Quando
si commemorano delle nascite, delle morti od altri anniversari che
risalgono a più di un secolo prima, l'oggetto del ricordo è, le più
volte, già diventato un pezzo da museo collocato fra i reperti di un
passato morto e che non solleva più la minima emozione. Pagine culturali
dei quotidiani, dignitari della cultura ed amministratori della storia
possono celebrare il loro "avvenimento" appoggiandosi piacevolmente
sulle teche dentro le quali dormono i documenti cui riferirsi, documenti
che una volta galvanizzavano le folle. Il "Manifesto del partito
comunista" redatto nel 1848 da due giovani intellettuali allora
pressoché sconosciuti, Karl Marx e Friedrich Engels, ha conservato per
molto tempo una sorprendente freschezza. Un testo che, anche dopo più di
un secolo, attira ancora odî brucianti e messe all'indice, un testo
tanto diffuso solo quanto può essere la Bibbia - un testo del genere
deve per forza contenere abbastanza dinamite intellettuale da bastare
per un'intera era. Ciò malgrado, il "Manifesto" non festeggerà più il
suo 150° anniversario nel ruolo di grande vedette appassionatamente
discussa nel bel mezzo del tumulto della lotta sociale. Ad un certo
punto degli anni 1980, al più tardi con la svolta del 1989, questo testo
che era rimasto incandescente per così tanto tempo, d'un tratto è
diventato freddo e blando; il suo messaggio è come ingiallito nel corso
di una notte e, anche se lo si studia ancora oggi, lo si fa ormai senza
nessun stato d'animo, solo a titolo di testimonianza di una storia
passata. Ma tutto ciò non liquida affatto la teoria di Karl Marx - essa
potrà estinguersi e trapassare nel dominio della storia solo insieme al
capitalismo - e non autorizza a respingere il contenuto del "Manifesto"
con il lasciare intendere che fin dall'inizio si trattava di
un'aberrazione.
Quando mette in giro questo genere di asserzioni, il neoliberismo non fa
altro che abbaiare, ancora una volta e sempre, contro l'eterno
bersaglio della sua ira; e allo stesso tempo dimostra che anch'esso
appartiene ad un'altra epoca, dal momento che quell'obiettivo non è più
in grado di rappresentare la minima critica ad un capitalismo che nel
frattempo ha continuato il suo sviluppo.
Per poter capire il perché il "Manifesto" abbia per così tanto tempo espresso una verità, e abbia perduto in seguito la sua pertinenza solo verso la fine del XX secolo, bisogna saper riconoscere il carattere contraddittorio di una teoria marxiana che a torto è sempre stata ritenuta come un'unità monolitica. C'è, per così dire, quasi un "doppio Marx": due teorici dentro lo stesso cranio, i quali seguono delle vie di argomentazione completamente diverse. Il Marx n°1, è il Marx "essoterico" e positivo ben conosciuto dal pubblico, rampollo, e dissidente, del liberalismo, analista della politica dei suoi tempi e mentore del movimento operaio, che non rivendica niente più che dei diritti civili ed "un giusto salario per una giusta giornata di lavoro". Adottando il punto di vista ontologico del "lavoro", insieme all'etica protestante che ad esse si accompagna, questo Marx parte in guerra contro il "plusvalore non pagato" e vuole sostituire la "proprietà privata dei mezzi di produzione" con la proprietà statale. Senza dubbio è questo il Marx del "Manifesto comunista", al cui livello Engels, sodale di Marx e co-autore del testo, si è attenuto per tutta la sua vita. E' il manifesto della "lotta delle classi", la quale ha determinato l'evoluzione del mondo moderno fra il 1848 ed il 1989. "Il vostro diritto, non è altro che la volontà della vostra classe eretta a legge." - scrivono Marx ed Engels, rivolgendosi ad una borghesia capitalista ancora giovane. Oh, certo, le famose "condizioni materiali" hanno la loro importanza; ma ciò che in ultima analisi determina e fa avanzare la storia, è l'intera soggettività e la volontà cosciente degli interessi sociali in conflitto: "classe contro classe", senza che ci si interroghi più in dettaglio sul modo in cui questi meta-soggetti sociali, ed i loro interessi, si siano realmente costituiti. Risuonano qui, assai distintamente, echi dei discorsi dell'illuminismo, secondo i quali si può ricondurre, quasi scientificamente, la società e la sua evoluzione a degli atti di volontà cosciente.
