A margine della Direzione del PD e di una pièce “grillina” di Dario Fo
1.
Il linguaggio di un gruppo sociale organizzato ha i propri, complessi
sottintesi. Della “liturgia del PD” so interpretarne solo una parte,
non facendo parte di quel consesso ed anzi avendolo criticato “da
sinistra” più volte1. Pur con questi limiti, alcune riflessioni sulla direzione del PD si possono proporre.
Si è trattato di una discussione vera e sentita, se pure ingessata,
inevitabilmente, dalla larga partecipazione. 37 minuti di relazione di
Bersani e poi 7 minuti ad oratore, nel corso di una seduta fiume, non
tutta fruibile sul web. La differenza tra la relazione di Bersani e la
discussione è, inevitabilmente, rilevante: un tentativo serio di cambiare passo la prima, talvolta sconcertante la seconda per la confusione d’analisi.
Bersani parla di una fase nuova, che definisce di “transizione”, di un “sommovimento profondo”, europeo, per ora solo
mediterraneo (Grecia, Portogallo, Spagna, Italia): “lo sciame sismico
che scuote le democrazie aumenta di intensità”. La causa è duplice:
l’esplodere di una drammatica “questione sociale” (si è di fronte ad una
“esperienza inedita di impoverimento”); l’inadeguatezza della politica
nel rispondervi.
L’inadeguatezza politica e istituzionale è aggravata, in Italia, da
una radicata antistatualità, dal berlusconismo, da comportamenti
immorali e da privilegi di una classe dirigente non solo politica.
Emerge una consapevolezza del tutto nuova: che la governabilità non è
solo una questione di numero di seggi parlamentari, ma si costruisce
“nel rapporto reale e morale” tra governanti e governati. Senza questo
rapporto, il Paese entra nel caos, “esplode” come una pentola a
pressione. L’insofferenza non trova espressione solo in M5S, nella
notevole astensione, ma anche in altri partiti, compreso il PD. Su Monti
il giudizio sembrerebbe critico e in parte autocritico: si tratta di
una esperienza fallimentare, che “il sistema” ha voluto imporre come
passaggio inevitabile. Le elezioni segnano una sconfitta politica del
PD, soprattuto al Sud e nelle categorie più colpite dalla crisi e
tradizionale riferimento dello stesso partito. Mancando le riforme
politiche, si è stati considerati “omologati” al sistema.
L’assunzione di responsabilità questa volta, a differenza delle
altre, deve implicare un cambiamento profondo del Paese. Bersani elenca 8
punti, che alcuni interventi (Soru, p.es.), a ragione, hanno ritenuto
fin troppo fitti e complessi. In ogni caso, questi punti possono essere
considerati un primo tentativo di ricostruire, in Italia, un partito
di classico stampo socialdemocratico, almeno sul versante della
politica economica2. Primo e timidissimo tentativo, aggiungo; ma significativo perché nel DNA del PD c’è un robustissima ispirazione al post-laburismo à la Tony Blair3. Le elezioni, quindi, sembrerebbero avere smosso realmente
il grande gigante dai piedi d’argilla (costituiti, appunto, dal
post-laburismo). Il punto, naturalmente, è capire se questo risveglio
non sia tardivo e non implichi una autocritica ben più radicale, e quindi più efficace per l’azione, di quella contenuta della relazione di Bersani: perché non ci si può nascondere che il post-laburismo à la Tony Blair è tra le cause di questa spaventosa crisi economica e politica che travolge l’Europa intera.
Sul piano dell’iniziativa politica Bersani vuole un PD disponibile
al dialogo, ma non con Berlusconi, colpevole di avere sistematicamente
impedito il cambiamento. Il discorso, dunque, è rivolto a M5S, anche se
non si chiude del tutto la porta a Monti. Il primo banco di prova della
discussione saranno, ovviamente, la cariche istituzionali più
importanti del Paese: Presidenze delle due Camere e Presidenza della
Repubblica.
Forse il passaggio più importante, dal punto di vista tattico, della
relazione di Bersani, è la chiusa, dove si lascia intravvedere che, di
fronte all’impasse istituzionale e politica che potrebbe aprire la
porta a scenari pericolosi e imprevedibili, il segretario e Presidente
del Consiglio in pectore è disposto a farsi da parte. Bersani è
pronto a “fare ciò che si deve, non ciò che si vuole”. E’ stato Walter
Tocci il più esplicito nell’invitare ad una grande flessibilità
tattica ed ad abbandonare, se necessario, l’idea di avere la Presidenza
del Consiglio (se ho compreso bene). Nessuno ha preso in
considerazione l’ipotesi di ribaltare la logica politica incardinata
sul conteggio del numero dei parlamentari: cioè nessuno ha preso in
considerazione l’ipotesi che sia il PD ad offrire un appoggio esterno
ad un governo progressista di cambiamento.
