martedì 31 gennaio 2012

Come ti svendo i beni comuni - di Antonio Musella, Micromega

Il decreto "CrescItalia" privatizza le municipalizzate. In passato ciò ha portato solo corruzione, peggioramento dei servizi e aumento delle tariffe. Come per l’acqua pubblica è necessario mobilitarsi - anche attraverso un nuovo referendum abrogativo - per difendere i nostri “beni pubblici”.

di Antonio Musella

I professori del governo Monti c'hanno detto che dobbiamo rimettere in moto l'economia per uscire dalla crisi. I profeti della tecnocrazia all'italiana, quella con i poteri forti direttamente all'interno dei dicasteri strategici del governo nazionale, quelli che hanno costruito lo stato d'eccezione entro al quale si muove la governamentalità italica, ci dicono che per la ripresa dell'economia servono le liberalizzazioni. In base a questo assunto nasce il decreto CrescItalia, insieme di norme che incidono in maniera strutturale rispetto al governo del “pubblico” su temi e servizi assolutamente centrali. Mentre alcuni titoli del decreto interessano le corporazioni e gli ordini, l'attenzione che vogliamo qui riportare è sul Capo V quello che riguarda la “promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali”. L'articolo 26 del decreto CrescItalia apre ad uno stravolgimento strutturale rispetto alla gestione e l'erogazione dei servizi pubblici locali. I trasporti (su ferro, su gomma e via mare), la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, la gestione dei parcheggi, ed in generale tutti quei servizi che vengono gestiti dalle cosiddette aziende municipalizzate.

Occorre ricordare che la quasi totalità di queste aziende sono comunque delle strutture che rispondono al diritto privato. Dalle riforme di Treu, Bersani e Bassanini in poi, quindi dall'epoca del primo governo Prodi, i servizi pubblici locali sono gestiti dalle s.p.a che possono essere a capitale interamente pubblico oppure con la partecipazione dei privati, annoverandosi in questo modo nella categoria delle “partecipate”. La maggior parte di queste aziende nell'ultimo decennio sono state attraversate dai peggiori processi speculativi e di costruzione delle clientele politiche. Non è un caso che i principali scandali legati alla corruzione abbiano avuto come teatro di svolgimento proprio le aziende partecipate. E' il caso dell'ATAC e dell'AMA romane, con tutti gli amici di Alemanno ed i “corsari neri” neofascisti accasati nei consigli d'amministrazione e nei posti dirigenziali. Ma non solo, basta pensare alle vicende che in passato hanno attraversato l'ASIA (azienda di raccolta dei rifiuti) a Napoli, con il meccanismo dei subappalti ai privati, oppure altri casi, spesso poco noti come la Te.Am di Teramo in Abruzzo, i casi di corruzione nella pubblica amministrazione a Parma, di Torino con la vicenda AMIAT, solo per citare alcuni esempi

Proprio le cosiddette “partecipate” sono diventate in questi anni il nodo principale della corruzione in Italia. Sia come luogo di clientele, sia per quello che riguarda la gestione dei subappalti. In tutti i casi ciò che è stato penalizzato da quel processo messo in piedi dai governi di centro sinistra è stata la qualità del servizio pubblico offerto ai cittadini e le tariffe delle utenze.
Questa premessa è necessaria per inquadrare come l'articolo 26 del decreto CrescItalia interviene in maniera strutturale proprio sul tema dei servizi. In tempi in cui la definizione di bene comune viene spesso abusata ed è senza dubbio soggetto di una sperequazione in termini teorici e spesso di una speculazione in termini politici, appare necessario sottolineare che proprio i servizi pubblici come beni materiali ed immateriali possano annoverarsi in maniera corretta nel campo dei beni comuni.

Secondo il decreto l'erogazione dei servizi pubblici deve essere messa a gara entro il 2012 prevedendo anche dei limiti alla partecipazione societarie per gli enti locali. Si prevede anche la possibilità di un’unica gara per l'affidamento simultaneo per tutti i servizi pubblici. In pratica in una unica soluzione tutta la sfera dei servizi pubblici potrebbe essere svenduta alle multiutility in un solo giorno.
Alle imprese che si aggiudicano il servizio è richiesto, sempre dall'articolo 26, di presentare un piano delle economie. Tradotto e specificato significa che le imprese che partecipano alla gara per la gestione dei servizi pubblici devono presentare un piano per “l'efficientamento del personale”. In pratica esuberi, mobilità e licenziamenti.
Per i trasporti regionali su ferro è prevista una proroga di sei anni, al termine dei quali anche questo servizio dovrà essere messo a gara d'appalto.

Il solo modo per rinviare (ma di poco) l'appuntamento con la privatizzazione dei servizi pubblici locali, è quello di costituire delle società in house entro il 31.12.2012 che si propongano come gestori di quel tipo specifico di servizio per il bacino territoriale o ambito territoriale ottimale di competenza. In pratica un’azienda di trasporti a 100% di controllo pubblico può mantenere il servizio solo se si propone a gestirlo nell'intero bacino di utenza, magari l'intera provincia. Bisognerà verificare quanti e quali aziende e quanti e quali Comuni saranno in grado di far valere questa norma. La svendita, come detto, è solo rimandata al 2015. L'articolo 26 infatti ci dice che la gestione del servizio per l'intero bacino per società in house che si propongano come gestori del servizio nell'intero bacino può valere per soli 3 anni, trascorsi i quali il servizio dovrà essere messo a gara.

Siamo di fronte ad uno stravolgimento strutturale dei servizi pubblici. Un passaggio di una gravità enorme che non può passare sotto silenzio. A seguito della privatizzazione dobbiamo essere consapevoli che non potrà più esserci nessun controllo pubblico sulla qualità del servizio, sulle condizioni di lavoro degli operatori, soprattutto non ci sarà nessun controllo pubblico sul costo delle tariffe. In questo modo anche l'articolarsi di percorsi di conflitto rispetto ai servizi pubblici si scontrerà con l'annullamento della funzione di indirizzo delle istituzioni.
Difendere i servizi pubblici oggi può e deve essere terreno di investimento dei movimenti in difesa dei beni comuni.

Innanzitutto bisogna rompere con la stagione delle s.p.a e delle società partecipate. I Comuni devono riacquistare le quote vendute ai privati nelle aziende che gestiscono i servizi. Il ruolo delle multiutility infatti prima ancora che a seguito della privatizzazione dei servizi viene agito già ora in termini speculativi con la partecipazione fino al 49% nelle aziende municipalizzate. Ci sono dei casi limite che godono anche di santificazione da parte di partiti politici come il Pd. E' il caso del ruolo di Hera in Emilia Romagna, multiutility che già controlla un pezzo importantissimo dei servizi pubblici nella regione di Errani e Bersani. Per questo bisogna lanciare una campagna per la trasformazione delle aziende partecipate, che sono delle s.p.a, in aziende pubbliche speciali come nel caso della trasformazione a Napoli della ARIN s.p.a in Acqua Bene Comune Napoli azienda speciale. Attraverso questo tipo trasformazione è possibile che la gestione dei servizi in house fino al 2015 possa servire per prendere tempo e preparare piani contro l'attuazione dell'articolo 26 del decreto CrescItalia. Ma fermare la norma del governo Monti non può che essere una battaglia popolare. Per questo l'ipotesi più plausibile resta quella del referendum abrogativo da presentare entro il 2015.