A partire da questo, l'obiettivo diventa semplicemente il rovesciamento dei rapporti di dominio esistenti, cioè a dire "la costituzione del proletariato in classe dominante"; dopo che "il proletariato si sarà servito della sua supremazia politica per strappare, poco a poco, tutto il capitale alla borghesia". Improvvisamente, il concetto di capitale non designa più un rapporto sociale ma un'accumulazione di ricchezza materiale che una classe può sottrarre all'altra e la cui forma sociale non viene più presa del tutto in considerazione. Denaro e Stato appaiono così come della entità neutre che ci si disputano e di cui l'una o l'altra classe può fare, in qualche modo, il suo bottino. Il proletariato è legittimato moralmente, in questa lotta, dal suo ruolo di rappresentante del "lavoro" a fronte di quei "renditieri senza lavoro", parassiti, dei capitalisti. Secondo questa logica, il "Manifesto" perciò reclama come misure inaggirabili la "centralizzazione del credito nelle mani dello Stato", il "lavoro obbligatorio (!) per tutti", o ancora "l'organizzazione di eserciti industriali (!)".
Adorno sapeva di cosa parlava quando accusava il Marx del "Manifesto" di aver voluto trasformare il mondo intero in una gigantesca casa di lavoro. Le dittature socialiste di sviluppo, come quelle conosciute dall'Unione Sovietica e da alcuni paesi del terzo mondo, avevano effettivamente tutti i tratti di un comunismo di caserma fondato su una visione utopica del lavoro.
Detto ciò, c'è allo stesso tempo un tutt'altro Marx. C'è il Marx n°2, il Marx "esoterico" e negativo che rimane ancora oggi oscuro e misconosciuto, lo scopritore del feticismo della società e della critica radicale, sia del "lavoro astratto" che dell'ethos repressivo che lo accompagna e che caratterizza il sistema moderno di produzione di merci. Il Marx n°2 concentra la sua analisi teorica non più sugli interessi immanenti al sistema ma, piuttosto, sulla sua natura storica. La questione non è più quella del "plusvalore non pagato" o del potere giuridico di disporre della proprietà privata, bensì quella della forma sociale del valore stesso, una forma che è comune a tutte le classi in concorrenza e che è anche la principale responsabile della divergenza dei loro interessi. Questa forma è "feticista" dal momento che costituisce una struttura senza soggetto, una struttura che agisce "dietro le spalle" degli uomini e li sottomette al processo cibernetico incessante della trasformazione dell'energia umana in denaro. Se ci si riferisce al livello teorico del Marx n°2, la maggior parte del "Manifesto comunista" appare del tutto privo di senso. Visto che a questo livello, il capitale non è più una cosa che possa essere presa alla classe dominante: esso è il rapporto sociale del denaro totalizzato; connesso a sé stesso in un circuito chiuso, è diventato "capitale", e questo significa che, con un gesto fantasmagorico, si è reso autonomo e si comporta ormai (come Marx, più tardi, scriverà nel Capitale) da "soggetto automatico". Per superare questo rapporto assurdo e mettere fine al feticismo moderno, non ci si può perciò accontentare di perpetuare le lotte di interesse immanenti al sistema. Quel che bisogna fare, al contrario, è, in definitiva una rottura cosciente con la forma comune ai differenti interessi, per passare dal movimento folle del valore e delle sue categorie ("lavoro", merce, denaro, mercato, Stato) ad una "amministrazione delle cose" comune ed emancipata, ed attirare coscientemente parte delle forze produttive secondo i criteri della "ragione sensibile", in luogo di abbandonarsi alla sottomissione cieca di una "macchina" feticista.
