La scorsa settimana, in Sel, è iniziato
un confronto sul voto. Per la prima volta non è stato frettoloso come
negli ultimi tempi. Capire è il primo passo: sarebbe miope accontentarsi
di avere eletti in parlamento anche grazie a uno spropositato, e per me
incostituzionale, premio di maggioranza. Chi ha vinto e chi ha perso è
chiaro. Capirne le ragioni meno. Oltre all’esplosione annunciata del
M5S, che incrocia più di tutti la delusione verso i partiti e la
disperazione prodotta da una crisi devastante, impressiona il dato del
Pd: dalla nascita “versione Veltroni” a oggi “versione Bersani”, e
nonostante un infinito numero di “salvifiche” primarie, perde due
elezioni consecutive. Due sconfitte diverse ma che segnalano entrambe
come il Pd non sia percepito come un partito in grado di guidare
l’Italia e – aggiungo – di avere un peso in un’Europa governata dai
liberisti, i veri antieuropeisti incalliti. Il Pd, dichiarando ogni
giorno che si sarebbe appoggiato a Monti, ha reso manifesta la scarsa
convinzione nelle sue proposte; e le intenzioni per nulla alternative
alle politiche liberiste.
Quanto alla sinistra, Sel ottiene un deludente 3,2 per cento. Rivoluzione Civile, ennesimo tentativo di coprire la crisi di quel che rimaneva di Prc, Idv e Verdi, resta fuori dal parlamento. Il risultato è nessuna maggioranza possibile. Un esito elettorale ancora più bruciante perché nel pieno di una crisi economica, di una crescita mai vista della disoccupazione, del precariato e della povertà.
Mentre Sel maturava le sue decisioni, ho espresso opinioni diverse rispetto a quelle della maggioranza e di Vendola. La quasi nulla credibilità dei partiti, l’incoerenza tra il dire e il fare, i governi di centrosinistra che non avevano lasciato chiari segni riformatori. Avevo dubbi non sul tentativo di un’alleanza con il Pd, ma sul percorso frettoloso e politicista con il quale veniva fatta, sull’onda della paura di restar fuori. Eppure Sel partiva da una piccola posizione di forza – non aveva appoggiato Monti – e aveva ancora , in quel momento, la possibilità di portare con sé associazioni e movimenti, sulla spinta dei referendum e della vittoria in città importanti.
E invece siamo andati nudi al rapporto con il Pd , consegnandoci più che alleandoci. E così siamo stati assimilati al sistema dei partiti, noi che eravamo più un movimento nato per cambiare la politica, per dare all’Italia una sinistra alternativa al liberismo.
Diciamolo: Sel non ha potuto condizionare il centrosinistra sui contenuti a partire dalla partecipazione a primarie che per tutta l’Italia sono state le primarie del Pd nonostante la generosa presenza di Vendola. Se Sel avesse portato nell’alleanza, non il Prc o i Verdi, ma i movimenti dei precari e dei giovani e quelli ambientali referendari, il segno della coalizione sarebbe cambiato, forse la lista Ingroia non sarebbe nata e avremmo potuto parlare ai moltissimi delusi della sinistra che hanno scelto invece Grillo.
Le nostre proposte sono quasi sparite: dal taglio alle spese militari alla riforma radicale dei partiti, delle leggi Fornero su pensioni e lavoro, dalla conversione ecologica dell’economia al reddito di cittadinanza. Serviva un centrosinistra antiliberista non a intermittenza, capace di parlare delle banche e delle loro politiche sciagurate. Che sia stato solo Grillo a mettere piede alla assemblea del Monte dei Paschi dicendo ad una banca quello che milioni di cittadini avrebbero voluto dire, è stato un atto concreto e simbolico di forza inaudita. Noi abbiamo parlato a mezza voce, ci hanno impietosito i nostri alleati. E da ultimo, il tema centrale di tutto ciò che va ricontrattato con l’Europa per cambiare le politiche di rigore che hanno stroncato lavoro economia e giustizia sociale. Oggi Bersani si dice disposto a ricontrattare gli impegni presi, dal fiscal compact al pareggio di bilancio (votato dal Pd). Fino a ieri chiunque si azzardasse a dirlo veniva tacciato di antieuropeismo. In campagna elettorale il Pd ha rassicurato tutti sul fatto che avrebbe mantenuto gli impegni. Quegli impegni non si possono e non si devono mantenere. Essere europeisti oggi significa combattere contro queste politiche e metterne in pista altre. Un centrosinistra così sarebbe stato più credibile.
Ora, a sconfitta incassata, non si può dire che non potevamo fare che così. È un modo di ragionare ottunde il cervello. L’apertura a Grillo post voto è un’altra dimostrazione del fatto che non abbiamo capito la natura di quel Movimento, che cresce o cala a seconda di quanto i partiti sapranno ridiventare credibili curando le loro pratiche, rompendo il loro rapporto malato con il potere, ricucendo lo strappo con il paese reale. Rincorrere M5S richiamandolo alla responsabilità è molto tattico e poco realistico. Se il centrosinistra non ha una maggioranza non potrà governare. All’orizzonte purtroppo, vedo solo un altro inaccettabile governo tecnico o del presidente; oppure le elezioni. E quel che si profila nel Pd, Renzi leader nel caso di ritorno al voto, non è la soluzione, né potrei accettarla. Credo che la sinistra in Italia possa vincere solo rimanendo se stessa. L’idea che ci sia sempre bisogno dei moderati ha pervaso la campagna elettorale e Sel non è riuscita a toglierla di mezzo. L’Italia è l’unico paese d’Europa a non avere una grande forza politica di sinistra popolare. Negli altri paesi questa sinistra riesce a vincere. Potrebbe vincere anche in Italia? I primi a esserne persuasi dovremmo essere noi.