Per fare questo abbiamo però bisogno di lanciare da subito una campagna di lotta in tutto il paese. Già nei contenuti del referendum contro la privatizzazione dell'acqua vinto nel giugno 2011 esisteva l'esplicito riferimento all'intera sfera dei servizi pubblici. Il ritiro della norma del decreto CrescItalia che annullava l'esito referendario sull'acqua ha messo dunque al riparo solo la gestione del servizio idrico integrato.

Tanti sono gli articoli del CrescItalia che dovrebbero essere oggetto di approfondimento e di mobilitazione sociale. Ad esempio l'articolo 25 sullo smantellamento delle centrali nucleari che stabilisce la costruzione del Deposito Nazionale dei rifiuti nucleari e definisce le pratiche per la costruzione di questo mandandole in deroga alle normative vigenti fatta salva la Valutazione d'Impatto Ambientale.
Oppure l'articolo 44 che prevede l'ingresso dei privati in project financing nella costruzione delle carceri, unica risposta che il governo Monti sembra dare alle condizioni disumane in cui si vive nelle patrie galere. Ed ancora l'articolo 55 che dà la possibilità ai comuni di emettere obbligazioni per la costruzione di opere pubbliche dando in garanzia ai possessori dei titoli beni del patrimonio immobiliare di pari valore dell'opera. In caso di ritardi ci sarà una svendita a costo zero del patrimonio immobiliare dei comuni che verrà così sottratto alla pubblica utilità per finire nelle mani dei grandi speculatori.

In materia di sviluppo, fuori per quello che ci riguarda da ogni ipotesi tardosviluppista ed infarcita dal paradigma della crescita fordista, sarebbe interessante ragionare invece sulla proposta che Luciano Gallino ha lanciato su Repubblica, poi ripresa sul sito di MicroMega.

Un piano per le piccole opere che lo Stato potrebbe mettere in atto qualificandosi come datore di lavoro di ultima istanza. Un piano per affrontare temi seri che poco hanno a che fare con le speculazioni ed invece molto hanno a che fare con la difesa dei beni comuni: il riassetto idrogeologico del territorio, la ristrutturazione delle scuole e quella degli ospedali. Un piano da attuare attraverso un'Agenzia per l'occupazione trovando le risorse nella fiscalità generale attraverso una patrimoniale di scopo ed una quota degli ammortizzatori sociali sostituendo la cassa integrazione straordinaria con un lavoro vero pagato decentemente. Una proposta, quella di Gallino, che si coniuga bene anche con un’idea di riconversione ecologica complessiva delle attività produttive del nostro paese e che pone l'accento intorno alla difesa dei beni comuni, non come feticcio da agitare ma come piano d'azione concreto su cui mettere a valore il portato delle lotte sociali.

Proposte lontane dalle grandi opere che distruggono i territori come la Tav, che invece il governo dei professori vuole intendere come unico modo, insieme alle privatizzazioni, per uscire dalla crisi.

Sai davvero cosa mangi?


Sai davvero cosa mangi? Guarda il video Food e lo saprai…..
Vi segnaliamo il dccumentario FOOD inc. di Robert Kenner che affronta in modo diretto e senza giri di parole il tema della produzione di massa di cibo negli Stati Uniti analizzando tutte le fasi della catena produttiva.
L’accusa che lancia Kenner in Food è molto forte: che vengano deliberamente nascoste dai produttori ai consumatori informazioni essenziali su processo di produzione, origine, ingredienti , utilizzo di pesticidi, ammonio etc…
Un video verità che se ci fossero ancora dubbi ci proietta verso la necessità di un’alimentazione sempre più biologica e consapevole!
Vi riportiamo da Youtube il trailer di Food sotto, nel player di youtube troverete anche le 9 parti successive

Rifiuti, Federambiente: «Costi di gestione indifferenziato il doppio di quelli per differenziato»













Il dato emerge dal Green Book 2012. Secondo il presidente Fortini, in Italia ancora il 40% dei rifiuti finisce in discarica, spesso senza aver subito alcun trattamento. La spesa media di una famiglia è 240 euro all’anno
In Italia, i costi associati alla gestione dei rifiuti indifferenziati hanno un peso doppio sui costi totali rispetto a quelli per i rifiuti differenziati. È uno dei dati più significativi contenuti nel Green Book 2012 di Federambiente e Utilitatis, presentato a Roma. Un rapporto che analizza gli «aspetti economici della gestione dei rifiuti urbani in Italia», spaziando dagli assetti istituzionali agli aspetti micro settoriali, fino allo studio dei bandi di gara.
Un altro dato interessante lo fornisce il presidente di Federambiente Daniele Fortini durante la presentazione: nel nostro Paese ancora il 40% dei rifiuti (con punte dell’80% al Sud, aggiunge l’ad di Ama Salvatore Cappello) finisce in discarica, spesso senza aver subito alcun trattamento utile per minimizzare il potenziale di inquinamento.
Per quanto riguarda i dati più strettamente economici, Utilitatis ha calcolato anche la spesa media di una famiglia per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti: un nucleo di tre persone che vive in un’abitazione di 80 metri quadrati nel 2011 ha speso in media 240,37 euro, «con un esborso più elevato nel Centro (279,76 euro all’anno) e al Sud (274,74) e inferiore al Nord Ovest (199,91)».
In merito invece alla spesa dei Comuni, il rapporto evidenzia che nel 2009 (ultimo anno disponibile), «il costo della gestione (dei rifiuti, ndr) si attesta a 8,5 miliardi di euro, determinati per il 95% da spese correnti, con un aumento del 4% rispetto al 2008. Lazio e Lombardia sostengono i costi maggiori. Il costo pro capite medio sostenuto dagli enti locali è pari a 139,7 euro per abitante, mentre rispetto alle quantità gestite si raggiunge un costo medio di 263,8 euro a tonnellata». Spendono meno i Comuni e gli Ato di medie dimensioni.
di Veronica Ulivieri Eco dalle Città
Per scaricare il Rapporto: http://www.utilitatis.org/book/green_book/2012greenbook.html

Rifiuti Zero: gli Osservatori di tutta Italia a Capannori il 3 e 4 Febbraio























SABATO 4 FEBBRAIO CAPANNORI OSPITA IL PRIMO INCONTRO NAZIONALE DEGLI OSSERVATORI ‘RIFIUTI ZERO’ .