Quale rapporto c'è tra il Marx n°1 "essoterico" ed il Marx n°2 "esoterico"? Quel che è certo è che non possiamo dividere il doppio Marx fra un "giovane Marx" ed un "Marx della maturità", perché il problema riapparirebbe sotto la forma di una contraddizione che attraversa tutta la sua opera teorica. Si possono trovare elementi di una critica del "lavoro" e del feticismo della forma valore negli scritti di gioventù che precedono il Manifesto comunista, così come, all'inverso, si ritrovano nel Capitale e negli ultimi testi, elementi del modo di pensare che riportano al piano sociologico. Il problema è che Marx, alla sua epoca, non poteva assolutamente riconoscere la contraddizione all'interno della sua teoria, nella misura in cui questa contraddizione non si trovava solo nella teoria ma nella realtà stessa. Marx rileva la forma comune inedita e il carattere storicamente limitato degli interessi di classe contrapposti, ma questa sua rilevazione non può avere alcun effetto pratico: il sistema moderno produttore di merci deve ancora percorrere una traiettoria di sviluppo lunga 150 anni. Ecco perché il movimento operaio, lasciano da una parte il Marx n°2, non ha potuto assimilare altro che le tesi del Manifesto comunista.
In tal senso, la "lotta delle classi" riveste un significato del tutto nuovo: lungi dall'aver lavorato alla caduta del sistema capitalista, è stato piuttosto il motore interno del suo sviluppo. Il movimento operaio, limitandosi alla forma feticista dei suoi interessi, incarna in qualche sorta il progresso del modo di produzione capitalista contro il conservatorismo istintivo delle élite capitaliste dell'epoca. Esso ha imposto l'aumento dei salari, la riduzione del tempo di lavoro, la libertà d'associazione, il suffragio universale, l'intervento dello Stato in economia, la politica industriale, la politica occupazionale, ecc., così come le condizioni necessarie allo sviluppo e all'estensione del capitalismo industriale. Ed il "Manifesto comunista" è stato il faro luminoso di tale movimento storico all'interno del bozzolo feticista. Se al giorno d'oggi questo movimento si ritrova al collasso, è perché il sistema capitalista stesso non ha più davanti a sé il minimo orizzonte di sviluppo. La "lotta di classe" è finita ed il "Manifesto comunista" ha perso la sua forza. Il suo verbo elettrizzante si è gelato in documento storico. Questo testo non corrisponde più alla realtà dal momento che ha compiuto la sua missione. Ma ecco che questo è il motivo per cui è suonata l'ora del Marx n°2 "esoterico": i riferimenti comuni al "soggetto automatico", che all'epoca storica della lotta di classe non veniva assolutamente percepito come un fenomeno distinto, e rimaneva in qualche modo "invisibile", costituisce ormai un problema bruciante e la sua crisi globale marcherà profondamente il nuovo secolo. Bisognerebbe redigere un nuovo manifesto, per il quale non è stato ancora trovato il linguaggio.