Quanto alla sinistra, Sel ottiene un deludente 3,2 per cento. Rivoluzione Civile, ennesimo tentativo di coprire la crisi di quel che rimaneva di Prc, Idv e Verdi, resta fuori dal parlamento. Il risultato è nessuna maggioranza possibile. Un esito elettorale ancora più bruciante perché nel pieno di una crisi economica, di una crescita mai vista della disoccupazione, del precariato e della povertà.
Mentre Sel maturava le sue decisioni, ho espresso opinioni diverse rispetto a quelle della maggioranza e di Vendola. La quasi nulla credibilità dei partiti, l’incoerenza tra il dire e il fare, i governi di centrosinistra che non avevano lasciato chiari segni riformatori. Avevo dubbi non sul tentativo di un’alleanza con il Pd, ma sul percorso frettoloso e politicista con il quale veniva fatta, sull’onda della paura di restar fuori. Eppure Sel partiva da una piccola posizione di forza – non aveva appoggiato Monti – e aveva ancora , in quel momento, la possibilità di portare con sé associazioni e movimenti, sulla spinta dei referendum e della vittoria in città importanti.
E invece siamo andati nudi al rapporto con il Pd , consegnandoci più che alleandoci. E così siamo stati assimilati al sistema dei partiti, noi che eravamo più un movimento nato per cambiare la politica, per dare all’Italia una sinistra alternativa al liberismo.
Diciamolo: Sel non ha potuto condizionare il centrosinistra sui contenuti a partire dalla partecipazione a primarie che per tutta l’Italia sono state le primarie del Pd nonostante la generosa presenza di Vendola. Se Sel avesse portato nell’alleanza, non il Prc o i Verdi, ma i movimenti dei precari e dei giovani e quelli ambientali referendari, il segno della coalizione sarebbe cambiato, forse la lista Ingroia non sarebbe nata e avremmo potuto parlare ai moltissimi delusi della sinistra che hanno scelto invece Grillo.
Le nostre proposte sono quasi sparite: dal taglio alle spese militari alla riforma radicale dei partiti, delle leggi Fornero su pensioni e lavoro, dalla conversione ecologica dell’economia al reddito di cittadinanza. Serviva un centrosinistra antiliberista non a intermittenza, capace di parlare delle banche e delle loro politiche sciagurate. Che sia stato solo Grillo a mettere piede alla assemblea del Monte dei Paschi dicendo ad una banca quello che milioni di cittadini avrebbero voluto dire, è stato un atto concreto e simbolico di forza inaudita. Noi abbiamo parlato a mezza voce, ci hanno impietosito i nostri alleati. E da ultimo, il tema centrale di tutto ciò che va ricontrattato con l’Europa per cambiare le politiche di rigore che hanno stroncato lavoro economia e giustizia sociale. Oggi Bersani si dice disposto a ricontrattare gli impegni presi, dal fiscal compact al pareggio di bilancio (votato dal Pd). Fino a ieri chiunque si azzardasse a dirlo veniva tacciato di antieuropeismo. In campagna elettorale il Pd ha rassicurato tutti sul fatto che avrebbe mantenuto gli impegni. Quegli impegni non si possono e non si devono mantenere. Essere europeisti oggi significa combattere contro queste politiche e metterne in pista altre. Un centrosinistra così sarebbe stato più credibile.
Ora, a sconfitta incassata, non si può dire che non potevamo fare che così. È un modo di ragionare ottunde il cervello. L’apertura a Grillo post voto è un’altra dimostrazione del fatto che non abbiamo capito la natura di quel Movimento, che cresce o cala a seconda di quanto i partiti sapranno ridiventare credibili curando le loro pratiche, rompendo il loro rapporto malato con il potere, ricucendo lo strappo con il paese reale. Rincorrere M5S richiamandolo alla responsabilità è molto tattico e poco realistico. Se il centrosinistra non ha una maggioranza non potrà governare. All’orizzonte purtroppo, vedo solo un altro inaccettabile governo tecnico o del presidente; oppure le elezioni. E quel che si profila nel Pd, Renzi leader nel caso di ritorno al voto, non è la soluzione, né potrei accettarla. Credo che la sinistra in Italia possa vincere solo rimanendo se stessa. L’idea che ci sia sempre bisogno dei moderati ha pervaso la campagna elettorale e Sel non è riuscita a toglierla di mezzo. L’Italia è l’unico paese d’Europa a non avere una grande forza politica di sinistra popolare. Negli altri paesi questa sinistra riesce a vincere. Potrebbe vincere anche in Italia? I primi a esserne persuasi dovremmo essere noi.
Nessun commento:
Posta un commento