Varie realtà italiane a confronto sulle esperienze più innovative, come la Tia Puntuale. Ciacci: ”Un’occasione importante per fare il bilancio di quanto realizzato finora”
Sarà Capannori ad ospitare il primo incontro nazionale degli ‘Osservatori Rifiuti Zero’ sabato 4 febbraio nell’auditorium di piazza Aldo Moro. Un appuntamento significativo, perché per la prima volta tutti questi importanti organismi che rappresentano non solo le istanze degli amministratori ma anche quelle dei ‘soggetti dal basso’, ovvero movimenti e società civile, sederanno intorno allo stesso tavolo per fare il punto sui risultati sinora raggiunti.Il bilancio degli Osservatori Rifiuti Zero - sarà presente anche quello di Napoli – si focalizzerà in particolare sui risultati raggiunti in merito alla Tariffa Puntuale che a Capannori è stata introdotta lo scorso 2 gennaio in via sperimentale in alcune frazioni e sarà estesa a tutto il territorio comunale entro il 2012.Ad aprire la giornata alle ore 9 sarà il sindaco, Giorgio Del Ghingaro cui spetterà l’intervento introduttivo dell’iniziativa. Seguiranno gli interventi di molti partecipanti tra cui il professor Paul Connett presidente di numerosi osservatori Rifiuti Zero, Joan Marc Simon di Zero Waste Europe, Enzo Favoino membro di vari Osservatori, Roberto Cavallo anch’egli presente in vari osservatori Concetta Mattia di Anpas Nazionale, Patrizia Lo Sciuto, Zero Waste Italy, Franco Matrone dei Comitati Vesuviani, Agostino di Ciaula di Cittadinanzattiva della Puglia, Massimo Piras di Zero Waste Lazio e Riccardo Pensa della fondazione Volontariato e Partecipazione.A coordinare la giornata saranno l’assessore all’ambiente, Alessio Ciacci e Rossano Ercolini della Rete Italiana Rifiuti Zero.“L’appuntamento del 4 febbraio riveste molta importanza – dichiara l’assessore all’ambiente, Alessio Ciacci – perché è il primo incontro degli osservatori italiani rifiuti zero dopo l’incontro internazionale dello scorso 9 ottobre svoltosi a Capannori, che di fatto ha sancito l’avvio di un percorso di coordinamento operativo nazionale dei Comuni Rifiuti Zero e dei vari soggetti e progetti che fanno parte di questo importante percorso. Sarà infatti l’occasione per tracciare il bilancio delle attività svolte finora e per gettare le basi per quelle future. L’obiettivo rifiuti Zero al 2020, a cui per primo il Comune di Capannori ha aderito a livello nazionale, ma che ormai conta oltre 70 adesioni si fa sempre più vicino: anche nel 2011 si è infatti riscontrato un’ulteriore riduzione dei rifiuti prodotti a Capannori ed una riduzione dei rifiuti a smaltimento passati nel 2011 a 5.400 tonnellate mentre erano 11.500 nel 2008 e 19300 nel 2004”.L’incontro nazionale sarà preceduto dalla riunione aperta del team operativo del Centro di Ricerca Rifiuti Zero del Comune di Capannori in programma venerdì 3 febbraio alle 17 nella sala riunioni e dalla presentazione del libre “Meno 100 chili-ricette per la dieta della nostra pattumiera’ di Roberto Cavallo (Edizioni Ambiente) che sarà presentato alle ore 21.00 all’Auditorium di piazza Moro alla presenza dell’autore.Le due giornate sono promosse dal Comune in collaborazione con Osservatorio Rifiuti Zero, progetto Active, Ascit, Ambiente e Futuro, Rete Nazionale Rifiuti Zero, Zero Waste Italy e Zero Waste Europe.
Per informazioni e iscrizioni: rifiutizero@comune.capannori.lu.it ;

www comune.capannori.lu.it.

Fonte: http://www.ciaccimagazine.org

domenica 29 gennaio 2012

Così le banche speculano coi soldi Bce



Gli istituti di credito ricomprano le loro obbligazioni invece di finanziare le imprese. Grazie a queste operazioni finanziarie, Unicredit potrà incassare fino a 500 milioni di euro di utili
 
L’argomento è di quelli che i banchieri preferiscono evitare con cura. Comprensibile, dal loro punto di vista. Di questi tempi, con migliaia di aziende con l’acqua alla gola, è meglio non parlare di come gli istituti di credito italiani hanno intenzione di utilizzare la colossale iniezione di liquidità, qualcosa come 116 miliardi di euro, che hanno ricevuto dalla Banca centrale europea (Bce) a un tasso irrisorio, l’1 per cento. Meglio lasciar perdere, quindi. Oppure affidarsi a difese d’ufficio come quella di Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi (la Confindustria delle banche), che in una recente intervista al Sole 24 Ore ha definito “sostitutiva e non aggiuntiva ” la liquidità fornita dalla Bce. Come dire: in autunno la crisi del debito ci ha impedito di raccogliere quanto volevamo sui mercati e i prestiti dell’istituto di Francoforte ci danno una mano a tirare avanti.

Tutto vero, il punto in discussione però è un altro. E cioè: come verranno impiegati questi soldi? I banchieri ne parlano malvolentieri, ma non è un mistero che buona parte della liquidità servirà a sottoscrivere Bot e Btp. Il governo, sempre a caccia di sottoscrittori del debito pubblico, non può che apprezzare questa scelta. E, per di più, l’operazione fa bene anche al conto economico degli istituti, visto che la liquidità ottenuta all’ 1 per cento viene impiegata in titoli con rendimento ben superiore.

Non finisce qui. Di recente le banche hanno trovato anche un altro modo molto redditizio per utilizzare la montagna di soldi piovuta in cassa grazie alla Bce. Questa volta i prestiti di Francoforte servono a comprare, o meglio a ricomprare, le obbligazioni a suo tempo collocate dagli stessi istituti di credito. Funziona così. In circolazione ci sono bond per miliardi delle maggiori banche che hanno quotazioni molto lontane dalla parità. Poniamo, per esempio, 90. Se l’istituto li acquista, si assicura per 90 ciò che fra qualche anno avrebbe dovuto rimborsare a 100. Il guadagno è quindi pari al 10 per cento. In più, molto spesso, i titoli già sul mercato hanno caratteristiche tali che in un futuro prossimo non potranno più essere utilizzati per il calcolo dei ratios patrimoniali di vigilanza. Di conseguenza, se queste obbligazioni vengono ricomprate e cancellate, poi possono essere sostituite con altri bond che invece, a differenza delle altre, servono a migliorare i requisiti di patrimonio.