Fonte: Critique radicale de la valeur
Per poter capire il perché il "Manifesto" abbia per così tanto tempo espresso una verità, e abbia perduto in seguito la sua pertinenza solo verso la fine del XX secolo, bisogna saper riconoscere il carattere contraddittorio di una teoria marxiana che a torto è sempre stata ritenuta come un'unità monolitica. C'è, per così dire, quasi un "doppio Marx": due teorici dentro lo stesso cranio, i quali seguono delle vie di argomentazione completamente diverse. Il Marx n°1, è il Marx "essoterico" e positivo ben conosciuto dal pubblico, rampollo, e dissidente, del liberalismo, analista della politica dei suoi tempi e mentore del movimento operaio, che non rivendica niente più che dei diritti civili ed "un giusto salario per una giusta giornata di lavoro". Adottando il punto di vista ontologico del "lavoro", insieme all'etica protestante che ad esse si accompagna, questo Marx parte in guerra contro il "plusvalore non pagato" e vuole sostituire la "proprietà privata dei mezzi di produzione" con la proprietà statale. Senza dubbio è questo il Marx del "Manifesto comunista", al cui livello Engels, sodale di Marx e co-autore del testo, si è attenuto per tutta la sua vita. E' il manifesto della "lotta delle classi", la quale ha determinato l'evoluzione del mondo moderno fra il 1848 ed il 1989. "Il vostro diritto, non è altro che la volontà della vostra classe eretta a legge." - scrivono Marx ed Engels, rivolgendosi ad una borghesia capitalista ancora giovane. Oh, certo, le famose "condizioni materiali" hanno la loro importanza; ma ciò che in ultima analisi determina e fa avanzare la storia, è l'intera soggettività e la volontà cosciente degli interessi sociali in conflitto: "classe contro classe", senza che ci si interroghi più in dettaglio sul modo in cui questi meta-soggetti sociali, ed i loro interessi, si siano realmente costituiti. Risuonano qui, assai distintamente, echi dei discorsi dell'illuminismo, secondo i quali si può ricondurre, quasi scientificamente, la società e la sua evoluzione a degli atti di volontà cosciente.
A partire da questo, l'obiettivo diventa semplicemente il rovesciamento dei rapporti di dominio esistenti, cioè a dire "la costituzione del proletariato in classe dominante"; dopo che "il proletariato si sarà servito della sua supremazia politica per strappare, poco a poco, tutto il capitale alla borghesia". Improvvisamente, il concetto di capitale non designa più un rapporto sociale ma un'accumulazione di ricchezza materiale che una classe può sottrarre all'altra e la cui forma sociale non viene più presa del tutto in considerazione. Denaro e Stato appaiono così come della entità neutre che ci si disputano e di cui l'una o l'altra classe può fare, in qualche modo, il suo bottino. Il proletariato è legittimato moralmente, in questa lotta, dal suo ruolo di rappresentante del "lavoro" a fronte di quei "renditieri senza lavoro", parassiti, dei capitalisti. Secondo questa logica, il "Manifesto" perciò reclama come misure inaggirabili la "centralizzazione del credito nelle mani dello Stato", il "lavoro obbligatorio (!) per tutti", o ancora "l'organizzazione di eserciti industriali (!)".
Adorno sapeva di cosa parlava quando accusava il Marx del "Manifesto" di aver voluto trasformare il mondo intero in una gigantesca casa di lavoro. Le dittature socialiste di sviluppo, come quelle conosciute dall'Unione Sovietica e da alcuni paesi del terzo mondo, avevano effettivamente tutti i tratti di un comunismo di caserma fondato su una visione utopica del lavoro.
Detto ciò, c'è allo stesso tempo un tutt'altro Marx. C'è il Marx n°2, il Marx "esoterico" e negativo che rimane ancora oggi oscuro e misconosciuto, lo scopritore del feticismo della società e della critica radicale, sia del "lavoro astratto" che dell'ethos repressivo che lo accompagna e che caratterizza il sistema moderno di produzione di merci. Il Marx n°2 concentra la sua analisi teorica non più sugli interessi immanenti al sistema ma, piuttosto, sulla sua natura storica. La questione non è più quella del "plusvalore non pagato" o del potere giuridico di disporre della proprietà privata, bensì quella della forma sociale del valore stesso, una forma che è comune a tutte le classi in concorrenza e che è anche la principale responsabile della divergenza dei loro interessi. Questa forma è "feticista" dal momento che costituisce una struttura senza soggetto, una struttura che agisce "dietro le spalle" degli uomini e li sottomette al processo cibernetico incessante della trasformazione dell'energia umana in denaro. Se ci si riferisce al livello teorico del Marx n°2, la maggior parte del "Manifesto comunista" appare del tutto privo di senso. Visto che a questo livello, il capitale non è più una cosa che possa essere presa alla classe dominante: esso è il rapporto sociale del denaro totalizzato; connesso a sé stesso in un circuito chiuso, è diventato "capitale", e questo significa che, con un gesto fantasmagorico, si è reso autonomo e si comporta ormai (come Marx, più tardi, scriverà nel Capitale) da "soggetto automatico". Per superare questo rapporto assurdo e mettere fine al feticismo moderno, non ci si può perciò accontentare di perpetuare le lotte di interesse immanenti al sistema. Quel che bisogna fare, al contrario, è, in definitiva una rottura cosciente con la forma comune ai differenti interessi, per passare dal movimento folle del valore e delle sue categorie ("lavoro", merce, denaro, mercato, Stato) ad una "amministrazione delle cose" comune ed emancipata, ed attirare coscientemente parte delle forze produttive secondo i criteri della "ragione sensibile", in luogo di abbandonarsi alla sottomissione cieca di una "macchina" feticista.
