Chi
legge questo blog sa come spesso si sia sempre spezzata una lancia in
favore dell’utopia quale fattore essenziale di evoluzione politica e
sociale, come lievito necessario ad esse E’ una posizione difficile di
fronte al dilagare del più vuoto pragmatismo che costituisce appunto una
rinuncia radicale al futuro collettivo per lasciare spazio ai “sogni”
individuali che snella quasi totalità sono soltanto illusioni. E
tuttavia in un momento di imponenti trasformazioni che mettono insieme
sia lo sgangherato tentativo degli Usa e dei loro ascari europei di
conservare l’egemonia mondiale, sia il contemporaneo tentativo neo
liberista di servirsi di un’idea riduttiva di libertà e di democrazia
per giungere a una nuova schiavitù, il realismo finisce per diventare
esso stesso un’utopia negativa.
E’ in nome di questo realismo che la socialdemocrazia europea e gran
parte della stessa sinistra ha fatto bancarotta di idee, pensando che
nel mondo del pensiero unico vincente, l’unica strada possibile
fosse quella di contenere gli spiriti animali del capitalismo pur
lasciando intatto il modello di società che esso propone, anzi in
qualche modo partecipandovi. Ora se esiste un’utopia, nel suo senso
peggiore, quello che confina con l’illusione o la chimera, è proprio
questa forma di realismo che tanto rassomiglia a una bandiera bianca: se
non si sa cosa proporre di alternativo, se nemmeno più si pensa che
un’alternativa possa esserci, con quali mezzi , attraverso quali
ragioni si dovrebbe tentare di arginare quella società della
disuguaglianza e dell’autoritarismo sociale che è proposta dal neo
liberismo? Che infatti è stato capace di sfruttare e penetrare ogni
concessione.
E’ questa realtà che emerge dal patetico e incoerente appello dei 340
per una nuova Bretton Wood europea come dalle righe del sociologo Colin
Crunch, approdato al blairismo dopo esserne stato l’avversario più
intransigente. L’utopia è difficile spezzarla, è un seme fecondato, ma i
miraggi si dissolvono facilmente perché sono una realtà fasulla,
appaltata, costruita dai media. Ed è così tanto per fare per esempio
concreto che viene simulata una sorta di ripresa negli Usa quando invece
tutti gli indicatori gridano stagnazione, declino, povertà e le borse
sono appese ai 15 miliardi al mese stampati dalla fed o agli acquisti
straordinari da 4000 mila miliardi di obbligazioni subprime fatti in
questi giorni dopo la caduta degli indici. Una cosa che viene ormai
ampiamente ammessa anche dai sacerdoti che accudiscono alla gigantesca
bolla che sta per scoppiare, sancendo così il definitivo divorzio
dell’economia reale da quella di carta. Qualcosa che richiede anche il
consolidamento del potere militare di uno stato divenuto fantoccio dell’
1% e spauracchio per il restante 99, spingendo all’estremo ogni
luttuoso esercizio geopolitico.
Solo un demente non capirebbe che il gioco sta arrivando alla sua
fine, che tutto questo non funziona, che presenta contraddizioni
insanabili e che l’obiettivo da tempo non è più di rimediare ai
disastri, ma quello di giungere ad assetti autoritari e oligarchici, che
reggano all’inevitabile diluvio che si approssima. Tuttavia per vedere
chiaramente tutto questo e per opporvisi con efficacia occorre un utopia
e sfuggire al realismo claustrofobico e giornaliero nel quale siamo
immersi. Quando non la si possiede, non si è affatto più realisti, ma si
prendono lucciole per lanterne, ci si lascia incantare dalle
volgari commedie delle parti, al fiim in proiezione, si vede acqua dove
c’è sabbia e come estrema ribellione si finisce per chiedere, per
favore, per cortesia, che si rubi un po’ meno ai poveri, per dare ai
ricchi, così per educazione. Paradossalmente è proprio quell’ 1% che
ormai rastrella l’80 per cento delle risorse mondiali, che conosce bene
la potenza dell’utopia e sa perfettamente che un’altra società è
possibile: per quello fa di tutto perché non lo sappia l’altro 99%.
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