Tutto facile, facilissimo, soprattutto se le banche sono in grado di mettere in campo un arsenale con miliardi di euro da spendere. Per primo è partito Unicredit, che proprio ieri ha chiuso con successo il suo maxi aumento di capitale da 7, 5 miliardi. L’istituto guidato da Federico Ghizzoni ha annunciato che comprerà 3 miliardi di proprie obbligazioni. Nelle prossime settimane, se arriverà il via libera da Bankitalia, la stessa strada potrebbe essere seguita anche da altre banche come Ubi, Banco Popolare, Monte dei Paschi. In palio ci sono profitti per centinaia di milioni. Unicredit, per esempio, potrebbe riuscire a guadagnare poco meno di 500 milioni. E in tempi di bilanci non proprio brillanti quei soldi fanno molto comodo. E il denaro per ridare fiato alle aziende? A quello i banchieri ci penseranno più avanti. Magari dopo il prossimo finanziamento targato Bce. A meno che anche quella non sia “liquidità sostitutiva e non aggiuntiva”, per dirla con l’Abi.

Vittorio Malagutti, Da Il Fatto Quotidiano

BUONE NOTIZIE DA NAPOLI - di Raffaele Tecce, www.controlacrisi.org

 
Si è svolto ieri a Napoli il Forum dei Comuni per i Beni Comuni indetto dalla Amministrazione Comunale partenopea guidata dal Sindaco de Magistris con la partecipazione di circa 1500 aderenti dei quali un migliaio di amministratori comunali, provinciali e regionali provenienti da tutta Italia . Al centro della riflessione, introdotta dall' assessore napoletano ai beni comuni Alberto Lucarelli, la proposta di costruire una "rete dei comuni per i beni comuni" capace di definire proposte e conflitto in particolare su due obiettivi: 
1) contrastare le norme anticostituzionali del decreto di Berlusconi di ferragosto, accentuate nel decreto Monti sulle liberalizzazioni ,tese a obbligare i Comuni a tappe forzate alla privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali e del patrimonio pubblico, in contrasto, al di la della apparente esclusione da queste norme del servizio idrico integrato ,con lo spirito e la lettera del quesito referendario su cui si sono pronunciati 27 milioni di elettori. 
2) un "patto dei comuni contro il patto di stabilità ", figlio della politica liberista europea sintetizzata dai parametri di Mastricht, lesivo di ogni autonomia di Comuni intesi come enti di prossimità più vicini ai bisogni dei cittadini.
Senza rompere la gabbia d'acciaio del patto i Comuni non potranno più garantire diritti e servizi costituzionalmente garantiti ai cittadini (dal welfare, alla casa, alla scuola, ai trasporti ecc.) violando le norme che garantiscono a tutti i cittadini livelli essenziali di prestazioni e sarà impossibile ogni intervento pubblico mirato allo sviluppo a tutela dei soggetti più colpiti dalla crisi. E' in questo quadro essenziale - è stato ribadito in molti interventi - impegnarsi nella battaglia contro l'inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione , contrastando il tentativo avviato in Parlamento di modifica dell' l'art. 81: tale modifica costituzionale, infatti, impedirebbe ogni intervento pubblico in economia.
Per raggiungere questi obiettivi è necessario intrecciare fortemente democrazia locale con democrazia partecipativa - è stato ribadito in moltissimi interventi - costruendo come rete dei Comuni un conflitto ed una vertenza col Governo fino a forme di disobbedienza civile impegnando, ad esempio, i Comuni stessi, se non ci saranno modifiche legislative, ad una azione coordinata e consapevole di non applicazione del patto di stabilità: è infatti lesivo di ogni autonomia finanziaria non poter spendere, a causa degli astrusi parametri del patto, risorse disponibili ritardando pagamenti a fornitori, piccole imprese e cooperative sociali, determinando ulteriori effetti recessivi sul tessuto economico locale già colpito dalla crisi e non politiche espansive.
Il Forum si è articolato, dopo la seduta introduttiva plenaria tenutasi al Teatro Politeama, in 4 tavoli di lavoro (Economia del territorio e bilanci degli EELL; Beni Comuni, partecipazione e servizi pubblici; Politiche del welfare,diritti dei migranti e del lavoro; Ambiente e nuovi modelli urbani) tenutisi al Maschio Angioino con la presenza di tutti i partecipanti e nei quali hanno preso la parola, complessivamente, circa 200 soggetti istituzionali ed associativi.
Al Forum sono stati presenti e sono intervenuti moltissime compagne e moltissimi compagni del PRC a partire dal segretario Paolo Ferrero e dal portavoce della FDS Massimo Rossi che, come consigliere provinciale e storico animatore delle battaglie per il bilancio partecipativo e per l'acqua pubblica,ha svolto una delle relazione nel tavolo sui servizi pubblici locali.
Nelle conclusioni si è deciso di render permanente la" rete dei comuni per i beni comuni" e di prevedere continuità a questa esperienza dandosi appuntamenti trimestrali per portare avanti i punti programmatici definiti, che saranno sintetizzati in una "carta".
La tavola rotonda finale con i Sindaci Emiliano e Zedda,con il presidente della Puglia Vendola, con l' operaio FIOM della FIAT di Pomigliano Di Luca, miliante del PRC - che ha sottolineato la inscindibilità della battaglia per i diritti dei lavoratori con quella per i beni comuni - è stata conclusa dal Sindaco di Napoli Luigi de Magistris che, dopo aver ringraziato tutti i partecipanti per aver raccolto l'invito di venire a confrontarsi a partire dal "laboratorio Napoli", ha aperto una riflessione su come valorizzare la partecipazione dei cittadini alla azione amministrativa locale anche al fine di costruire un alternativa a livello nazionale.

Gli arresti non tornano


 



Caselli l'ha fatta così grossa, sul piano strettamente giuridico e politico, che non poteva non essere notato. Livio Pepino, magistrato e democratico, glielo fa notare in punta di diritto.





Gli arresti non tornano

L'emissione, nei giorni scorsi, della misura cautelare nei confronti di alcune decine di esponenti No Tav per fatti avvenuti sette mesi fa non è una forzatura soggettiva (e, anche per questo, sono sbagliate le polemiche e gli attacchi personali). È qualcosa di assai più grave: una tappa della trasformazione dell'intervento giudiziario da mezzo di accertamento e di perseguimento di responsabilità individuali (per definizione diversificate) a strumento per garantire l'ordine pubblico. Provo a spiegarmi con qualche esempio.
 