Quale rapporto c'è tra il Marx n°1 "essoterico" ed il Marx n°2 "esoterico"? Quel che è certo è che non possiamo dividere il doppio Marx fra un "giovane Marx" ed un "Marx della maturità", perché il problema riapparirebbe sotto la forma di una contraddizione che attraversa tutta la sua opera teorica. Si possono trovare elementi di una critica del "lavoro" e del feticismo della forma valore negli scritti di gioventù che precedono il Manifesto comunista, così come, all'inverso, si ritrovano nel Capitale e negli ultimi testi, elementi del modo di pensare che riportano al piano sociologico. Il problema è che Marx, alla sua epoca, non poteva assolutamente riconoscere la contraddizione all'interno della sua teoria, nella misura in cui questa contraddizione non si trovava solo nella teoria ma nella realtà stessa. Marx rileva la forma comune inedita e il carattere storicamente limitato degli interessi di classe contrapposti, ma questa sua rilevazione non può avere alcun effetto pratico: il sistema moderno produttore di merci deve ancora percorrere una traiettoria di sviluppo lunga 150 anni. Ecco perché il movimento operaio, lasciano da una parte il Marx n°2, non ha potuto assimilare altro che le tesi del Manifesto comunista.
In tal senso, la "lotta delle classi" riveste un significato del tutto nuovo: lungi dall'aver lavorato alla caduta del sistema capitalista, è stato piuttosto il motore interno del suo sviluppo. Il movimento operaio, limitandosi alla forma feticista dei suoi interessi, incarna in qualche sorta il progresso del modo di produzione capitalista contro il conservatorismo istintivo delle élite capitaliste dell'epoca. Esso ha imposto l'aumento dei salari, la riduzione del tempo di lavoro, la libertà d'associazione, il suffragio universale, l'intervento dello Stato in economia, la politica industriale, la politica occupazionale, ecc., così come le condizioni necessarie allo sviluppo e all'estensione del capitalismo industriale. Ed il "Manifesto comunista" è stato il faro luminoso di tale movimento storico all'interno del bozzolo feticista. Se al giorno d'oggi questo movimento si ritrova al collasso, è perché il sistema capitalista stesso non ha più davanti a sé il minimo orizzonte di sviluppo. La "lotta di classe" è finita ed il "Manifesto comunista" ha perso la sua forza. Il suo verbo elettrizzante si è gelato in documento storico. Questo testo non corrisponde più alla realtà dal momento che ha compiuto la sua missione. Ma ecco che questo è il motivo per cui è suonata l'ora del Marx n°2 "esoterico": i riferimenti comuni al "soggetto automatico", che all'epoca storica della lotta di classe non veniva assolutamente percepito come un fenomeno distinto, e rimaneva in qualche modo "invisibile", costituisce ormai un problema bruciante e la sua crisi globale marcherà profondamente il nuovo secolo. Bisognerebbe redigere un nuovo manifesto, per il quale non è stato ancora trovato il linguaggio.
Fonte: Critique radicale de la valeur
Nessun commento:
Posta un commento