa asimmetrica di cui hanno beneficiato
soprattutto la Germania e i paesi del confine orientale. Si pensi a come
le politiche agricole si siano trasferite da sud a nord. Il mercato
unico ha garantito investimenti all’asse tedesco olandese per realizzare
un Europa anti Urss. Col crollo del muro si è cementata questa
condizione di squilibrio. La Germania si è riunificata e in Germania si
sono costruite le istituzioni che contano ei centri di eccellenza, anche
se oggi si fa finta che nulla sia successo».
E si arriva all’euro
«Ma dobbiamo ricordarci che l’euro non è la moneta europea. È una
delle 11 monete in circolazione. Una situazione simile a quella che
c’era con il serpente monetario dove i rapporti di cambio erano basati
prima sul dollaro e poi sul marco tedesco. Ma si trattava quasi di un
accorgimento tecnico. Oggi i 10 paesi che stanno fuori dalla “zona euro”
stanno messi benino perché hanno rapporti di cambio fissi o flessibili
ma mantengono una propria sovranità monetaria, decidono dei propri
bilanci e delle proprie priorità di spesa e di investimento. Chi è
dentro l’euro non può più decidere, siamo incardinati in parametri
inaccettabili. Keynes oggi proporrebbe di tornare al serpente monetario e
di ricontrattare i rapporti monetari chiederebbe di realizzare un fondo
di solidarietà con cui i paesi ricchi possano sostenere i più poveri,
come accadde dopo la seconda guerra mondiale. La mia teoria è un'altra,
io non penso di tornare alle monete nazionali: i 17 paesi che utilizzano
l’euro sono divisi fra una zona forte, concentrata in Germania e una
diversa e indebolita che corrisponde al sud ma in parte comprende anche
la Francia. Restiamo dentro l’euro ma ridiscutiamo per definire due aree
due diversi euro con un rapporto di cambio che favorisca paesi più
deboli e istituisca un fondo di solidarietà. La formula giusta sarebbe
quella keyenesiana ma dobbiamo dirci una cosa. I borghesi non è che non
capiscono e li si può convincere della fondatezza delle nostre opinioni.
Fanno semplicemente un lavoro diverso, difendono i propri interessi .
Io non penso ad un euro forte e a uno debole ma a due aree produttive
diverse. Da economista dico che teoricamente si può fare, certo che ci
sono aspetti politici che non analizziamo perché siamo presi dalla
retorica dei diritti. Le leggi non modificano gli assetti produttivi,
noi dobbiamo arrivare a ricontrattare su posizioni di forza e non
ridurci, ogni singolo paese, a cercare di ottenere favori dalla
Germania».
In quale maniera e con quali soggetti in campo?
«Se la si smettesse di condannare la Grecia, se i paesi del Sud
Europa e i movimenti sociali che li attraversano si unissero attorno
alla Grecia in un fronte comune potrebbero tutti insieme andare a dire
due cose alla Merkel, parlando di mercato unico e di coesione sociale.
Dovremmo dire: “cari amici ricontrattiamo rapporti di cambio e
lasciateci la nostra sovranità ed in cambio lasciamo aperto il mercato
unico e garantiamo la coesione sociale. Altrimenti chiudiamo il mercato
unico”. La Germania sarebbe costretta a trattare, sarebbero messe a
rischio le sue possibilità di esportazione. Finora ci si è arenati nel
rapporto fra singoli Stati che hanno perso e perdono sempre più
sovranità. Ci sarà comunque un crollo dell’euro: o escono i paesi deboli
o la Germania. Bisogna noi avanzare una proposta politica per il blocco
sociale sud europeo. Su questo la nostra sinistra ancora discute su
come mettersi in relazione con i movimenti di protesta. Monti è
appoggiato dal Pd perché ha contrattato con la Merkel, ma non può
rinegoziare nulla da solo. In questo senso il contesto è cambiato. Negli
anni del boom se non c’era il rischio del comunismo non ci sarebbe
stato il welfare, oggi occorre ancora costruire un blocco sociale capace
di confrontarsi per ridare sovranità politica ai popoli in cambio di
una apertura condizionata dei mercati. In Grecia e in Spagna ci sono
movimenti molto estesi, solo l’Italia non si muove. C’è stata la grande
intuizione di occupare la piazza della Banca d’Italia ma poi le nostre
sinistre che non avevano capito, hanno portato le proprie bandiere e
hanno tentato di dirottare la protesta contro Berlusconi e la Gelmini e i
ragazzi che erano in piazza da una settimana si sono giustamente
incazzati La sinistra deve imparare ad offrire sponda a questi movimenti
e non pensare solo a difendere i propri percorsi. Possiamo anche
vincere dieci referendum ma poi non cambia nulla invece dobbiamo
attrezzarci per sfondare, insieme, un grande muro».
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