Primo. Non era in discussione - e non lo è, almeno per me - la necessità di effettuare le indagini necessarie ad accertare le responsabilità per reati commessi nel corso delle manifestazioni. Ma non è indifferente il modo in cui ciò è avvenuto. Cominciamo dalle misure cautelari. Non erano obbligatorie e, dunque, la loro emissione è stata una scelta discrezionale. Di più, i reati contestati consentono, in astratto e con il bilanciamento di aggravanti e attenuanti, la sospensione condizionale della pena o l'accesso immediato a misure alternative al carcere.
Dunque la regola era procedere con gli indagati in condizioni di libertà. Perché, allora, la scelta dell'arresto?

L'ordinanza del giudice per le indagini preliminari lo dice quasi con candore: «I lavori per la costruzione della linea ferroviaria Torino-Lione proseguiranno almeno altri due anni; pertanto, non avrà fine, a breve termine, il contesto in cui gli episodi violenti sono maturati; peraltro, il movimento No Tav ha pubblicamente preannunciato ulteriori iniziative per contrastare i lavori». L'indicazione del movimento No Tav e della sua azione di protesta come bersaglio della misura non potrebbe essere più esplicita.
 
Secondo. C'è nel diritto penale, e prima ancora nella civiltà giuridica, un principio di fondo secondo cui la responsabilità è personale e va graduata in base alle caratteristiche dei fatti. Nell'ordinanza, al contrario, il giudizio su ciò che è accaduto nei pressi del cantiere della Maddalena il 27 giugno e il 3 luglio dell'anno scorso si sovrappone in toto alle condotte individuali. Si parte, certo, dall'analisi dei fatti attribuiti a ciascuno ma poi, quasi subito, questo riferimento scompare. Così - avendo come riferimento alcuni frammenti degli scontri avvenuti in quelle giornate - si definiscono «gravi», al punto da giustificare l'arresto, condotte come «afferrare per un braccio un operatore di polizia allo scopo di ostacolarne l'avanzata» o «far parte del gruppo di manifestanti accorsi con una paratia mobile per ostruire il passaggio». Di più, queste condotte, accompagnate dal «permanere nel contesto degli scontri», comportano la contestazione di lesioni in danno di 50 agenti, dovendo ritenersi «superflua l'individuazione dell'oggetto specifico che ha raggiunto ogni singolo appartenente alle forze dell'ordine rimasto ferito, come lo è l'individuazione del manifestante che l'ha lanciato, atteso che tutti i partecipanti agli scontri devono rispondere di tutti i reati (preventivati o anche solo prevedibili) commessi in quel frangente, nel luogo dove si trovavano».
 
Terzo. Per valutare i fatti è necessario collocarli nel contesto in cui avvengono. E invece, nell'ordinanza, il contesto scompare. Sparisce la complessità di due giornate convulse in cui è accaduto di tutto: anche la commissione di reati ma, a fianco e contestualmente, una grande mobilitazione il cui fine non era aggredire le forze di polizia ma ostacolare l'apertura e disturbare la realizzazione di un cantiere ritenuto illegittimo. Spariscono gli "scontri" e tutto si riduce - a dispetto della realtà - a una aggressione collettiva e preordinata nei confronti un bersaglio considerato fisso, immobile e inattivo. Sparisce il lancio - fittissimo - di lacrimogeni, al punto che il possesso di fazzoletti, occhialini, maschere antigas, limoni e finanche farmaci viene considerato come «elemento fortemente indiziante la preordinazione e il perseguimento di un unico, comune, obiettivo» violento anziché come mezzo per proteggersi dal fumo e dai gas e che tutto è decontestualizzato con conseguente assimilazione di fatti diversi (mentre non sono, all'evidenza, la stessa cosa un gesto isolato di rabbia o reazione e una condotta aggressiva preordinata e protratta nel tempo).
Tanto basta per segnalare che la questione riguarda direttamente il rapporto tra conflitto sociale e giurisdizione e non solo - come si cerca di accreditare - alcune frange isolate ed estremiste.
 
Livio Pepino, da "il manifesto" del 29 gennaio

La Repubblica e il Regime di Fucik, Il Manifesto

Sono sicuro che venerdì qualche redattore del quotidiano scalfariano ha avuto problemi di traffico. E quindi sia stato costretto a chiedersi: «ohibò, che succede?». Il suo giornale non glielo aveva detto. Purtroppo, anche dopo, i giornalisti di Repubblica hanno continuato a ignorare la realtà. Solo un accenno a pagina 9 della cronaca romana, in 9 righe 9: «Sciopero di bus, metro e treni, si fermano tre autisti su dieci». Lo sciopero generale nazionale non c'era mai stato; comunque andava «ridimensionato» Persino l'Atac (l'azienda comunale di trasporto pubblico, attivissima nella guerra delle cifre), aveva ammesso: sono più del 40%. 
Se c'è una cosa che distingue una repubblica da una dittatura è la verità dell'informazione. A Repubblica, invece, ciò che non piace - in questo caso un semplice sciopero del sindacalismo di base - non esiste. E anche se «si deve» dirne qualcosa, che sia minimizzato. 
L'Unità, stesso partito di riferimento, ha sfornato un'ottima analisi online del significato politico di questo sciopero. Ma neppure una riga sulla versione in edicola. 
C'è aria di regime, ma in veste «democratica» per autocertificazione. Ci si può consolare solo con l'immenso Altan, che ieri profetizzava «Semplifichiamo. Protesta uno solo, via internet». Non ridete troppo: è un programma di governo. Domanda: può uno «di sinistra» affidarsi a un giornale come quello?

sabato 28 gennaio 2012

RIFIUTI: COSTO O RISORSA? L'ESEMPIO DI CAPANNORI

VENERDI’ 10 FEBBRAIO
Ore 18,00
Sala riunioni Hotel Asso di Coppe - Deruta
DIBATTITO PUBBLICO





partecipano:
Alessio Ciacci
Assessore Politiche ambientali
Comune di Capannori
Luciano Concezzi
Presidente Società Igiene
Ambientale S.p.a.
Marco Montanucci
Comitato Umbro Rifiuti Zero
Umbertide 
Luca Baldelli
Consigliere Provinciale
Perugia
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DOPO VERBENA...MONTI
Dopo che negli ultimi tre anni l’Amministrazione VERBENA ha aumentato la Tassa sui rifiuti del 35% adesso, con l’introduzione da parte del governo MONTI della TARES, un’ulteriore stangata si abbatterà sui cittadini: secondo le previsioni della Camera di Commercio di Perugia gli aumenti saranno dell’ordine del 10 - 20 per cento.
ADESSO BASTA! Bisogna cambiare sistema

