Il popolo degli smartphone e del
digitale che gremiva l’antica stazione fiorentina della Leopolda ha dedicato il
suo più lungo applauso al passaggio più “antico” e politicista sviluppato nel
corso del suo comizio finale dal presidente del Consiglio e segretario del PD
Matteo Renzi.
E’ stato quando l’oratore ha
evocato la scissione “da sinistra” il formarsi di una “cosa” raccolta attorno
all’antiquata piazza San Giovanni chiamata a raccolta 24 ore prima dalla CGIL:
“è bene – ha detto Renzi – che questa cosa si formi così dimostrerà tutta la sua
inconsistenza e il suo essere superflua rispetto al centro della vita politica
del paese”.
In sala sono saliti applausi
scroscianti che hanno segnato la fine di un’epoca e fatto scrivere, giustamente,
da molti commentatori che Renzi stava già “oltrepassando” il PD: forze oggi Ilvo
Diamanti scriverà già di P-R in luogo di PD-R.
Si tratta di un vero e proprio
salto di qualità rispetto al tentativo di stampo personalistico svolto negli
anni scorsi da Silvio Berlusconi che, fin dal 1994 e poi per un lungo periodo,
aveva trovato alimento in una vena classica del filone d’oro del consenso
italico: la paura del comunismo.
Adesso quelli che si considerano
ex-comunisti vengono sì evocati ma per essere irrisi, considerati meno che
marginali, lontani dall’essenza dello scontro in atto che è generazionale, di
uso personale della tecnologia, di espressione dell’individualismo; ben lontano,
insomma, questo cuore dello scontro dalle logiche di analisi sociale e di
distinzione di classe che aveva ispirato per tanti anni il complesso delle
argomentazioni e delle scelte all’interno del sistema politico italiano che pure
avevano animato gli interpreti dell’analisi gramsciana temperata dall’accorto
pragmatismo togliattiano fino a formare il più grande partito comunista
d’Occidente
Fuori dal discorso anche gli
ultimi esegeti della dottrina sociale della Chiesa, gli ultimi eredi della
“Rerum Novarum”, gli assistenti di Scoppola o Bachelet, quelli che si erano
attinti alla fonte della “terza fase” e dei tempi lunghi di Aldo Moro: resistono
soltanto gli esegeti del “meglio campare che tirare le cuoia” di andreottiana
memoria.
Al netto ovviamente degli
opportunismi di stampo burlandiano, opportunismi sempre presenti nel nostro
sistema ben prima del “discorso di Stradella”.
Non è il caso di commentare il
discorso di Renzi: gonfio per una parte di retorica nazionalista e dall’altra
della vecchia fissazione dei reaganiani d’Italia “il posto fisso non c’è più” e
della logica di presunte pari opportunità: basta riflettere su quanto già
affermato circa l’assenza di un’analisi delle forze sociali e dei soggetti.
Un’assenza che nasconde l’ansia del totalitarismo, del consenso generalizzato
attorno a qualche parola d’ordine per poi realizzare un comando di tipo
personale.
Dal “potere politico” al
“comando politico”: questo il passaggio di fase che si sta realizzando
all’interno del nostro sistema.
Il punto vero di analisi che si
può trarre da questo quadro riguarda però davvero la sinistra
Si sta compiendo, infatti, un
altro momento d’importante passaggio : la dimostrazione concreta, se mai ce ne
fosse stato ancora bisogno, del fallimento dell’operazione di liquidazione del
PCI. Operazione che tra pochi giorni compirà 25 anni.
Si dimostra inutile, infatti, la
sinistra dello “sblocco del sistema politico”, della “governabilità”, del “new
labour” e si dimostra, di conseguenza, inutile in partenza anche una presunta
“sinistra del lavoro” che cerchi di “dialogare” con il partito della Leopolda
per spostare l’asse verso sinistra contrastando il richiamo irresistibile di un
centro senza confini che non siano quelli dell’individualismo egoista: cifra
portante ormai, nell’incultura dilagante, di larghi settori della società
all’interno dei quali si scambia l’uso dei gadget elettronici con la promozione
sociale chiudendo gli occhi sulla condizione materiale vera di milioni e milioni
di persone ridotte nell’impoverimento, nella precarietà, nella sopraffazione,
nello sfruttamento.
Davvero, per esemplificare, il
discorso di Renzi è un ritorno all’800: all’800 dei
padroni.
La sinistra deve esistere, deve
organizzarsi, deve saper ritornare a rappresentare soggetto politico in grado di
incidere.
Per far questo, cerco di
affermarlo con grande chiarezza verso le tante compagne e compagni esitanti o
legati a uno schema davvero superato, è necessario ritornare- prima di tutto –
ai fondamentali della nostra identità sia sul piano storico, politico,
programmatico, organizzativo.
C’è molta frammentazione e molta
incertezza dopo tanti anni di sconfitte.
Le sconfitte però sono finite
perché è cambiato l’avversario che ce le aveva inflitte: si è aperto davvero
una fase diversa, almeno per quel che riguarda il ”caso italiano” (ma, di
riflesso, anche rispetto all’Europa).
Un’identità basata sull’analisi
delle forme nuove della lotta di classe e del modificarsi dello scenario
internazionale che sempre più sembra richiedere una visione internazionalista,
né globalista, né sovranazionale, delle grandi ragioni di
conflitto.
La ripresa della riflessione
sull’identità comunista in questo secolo: questa la sola risposta possibile da
fornire a questo mutamento di scenario, per una sinistra capace di raccogliere
le masse non soltanto per prospettare accomodamenti negli interstizi offerti
dall’avversario ma per affermare in pieno la forte e incoercibile ragione delle
condizioni materiali di chi vive del proprio lavoro e trasformare questa società
nel segno dell’eguaglianza
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