Se il Pd fosse un partito serio la scissione sarebbe cosa
fatta. La contrapposizione tra le piazze di questi giorni e la spocchia
della Leopolda non potrebbe infatti essere più netta.
Naturalmente non stiamo parlando di un
partito vero, quindi non appare prevedibile nell'immediato nessuna
scissione. Troppo netto il divario tra la corte renziana (un conducator,
un discorso reazionario ma coerente, un piccolo stuolo di aspiranti a
entrare nella “classe dirigente” grazie solo al proprio mettersi a
disposizione, come nelle vecchie clientele democristiane) e il
pulviscolo disperso della “vecchia guardia”. La quale si sfarina a ogni
dichiarazione, tra chi “non ci pensa nemmeno ad andarsene”, chi “vuol
restare per rovesciare la maggioranza”, chi aspetta tempi migliori e chi
è già rassegnato a esser fatto fuori ma non si candida a promuovere una
scissione. Meglio così. Di tutto abbiamo bisogno meno che di un altro
pezzo di establishment di ex sinistra che si mette a costruire
un nuovo “cartello elettorale più largo e inclusivo”, senza ragionare
su quel che sta accadendo e soprattutto sulle tendenze che il renzismo
sta solo interpretando.
Ma una rottura, netta, c'è stata e non va
sottostimata, visto che sembrava di vivere in un modo incantato e
perverso, dove i padroni chiedevano di licenziare, il governo diceva sì e
i lavoratori dovevano apparire contenti. Questo incanto si è rotto.
È una rottura sociale con grande potenziale politico, ma
senza sponda politica. Il mondo del lavoro dipendente, per quanto
incerto sulla direzione da prendere, ha identificato con chiarezza il
renzismo come “il nemico”. Era così nelle cose, nelle politiche
economiche, nei programmi di governo; ma non ancora nella consapevolezza
di massa. O perlomeno non in forma così netta ed esplicita, solare. È
una rottura che riguarda tutto il lavoro dipendente, sia nella parte
residuamente “stabile” che nell'oceano della precarietà o della
disoccupazione.
Di
più. Si è incrinata seriamente la possibilità di gestire il passaggio
di modello sociale come un “conflitto generazionale”. Veniamo da anni di
propaganda liberista che hanno fatto strage nei cervelli anche di
“ultrasinistra”, imponendo lo schemino per deficienti “giovani precari” versus
“anziani garantiti”. La realtà sociale di tutti i giorni ci mette
davanti schiere di lavoratori anziani o di mezza età precari,
disoccupati, esodati, “esuberi” e finanche milioni di già pensionati che
non arrivano a metà mese. Alla ThyssenKrupp come a Meridiana, di nuovo
in Alitalia come in mille altre aziende grandi o piccolissime, la
strategia padronale punta a buttar fuori lavoratori di qualsiasi età
coperti da un contratto a tempo indeterminato per sostituirli con altri –
magari addirittura le stesse persone fisiche – senza più garanzie
contrattuali e normative. Chi ha visto accapigliarsi nello studio di
Lucia Annunziata un gruppo di “giovani del Pd” equamente divisi tra
renziani e no, ha potuto – nella bolgia – riconoscere frammenti di
interessi “di classe” contrapposti a “parole” pensate per nascondere i
contenuti. E identificarsi, a prescindere dall'età...
Del resto, dopo trenta anni di “politiche per i giovani”, che hanno
prodotto o favorito una disoccupazione generazionale salita oltre il
40%, diventa difficile raccontare ancora che la distruzione dei diritti
facilita l'occupazione degli under di qualsiasi età...
Anche dall'alto – da parte dello stesso Renzi e dei suoi cortigiani –
c'è stata una rottura decisa. Di portata storica. Il tormentone
ammannito a tutti i media - “non esiste più il posto fisso”, quindi “non
ha più senso una sinistra dei diritti del lavoro” - ha assunto i
connotati di un passaggio d'epoca: il capitalismo non promette più
maggiore benessere per tutti, ma solo maggiore “competizione”. Fra
individui, imprese, paesi, continenti...
Dobbiamo partire da questa constatazione. La “sinistra” della
concertazione, del keynesismo (moderato, per carità), della mediazione
al ribasso, ecc, non ha più alcuna possibilità di recupero. Il modello
sociale che l'Unione Europea sta imponendo – e che Renzi intepreta
all'italiana, mediando con il grosso del blocco sociale berlusconiano -
non prevede più alcun “patto tra i produttori”, nessun compromesso tra
capitale e lavoro. Conta solo l'impresa. I suoi interessi sono
“l'interesse del paese”, i suoi modelli di “governance” sono la nuova
architettura istituzionale. E che si fotta la democrazia, come
annunciato nero su bianco dalla J.P. Morgan.
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