Maurizio Landini: perchè scenderemo in piazza l’11 febbraio




Per anni ci è stato spiegato che il mercato avrebbe perseguito il bene comune, come la «Dea bendata» della giustizia avrebbe di per sé ribilanciato i piatti della distribuzione del profitto, invece il 10 per cento del paese detiene quasi il 50 per cento delle ricchezze. Quello che stupisce è che questo non desti nessuno scandalo, anzi. L’opera di rimozione delle cause della crisi rende la crisi stessa un fenomeno straordinario ma naturale come uno tsunami che arriva imprevedibile, devasta e lascia dietro di sé macerie senza alcuna possibilità di intervenire per eliminare le cause che lo hanno scatenato. Forse l’unico sentimento che si riesce a provare per chi un lavoro lo perde o non riesce a trovarlo è un po di compassione proprio come verso le persone che hanno subito una calamità. Non può essere questa la lettura, perché così si è passati dall’incertezza del futuro alla paura del domani. La crisi economica e finanziaria che ha sconvolto le società occidentali sta presentando un conto pesantissimo per le lavoratrici, i lavoratori e i giovani nel nostro paese. Il bilancio drammatico dei suicidi dati dalla disperazione per la mancanza di speranza sul futuro dovrebbero allarmare chi nel corso degli ultimi due anni ha inforcato gli occhiali dell’eccezionalità che, con qualche azione tecnica, avrebbe nel giro di poco riattivato la crescita o se non altro almeno attenuato gli effetti del calo produttivo e dei consumi.

Il nuovo anno invece si è aperto con novità che non fanno ben sperare: le migliaia di esuberi dichiarati da Fincantieri, la mancanza di un piano industriale per la Fiat, la chiusura di uno stabilimento dell’Alcoa con cinquecento occupati a cui bisogna aggiungere l’indotto, solo per citare alcuni casi eclatanti. Inoltre, moltissime aziende hanno esaurito o stanno esaurendo gli ammortizzatori sociali con conseguenze di proporzioni ad oggi non quantificabili sull’occupazione. Il 2012 rischia di essere un anno nel segno dei licenziamenti. La crisi sta presentando un conto sociale pesante: chi un lavoro ce l’ha rischia di vederselo tolto e chi non lo ha, ha poche possibilità per trovarlo.



Pensate a chi in una ristrutturazione aziendale avendo la possibilità di accedere alla mobilità volontaria incentivata si è fatto due conti e con la copertura degli ammortizzatori sociali si sarebbe agganciato alla pensione e poi si è trovato con l’allungamento dell’età pensionabile. Pensate a un ragazzo che dopo anni di precariato rischia di trovarsi con la cancellazione dell’articolo 18, oppure a un migrante che oltre a pagare come tutti i tagli alla spesa sociale si vede aumentare la tassa di soggiorno in un clima crescente di intolleranza xenofoba e di violenza. Questi elementi sono o non sono costi della crisi? E in quale bilancio si iscrivono se l’unico parametro è lo spread che comunque continua ad essere alto per via delle speculazioni finanziarie. È l’ineluttabilità degli eventi o invece si possono mettere in moto politiche che ridiano una spinta all’economia reale senza che si barattino per questa via i diritti?

Quando da soli gli operai della Fiat di Pomigliano spiegavano che quello che lì stava accadendo non era l’eccezione ma la riscrittura delle regole la reazione è stata «sono quelli estremisti della Fiom Cgil». Oggi che il «modello Marchionne» si è esteso a tutti gli ottantamila lavoratori Fiat e contamina tutto il sistema delle relazioni industriali del nostro paese nessuno ne assume la gravità. Il silenzio assordante che ai primi di gennaio ha avvolto la cacciata delle Rsu della Fiom dagli stabilimenti Fiat dice dell’incapacità ancora oggi di capire quello che sta accadendo.

È diventato normale che le imprese possano scegliersi il sindacato? No, chiedo? È normale che si chiuda l’Irisbus e che l’Italia subisca un procedimento di infrazione dall’Europa perché non ha una mobilità sostenibile? E ancora, è normale che i lavoratori iscritti alla Fiom Cgil non siano reintegrati al lavoro alla Fiat di Pomigliano? È normale che di fatto, nel caso ci fossero nuovi assunti in Fiat, abbiano un salario inferiore ai vecchi assunti? Questi sono problemi della Fiom Cgil o del governo e più in generale del paese? Aggiungo che l’uso spropositato dell’istituto del lavoro straordinario, la riduzione delle pause, la totale flessibilità dell’orario di lavoro impediscono nuova occupazione e riducono la vita delle persone che lavorano a un mero fattore competitivo su cui si scarica l’incapacità di innovazione e programmazione.

Noi non accettiamo lo scambio diritti-lavoro. Anche perché non è più lavoro quello che viene offerto, e inoltre per essere precisi nel «caso Fiat» non c’è neanche il lavoro visto che sono stati chiusi Termini Imerese e Avellino. Il «famoso» piano industriale non lo conosce nessuno e tutte le notizie che rimbalzano dai giornali americani ci dicono che il centro si sta spostando negli Stati Uniti. Dove va il paese e dove va l’Europa se il lavoro è un oggetto e non persone? La tendenza aperta dalla Fiat e che si sta facendo strada anche in altri settori è che si possono fare profitti senza che ci siano ricadute positive sociali, altro che la redistribuzione. Ma addirittura con la divisione globale del lavoro assistiamo al fatto che non è assolutamente conseguente alla crescita della capacità produttiva l’aumento dell’occupazione e dei diritti.

L’obiettivo che le controparti stanno perseguendo è molto chiaro: o il sindacato diventa complice oppure è fuori. In questo, voglio essere chiaro, la Fiom Cgil è oggetto di un attacco violentissimo per la sola ragione che non è diventato un sindacato di comodo. Noi rifiutiamo l’idea che il compito del sindacato è firmare testi che scrivono altri e poi convincere i lavoratori che non c’era null’altro da fare. Ed è per questa ragione che l’antidoto alla completa subalternità dei lavoratori è la democrazia. Una testa un voto. Liberi di poter decidere, non la Fiom Cgil ma i lavoratori che quelle condizioni di lavoro affrontano ogni giorno nella loro postazione.

È per questa ragione che abbiamo fatto nostra la scelta dei lavoratori della Fiat di raccogliere le firme per indire un referendum abrogativo che bocci il testo sottoscritto dalle altre organizzazioni sindacali. Chi vuole la Fiom Cgil fuori dagli stabilimenti deve sapere che metteremo in moto tutta le nostre forze sindacali e legali per riconquistare il diritto costituzionale dei lavoratori a potersi organizzare e a poter decidere. Sappiamo che non è semplice, anzi. Sappiamo che dopo la scelta della Federmeccanica di raggiungere l’ennesimo accordo separato che recepisce la possibilità di poter derogare al contratto nazionale e, con l’articolo 8 del decreto del governo Berlusconi, di poter addirittura derogare alle leggi, la strada da percorrere è difficile e non riguarda solo i metalmeccanici.