2. Il
dibattito è stato caratterizzato da sfumature differenti. Alcuni sono
sbilanciati a sinistra, come Fassina e Gualtieri, che vorrebbero una
Europa sociale e politica e un ritorno alla classica socialdemocrazia.
Altri guardano ancora con favore a Monti, come Franceschini (che lo
vorrebbe alleato per le elezioni di Roma) e Ranieri, che valuta
positivamente il governo in carica e invoca un Governo del Presidente
della Repubblica. Alcuni sono seriamente preoccupati di M5S: Anna
Finocchiaro invoca la nascita di una sorta di sentinelle della
democrazia e nota come i deputati di M5S siano dei “perfetti
sconosciuti” anzitutto ai propri elettori, a differenza di quelli del
PD. Per Alessandra Moretti, invece, il PD dovrebbe rifare propri alcuni
slogan di M5S, tipicamente di sinistra: beni comuni, ambiente,
trasparenza, reddito cittadinanza, scuola pubblica, democrazia
partecipativa, critica delle politiche d’austerità. Civati sottolinea
come il programma economico di M5S sarà scritto da Stiglitz e Fitoussi,
“che non sono degli stronzi” (sic! Forse avrebbe dovuto spiegare un po’
meglio di chi si tratta… ). In molti (ma non tutti: alcuni, come
Franceschini, si lamentano che i sondaggi… erano sbagliati a proposito
di M5S!) hanno sottolineato la distanza del PD dal Paese reale e,
soprattutto, dal Sud (Emiliano), la sotto utilizzazione del popolo delle
primarie, la scarsa collegialità e trasparenza dei meccanismi
decisionali interni.
Di gran lunga maggioritaria (ma non era possibile ascoltare in
differita tutti gli interventi) la vera e propria scoperta
dell’esistenza della “questione sociale” e l’esigenza di un profondo
rinnovamento della politica, del partito e delle istituzioni.
Unanime sembrerebbe la chiusura verso Berlusconi. D’Alema si
rammarica che la destra italiana non sia “normale”, cioè europea, e
quindi sia impossibile una grande coalizione, che lui vorrebbe tanto:
viene da chiedersi cosa mai abbia fatto il PD e D’Alema, di serio
coraggioso e incisivo, per impedire che il Paese finisse nelle mani di
tale impresentabile destra. A coloro che vedono con preoccupazione le
spinte autoritarie del leader di M5S, è forse opportuno ricordare che il
fascismo, quello vero4, è stato sdoganato sistematicamente
dalla politica della Seconda Repubblica, con risultati che sono sotto
gli occhi di tutti. Come non ricordare, poi, l’assurda riforma della
Costituzione che ha legittimato la Lega, cioè un partito esplicitamente
xenofobo?
3. A
proposito delle riforme istituzionali permangono profonde ambiguità:
quanto maggiore è ritenuto il pericolo per l’involuzione verso destra
della situazione, M5S compreso, quanto più si dovrebbe essere cauti
nello smantellare la Costituzione e proporre riforme maggioritarie e
premiali della legge elettorale (addirittura presidenziali, come
propone Marta Negri). Il rischio serissimo è di dare in mano ai futuri nemici
della democrazia (che per alcuni del PD potrebbero essere, dopo
elezioni ravvicinate, quelli della destra berlusconiana) un meccanismo
istituzionale potentissimo. Se i padri costituenti erano per il
proporzionale puro avevano solidi argomenti, che i numerosi, attuali
“preoccupati del proto-fascismo nascente” (sic!) dovrebbero meditare a
lungo. Come non ricordare che il maggioritario e la lotta per la
governabilità erano nei programmi del fascismo e hanno sempre caratterizzato la critica reazionaria, neo-fascista e piduista della Repubblica?
4. Due gli
argomenti assenti negli 8 punti di Bersani. Anzitutto una riflessione
sulla giustizia intesa come macchina amministrativa e non solo come
procedure e leggi: il Paese vacilla e involve anche perché giustizia
(penale e civile) quasi mai è fatta. In secondo luogo, nulla a
proposito di una profonda riforma del sistema televisivo e, più in
generale, di tutti i media.