Per uscire dal ricatto abbiamo bisogno di un movimento più ampio che offra un nuovo punto di vista generale. Ed è proprio per proporre un punto di vista generale che da tempo discutiamo fuori e dentro la Fiom Cgil di come affrontare il problema dell’inoccupazione, della precarietà e della condizione degli studenti, che abbiamo deciso di introdurre il reddito di cittadinanza insieme all’estensione dell’articolo 18 come uno dei punti qualificanti della nostra piattaforma con cui scenderemo in piazza l’11 di febbraio. Una piattaforma che chiede il sostegno di chi con noi vuole fare del lavoro, dell’ambiente, della formazione, del welfare e della legalità un bene comune.

La manifestazione che attraverserà le strade di Roma è il tentativo di non lasciare solo nessuno, perché la crisi innanzitutto produce disperazione e solitudine. Senza le manifestazioni pacifiche e democratiche c’è l’imbarbarimento. Ne sono un esempio gli omicidi dei migranti negli ultimi mesi. Pensiamo che possa esserci una grande manifestazione di massa a Roma, in cui i metalmeccanici sfileranno insieme a chi pretende di avere un futuro che non può fare a meno dei diritti e della democrazia.


RIFIUTI: COSTI PER I CITTADINI, BENEFICI PER I "SOLITI NOTI"

Cip 6: vent’anni di soldi pubblici “in fumo”
 
Vent’anni. Tanti ne sono trascorsi da quando, a seguito della legge n. 9 del 1991, è stata adottata la delibera del Comitato Interministeriale Prezzi del 29 aprile 1992, tristemente nota ai cittadini come Cip 6. Con questa delibera le bollette energetiche degli italiani sono state sovraccaricate del 7% con lo scopo di incentivare la diffusione delle energie rinnovabili e “assimilate”. Grazie a tale termine questi soldi – 35 miliardi di euro – pubblici sono finiti nelle tasche di chi ha costruito e gestisce inceneritori. Nel 2004 la Commissione Europea mise l’Italia in procedura di infrazione per il seguente motivo: non si poteva spacciare l’incenerimento come energia rinnovabile (e dunque ammessa a ricevere incentivi pubblici). L’Italia, con tempi biblici, si adeguava a modo suo, creando uno di quei regimi transitori che dalle nostre parti sono eterni. Intoccabili, perché sembra che non esistano. Non mi soffermo a raccontare tutti i passaggi burocratici tra norme, ordinanze e decreti. Il risultato è che oggi in Italia esistono degli inceneritori che ancora godono di flussi di denaro pubblico, aiuti statali palesemente illegittimi rispetto a tutte le norme UE.
Il ragionamento è semplice: come può essere incentivato con finanziamenti pubblici un tipo di impianto che, secondo la direttiva “rifiuti”, dovrebbe essere l’estrema ratio, l’opzione residuale e ultima del ciclo dei rifiuti negli Stati membri? Siamo in tanti, tra cittadini, associazioni e comitati, a domandarcelo. Per questo ho già più volte interrogato la Commissione Europea per metterla di fronte alle diverse e significative contraddizioni di tale vicenda. Basti pensare che nel gennaio 2007, nella lettera di chiusura della procedura di infrazione, la Commissione segnalava all’Italia che il suo progetto di aiuti di Stato per l’incenerimento di rifiuti non biodegradabili doveva essere compatibile con la normativa comunitaria. Eppure lo scorso settembre, in risposta ad una mia interrogazione, la stessa Commissione ha affermato di non aver ricevuto alcuna notifica (obbligatoria!) di tale progetto da parte dell’Italia. E ha aperto una procedura di indagine. Insomma, tra l’Italia “menefreghista” e la Commissione “smemorata”, tutto è immobile. O meglio, lo era. Proprio pochi giorni fa ho depositato un’altra interrogazione, la terza, per “ricordare” alla Commissione che stiamo aspettando i risultati delle sue indagini…
 
Sonia Alfano, europarlamentare

venerdì 27 gennaio 2012

RIFIUTI: COSTO O RISORSA? L'ESEMPIO DI CAPANNORI


VENERDI’ 10 FEBBRAIO
Ore 18,00
Sala riunioni Hotel Asso di Coppe - Deruta

DIBATTITO PUBBLICO



partecipano:
Alessio Ciacci
Assessore Politiche ambientali
Comune di Capannori

Luciano Concezzi
Presidente Società Igiene
Ambientale S.p.a.
Marco Montanucci
Comitato Umbro Rifiuti Zero
Umbertide 
Luca Baldelli
Consigliere Provinciale
Perugia

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DOPO VERBENA...MONTI

Dopo che negli ultimi tre anni l’Amministrazione VERBENA ha aumentato la Tassa sui rifiuti del 35% adesso, con l’introduzione da parte del governo MONTI della TARES, un’ulteriore stangata si abbatterà sui cittadini: secondo le previsioni della Camera di Commercio di Perugia gli aumenti saranno dell’ordine del 10 - 20 per cento.

ADESSO BASTA! Bisogna cambiare sistema




Tav: ieri, 26 gennaio 2012 - di Fabio Balocco,



Ieri, 26 gennaio 2012 mi è tornato alla mente quel giorno di ormai tanti anni fa quando la polizia picchiò a sangue gli occupanti dei terreni di Venaus. Ricordo che ero in auto, mi fermai e piansi come un bambino. Forse quella scena mi è tornata alla mente perché quelli che malmenarono i valsusini non furono né arrestati né, quel che è peggio, subirono alcuna condanna. Neppure chi ordinò l’operazione. Tutti impuniti.
In compenso, ieri, 26 gennaio 2012, invece sono state arrestate un tot di persone, valsusine o no, accusate di aver commesso reati nelle giornate del 27 giugno e del 3 luglio scorsi.
Chi legge questo blog sa che io c’ero, in ambedue le occasioni.

Il 27 giugno, quello che posso dire è che la polizia sferrò un attacco contro gli occupanti senza che neppure essi avessero il tempo di ragionare sull’ordinanza prefettizia che ordinava lo sgombero. Contro quell’enorme, terribile (per chi gli era di fronte, come me) spiegamento di forze ricordo che, nonostante i nostri sforzi di legali, volò qualche pietra , ma mi rifiuto di avallare l’ipotesi che ci fosse un qualsiasi piano contro le forze dell’ordine se non quello della resistenza passiva, quello delle mani in alto. Ricordo invece che i lacrimogeni – che tra l’altro nessuno ci ha dimostrato non essere fuori legge – furono lanciati un po’ dappertutto, con il rischio di colpire persone inermi che fuggivano alla spicciolata. Il 3 luglio. È vero, il 3 luglio ci fu chi lanciava sassi contro le forze dell’ordine, così come furono probabilmente (io non ero lì) lanciati sassi ed oggetti da chi scendeva dalla frazione Ramats. Feriti tra le forze dell’ordine non ne ho visti, ma in compenso ho visto un video di un ragazzo inerme catturato e picchiato. Non ho letto da nessuna parte che siano stati individuati coloro che lo hanno picchiato. Così come ho visto lacrimogeni lanciati ad altezza d’uomo, ma, anche qui, non mi risulta che siano stati individuati coloro che li lanciavano. In compenso ieri 26 persone sono state arrestate. Non hanno ricevuto dei semplici avvisi di garanzia, ma sono state arrestate. Segno che la magistratura ritiene che sia pericolose, che ci sia pericolo di reiterazione, di inquinamento delle prove. Un’operazione molto efficiente, non c’è che dire. Mentre in Italia l’80 per cento dei reati non è peraltro perseguito…Io non posso ovviamente sostenere che ciò che afferma la Digos alla base delle restrizioni cautelari sia o meno fondato. So quello che ho visto di persona in quelle due occasioni di cui parlo sopra e conosco da anni il movimento No Tav, e so che ha sempre cercato il dialogo e non ha mai voluto lo scontro. Lo scontro l’ha subito a fronte della chiusura sul dialogo. Ora gli organi di informazione riportano le dichiarazioni di Caselli, della trama ordita contro i poteri dello Stato. Peccato che quello Stato, tramite le proprie forze abbia malmenato nel recente e meno recente passato dei propri cittadini. Peccato che quello Stato stia occupando manu militari una valle contro la sua volontà e contro ogni logica razionale, economica ed ambientale, forte di norme fatte ad hoc, e forte di ordinanze prefettizie di dubbissima legittimità. C’è violenza e violenza. C’è la violenza degli oggetti lanciati e delle pietre, ma anche la violenza dell’imposizione della forza a tutti i costi, anzi, costi quel che costi.
Questo assomiglia sempre meno al migliore dei mondi possibili, amici miei.

giovedì 26 gennaio 2012

Quel che Ichino non ha visto



Di Michele De Palma, Fiom Cgil

Ho letto con attenzione la lettera scritta dal senatore Pietro Ichino sul Corriere della Sera il 24 gennaio dopo la visita dello stabilimento Fiat di Pomigliano e sono rimasto impressionato dal racconto e dalle riflessioni. Innanzitutto, stupisce constatare l'ennesima discriminazione della direzione Fiat che concede al senatore il privilegio di varcare i cancelli e girare in tutta la fabbrica, permettendogli di parlare con i lavoratori delle proprie condizioni, mentre è negato agli operai e alle impiegate eletti nelle liste Fiom in tutti gli stabilimenti Fiat il diritto di essere Rsu e addirittura, a Pomigliano, di entrare in fabbrica. A oggi nessun iscritto della Fiom è stato richiamato al lavoro a Pomigliano.
È un caso? No, il motivo risiede in una sentenza che ha condannato la Fiat per comportamento antisindacale (art. 28 della Legge 300): nel caso dovessero richiamare al lavoro un iscritto alla Fiom, questo potrebbe essere eletto e nominato Rsa. È questa la ragione per cui alla Fiat crea più problemi l'ingresso di un operaio «con la terza media» sul suo posto di lavoro che di un docente universitario, seppur senatore. La vita in una fabbrica non si può giudicare in un passaggio di qualche ora come in una visita guidata allo zoo perché, nonostante la descrizione del professor Ichino, anche negli stabilimenti Fiat ci sono gli infortuni ed è impedita alle Rls Fiom la possibilità di spostarsi dalla propria postazione, e se quel lavoratore decide di farlo è sanzionato con provvedimenti disciplinari. Non è un'eccezione, è la regola per tutte le 86 mila maestranze e il professor Ichino sostiene essere un bene per il futuro industriale del nostro paese, in particolare nel sud, dimenticando che dallo stabilimento di Pomigliano sono fuori 4000 dipendenti e che a Termini Imerese e all'Irisbus neanche il professore può entrare, perché la Fiat ha deciso di chiuderli.
Parliamo del salario: è vero o no che la paga oraria con l'ultimo «accordo» istituisce un doppio regime tra eventuali neoassunti e lavoratori in forza, avendo trasformato le indennità di mansione in superminimi individuali? È vero o no che per avere il premio bisogna non essere in maternità, in legge 104, non esser stati in malattia, non aver usufruito di permessi, perché l'obiettivo del premio è stabilito sulle ore effettive di lavoro e sono escluse anche le pause? Professor Ichino, lei che come sostiene vede molte fabbriche metalmeccaniche, sa quali sono i minimi tabellari del contratto nazionale? Mi dica a parità di mansione quanto guadagnerebbe in più, in via del tutto teorica visto che a Pomigliano si fa cassa, un lavoratore di Pomigliano rispetto a uno di un'altra azienda? È vero o no che a regime l'orario aumenta rispetto a un altro lavoratore a parità di mansione? E ancora, è una deroga marginale (le chiedo a che cosa, visto che la Fiat non applica il contratto nazionale) aumentare strutturalmente l'orario, ridurre le pause, intervenire sulla malattia? Infine, chiedo come mai, se tutti sono così felici nel nuovo Eden Fiat, decine di migliaia di lavoratori hanno raccolto le firme per un referendum abrogativo dell'accordo? E perché quei lavoratori non ricevono risposte, mentre proprio a Pomigliano, quando la direzione ha imposto il referendum con il ricatto della chiusura, in molti applaudivano alla democraticità della moderna Fiat? La risposta è che si voleva un plebiscito, che i lavoratori non hanno dato, per dimostrare che la democrazia è una concessione del sovrano. Di un piano industriale Fiat han bisogno i lavoratori e l'intero paese per uscire dal ricatto occupazionale. In altri paesi europei non sono concessi i privilegi dati alla Fiat come l'art.8, varato dal governo precedente e non messo in discussione dall'attuale. Leggi antidemocratiche e illiberali devono essere oggetto di azioni legali.
Ci sono aspetti gravi che riguardano il rapporto tra la democrazia e il lavoro. Non è possibile scambiare diritti e democrazia con il lavoro, ma in Italia e in particolare al sud il modello Fiat rende legale il ricatto che accomuna i giovani precari con gli operai poveri. Non nel sottoscala ma nel centro di Barletta e alla luce del giorno le operaie morte per il crollo dello stabile guadagnavano pochi euro. Non bastano le tute bianche pulite e il parquet, se per entrare in fabbrica si è costretti a lasciare all'ingresso la dignità. Basterebbe una legge che garantisse la democrazia della rappresentanza, non alla Fiom, noi non amiamo le leggi ad personam, ma ai lavoratori perché possano decidere liberamente. Non sottostare al ricatto, questa è la lezione degli operai di Pomigliano e della Fiat e dei metalmeccanici, che insieme a studenti e precari scenderanno in piazza a Roma l'11 febbraio per chiedere la «democrazia al lavoro».

Dal Manifesto 26 Gennaio 2011