L’argomento “media” è vastissimo. Implica ragionamenti molto
eterogenei tra loro: sull’impero economico di Berlusconi (Mediaset,
Mondadori, “Il Giornale” ecc.); sulla televisione come cassa di
risonanza acritica del Vaticano; sulla mancanza di reale pluralismo; e
via discorrendo. Visti i tempi, si potrebbe cominciare a riflettere sul
ruolo crescente che il sistema televisivo ha dato, nel corso degli
anni, alla satira politica e alla comicità. Cioè ad autori quali
Benigni, Crozza, Dandini, Fazio, Fo (è da vedere il video postato sul
sito di Grillo, dove si annuncia, a suon di tromba vocale, l’imminente
rivoluzione anarcoide), Guzzanti, e… Grillo. Non sono un esperto in
materia, ma forse il tema riesco a focalizzarlo.
5. Il sistema televisivo, cioè la più potente industria culturale del Paese, ha dato una sostanziale delega al “giullare” del libero discorso politico e della critica del potere. Solo al giullare è stata data la possibilità, addirittura stipendiata e pubblicizzata in forme milionarie, di dire la verità, di criticare il potere, di criticare anche i propri referenti politici, addirittura di informare (il programma “Le Iene”).
E ciò accadeva mentre tutto il resto dell’offerta televisiva è stata
relegata nell’ambito della propaganda e della pubblicità (che ha
assunto varie e nuove forme: pubblicità sono ora programmi, film, serie
tv ecc.), dello svago, dell’avanspettacolo, dell’intrattenimento. E
tutto ciò accadeva mentre si smantellava sistematicamente la scuola
pubblica di ogni ordine e grado, togliendole risorse e importanza,
sfregiando anche la Costituzione (si vedano gli insegnanti nominati dai
vescovi e i finanziamenti alla scuola privata). E tutto ciò, mentre il
sistema dell’informazione nel suo complesso veniva sistematicamente
offeso, ora ridotto sotto il controllo partitico, ora dato in mano a
gruppi industriali e finanziari, ora intimidito in mille forme. E tutto
ciò, mentre si impediva il libero (gratuito) accesso ad internet e
mentre si sottofinanziava sistematicamente l’intero mondo della cultura
(musica, teatro, cinema) o si tentava di appaltare al potere economico
addirittura il sistema universitario. E tutto ciò, mentre le città
d’arte e il paesaggio (il bello) venivano sommersi da colate di insulso e
invenduto cemento. E tutto ciò, mentre veniva portato un attacco senza
precedenti al mondo del lavoro, marginalizzato da ogni punto di vista
(sociale, economico, politico, culturale) e quindi reso di fatto
incapace di partecipare da protagonista alle scelte pubbliche. E tutto
ciò, mentre la nostra Costituzione rimaneva terribilmente inapplicata
quasi articolo per articolo (il primo che mi viene in mente: l’art. 11,
piuttosto che quello che vorrebbe la gratuità della scuola dell’obbligo; ma l’elenco è assai lungo) e veniva quindi mostrata la comicità delle regole, delle leggi e delle istituzioni italiane: sistematicamente violate. Fino all’assurdità (alla comicità) di modificare, “agenda Monti” e “agenda Merkel” alla mano, cioè secondo proponimenti che solo oggi vengono percepiti come irrealizzabili e destabilizzanti, la nostra Costituzione.
6. Insomma:
mentre il “giullare” diveniva l’unica figura in grado di proporre, al
di fuori del ristrettissimo circuito della cultura d’élite, un discorso
serio sulla realtà, serio perché tentava di fare i conti per davvero con i problemi del Paese reale, quelli che si presentavano come seri
rappresentanti del popolo sovrano hanno smantellato in modo
sistematico tutti gli strumenti per un effettivo esercizio della
sovranità da parte del popolo ed hanno sistematicamente minato, con le
politiche economiche proposte, la propria credibilità e quella delle
istituzioni repubblicane, hanno deliberatamente circoscritto in una
impenetrabile, sempre più esigua, riserva autoreferenziale (e spesso
cortigiana o totalmente avulsa dal Paese reale: si veda il governo dei
“professori”, di “tecnici” che, “per sbaglio”, mettono sul lastrico
migliaia di lavoratori) coloro i quali producono il sapere. Ridurre il
popolo sovrano ad un popolo di consumatori e di elettori può essere
forse vantaggioso in periodi di crescita economica e quando il mercato
interno non è poi così importante; rischia, invece, di esasperarne gli
animi in periodi di profondissima ed europea recessione. La riduzione
drastica di opportunità e di consumi ha finito per proporre della
politica sedicente seria uno spettacolo comico, nel senso, questa volta, di ridicolo, di miserabile,
di retorico, di posticcio, di teatrale, di decadente, di finto, di
totalmente separato dalla realtà, di inadeguato. Esempio: viviamo
quotidianamente il trionfo della retorica
religioso-politica-conservatrice della famiglia, in un Paese dove non
esiste alcuna seria politica per le famiglie e che è costretto a
rimanere incardinato sul familismo amorale. E il pensiero, a
prescindere dall’esempio, non corre solo ai “Bunga-Bunga”, non solo
all’avanspettacolo di deputati dipendenti-di-fatto da Mediaset; il
pensiero, purtroppo, corre anche alla retorica di una sinistra
sostanzialmente priva di una vera identità (Civati ammette: “molti di
noi hanno perso il senso” nella continua contrapposizione tra
liberalismo e socialdemocrazia) e che al riparo di alcuni logori slogan
(“giustizia”) ha dato un contributo formidabile a destabilizzare,
socialmente e politicamente, l’intero Paese.
7. Si teme
che il “popolo” obbedisca al demiurgo di turno? Allora si capisca, una
volta per sempre, che la Repubblica ha come fondamentale e primario
obiettivo l’elevamento economico, sociale e culturale di ogni suo
membro. Purtroppo, veniamo da una stagione politica, quella dell’intera
Seconda Repubblica, dove invece che rimuovere gli ostacoli di natura
economica e sociale che impediscono l’effettivo esercizio dei diritti
individuali (che sono… in evoluzione), se ne sono messi
deliberatamente di sempre maggiori. Si teme il populismo? Si trasformi
il “popolo” in “cittadini”. Si dovrebbe finalmente capire che il
fascismo non si combatte tanto e solo con misure preventive e repressive
di questo o quel movimento, o con (comiche) “sentinelle della
democrazia” (che, se serie e necessarie per davvero, personalmente mi vedrebbero impegnato, sia ben chiaro, anche se dubito che scorgerei il filo di perle della Finocchiaro), ma applicando integralmente la nostra Costituzione o facendola evolvere nella direzione del progresso. Si è antifascisti per davvero solo impedendo concretamente che si ripropongano le condizioni sociali ed economiche che lo alimentano. La nostra originaria “costituzione economica” non era un inattuale rimbrotto moralistico rivolto al capitalismo; era un tentativo serio di imbrigliarne le più pericolose manifestazioni.
1 Dove per sinistra non intendo affatto l’appartenenza ad un qualche partito a sinistra del PD.
2 1. Superamento delle politiche di austerità con una politica di
investimenti pubblici produttivi, demandando al medio periodo la
soluzione della questione del debito e ponendo, invece, come urgenze di breve periodo interventi sull’economia reale.
2. Una
politica per il lavoro (ma non usa mai la parola “piena occupazione”):
pagamenti della pubblica amministrazione ricorrendo alla emissione di
BOT, finanza d’impresa tramite la Cassa depositi e prestiti,
allentamento del patto stabilità per i Comuni, la banda larga, la
riduzione del costo lavoro stabile,
il superamento degli automatismi della legge Fornero,
l’universalizzazione della cassa integrazione, istituzione del reddito
minimo garantito, provvedimenti sull’IMU, riorganizzazione della
pubblica amministrazione, risoluzione del problema “esodati”, premio
della fedeltà fiscale e revesione del modus operandi di Equitalia,
rilancio anche comunitario di politiche per l’occupazione rivolte al
Sud.
3.
Dimezzamento dei parlamentari e abolizione delle Province; adeguamento
delle retribuzioni parlamentari a quelle dei sindaci; “disboscamento”
delle società pubbliche a livello locale; una legge sui partiti;
nuova legge elettorale a doppio turno di collegio.
4. Legge
sulla corruzione, sulla prescrizione, sul riciclaggio, sul falso in
bilancio, sul voto di scambio, lsulla frode fiscale.
5. Legge sul conflitto d’interesse (proposta di legge Elia-Onida-Bassanini), sull’incandidabilità, sui doppi incarichi.
6. Incentivazione della green economy, recupero delle aree dismesse e stop al consumo suolo, trasformazione del ciclo rifiuti, da costo a risorsa.
7. Diritti: cittadinanza per i minori nati in Italia; unioni civili sul modello della legislazione tedesca;
8.
Istruzione e ricerca: diritto allo studio, adeguamento delle strutture
scolastiche, piano organico-precari, reclutamento dei ricercatori.
3 Cfr. L. Michelini, La fine del liberismo di sinistra (1998-2008), Firenze, Il Ponte Editore, 2008.
4
Ovvero quello di Alemanno, La Russa, Storace, quello che considera
Fini un “traditore”, quello di Marcello Veneziani, che ha imperversato
su giornali berlusconiani e in istituzioni pubbliche facendo, al tempo
stesso, conferenze a Casa Pound asserendo (senza suscitare alcun
malumore tra i “democratici benpensanti”) che Forza Italia è
“ideologicamente neutra”, un buon veicolo sul quale salire, insomma.
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