mercoledì 1 ottobre 2014

"Università popolare per uscire insieme dalla crisi della sinistra". Intervista a Valerio Strinati di Alba Vastano



Perché un’università popolare “Antonio Gramsci”?
A poter leggere il documento, Gramsci tirerebbe un sospiro di sollievo e adeguerebbe il suo mesto sorriso un po’ leonardesco a un’espressione sicuramente più gioiosa. Nel documento programmatico stilato dai promotori dell’università popolare “Antonio Gramsci” s’intendono presentare le finalità del progetto, in base al pensiero del massimo esponente della nascita del partito comunista italiano, cercando di cogliere il senso più sostanziale della sua lezione.Tenere duro nella sconfitta e, al tempo stesso, interrogarsi senza remore sulle ragioni vere e profonde del l’attuale crisi della sinistra in Italia. A parlarne, esponendo le motivazioni della nascita e del percorso attuale, é Valerio Strinati, uno dei fondatori del progetto, insieme al giornalista Eugenio Cirese e Raul Mordenti, docente universitario e scrittore

Quali le finalità che vi proponete in una realtà sociale e politica che si contrappone al mutuo soccorso, alla solidarietà, all’impegno per ricostruire una società a misura d’uomo e per restituire dignità al mondo del lavoro e alle persone?
Una delle caratteristiche della crisi globale che si prolunga ormai da sei anni è costituita da una radicale tendenza al logoramento dei rapporti sociali di tipo “orizzontale” e all’isolamento delle persone le une dalle altre. Di fatto, l’impoverimento di consistenti fasce di popolazione e la perdita di status conseguente a disoccupazione e sottoccupazione ha accentuato tutte le pulsioni più marcatamente individualiste, per non dire egoistiche, mettendo a dura prova, specularmente, lo spirito di condivisione e di solidarietà. In tempo di avanzata dell’ideologia liberista, negli anni ’90, questa tendenza ha potuto rivestire la forma dell’apologia dello spirito di intrapresa, del libero dispiegarsi delle facoltà umane a fronte dell’irreggimentazione collettivistica dei sistemi totalitari. Oggi, con l’adozione di politiche di austerity soprattutto nell’Eurozona, queste bardature ideologiche sono miseramente crollate, e l’individualismo liberista ha mostrato di essere la copertura di un darwinismo sociale più feroce che dà per ineluttabile (ed in una certa misura auspicabile) l’accentuazione della natura gerarchica dell’assetto sociale e l’emarginazione dei più deboli. Non solo in Italia, la sinistra non ha saputo trovare risposte all’altezza della nuova situazione determinatasi con la fine del mondo bipolare, subendo l’offensiva materiale e culturale della destra economica e culturale, ma non ha neanche trovato la forza per riaffermare i propri valori e le proprie idee nel momento in cui la crisi ha confermato la natura inevitabilmente contraddittoria della formazione socioeconomica capitalistica, anche nell’epoca della globalizzazione. Mi permetto, a questo proposito, di citare il documento programmatico dell’Università popolare: “[…] l'esito devastante della crisi esplosa nel 2008 non ha avuto l'effetto di fare emergere una linea alternativa di direzione dell'economia e delle istituzioni, né di avviare una riflessione organica sulle conseguenza di una liberalizzazione che ha considerato come eresia qualsiasi riflessione sul controllo democratico del ciclo economico e su forme di intervento pubblico sull'economia. In altri termini, la "lunga durata" ideale del successo neoliberista ha messo in ombra il declino economico reale”.
Ripartiamo da questa considerazione, non per dare vita a una formazione politica, ma per proporre un punto di riferimento a tutti coloro che ritengono necessario e possibile interrogarsi sulla sconfitta della sinistra, sui limiti che non sono stati affrontati e tanto meno superati, sugli errori sui quali non ci si è voluti interrogare fino in fondo; e al tempo stesso vogliamo essere noi stessi un fattore di aggregazione, di inclusione, a partire dallo studio, dalla formazione, dalla ricerca. “Abbiamo l'ambizione – afferma il nostro documento programmatico - di contribuire anche noi a “fare società”, così come un orto sociale o una società di mutuo soccorso, abbiamo la speranza di dare una mano a ricucire o creare un tessuto umano e sociale dentro e contro la crisi. Rivendichiamo il valore di un percorso di ricerca critica anche per il “qui e ora” proprio perché non abbiamo nessuna intenzione di “inseguire le scadenze”, tantomeno elettorali, ma vogliamo tentare di costruire percorsi di ricerca senza farci prendere dall'ansia dell'attualizzazione o della riduzione di temi complessi a formule facilmente assimilabili ma, alla fine, poco nutrienti.” Tutti noi che abbiamo dato vita all’Università popolare Antonio Gramsci, provenendo da percorsi culturali e personali molto differenti, siamo convinti che questa strada sia praticabile e, in una certa misura, necessaria, perché è praticabile e necessaria una uscita da sinistra dalla crisi che ci attanaglia.
Perché Antonio Gramsci dovrebbe ancora essere letto, il suo pensiero studiato e perseguito? Perché riattualizzare Gramsci e da dove si riparte?
Nella figura di Antonio Gramsci si compendiano molti aspetti, nessuno dei quali può essere trascurato, ma forse oggi assume un particolare rilievo la sua instancabile vocazione critica. II fatto di non essersi mai adagiato su una formula o su una analisi ma di avere considerato qualsiasi approdo come un punto di passaggio verso una ricerca dominata da un senso profondo della realtà e della sua complessità. Le principali categorie gramsciane non risentono affatto del dogmatismo dominante del marxismo negli anni ’30, ma si prestano anzi ad una lettura dinamica dei rapporti tra classi, ceti e gruppi e dell’evoluzione culturale delle società complesse. D’altra parte, non si tratta di “riattualizzare” Gramsci: in molti paesi, forse più che in Italia, ed in particolare negli USA e in America Latina, Gramsci è studiato e considerato uno dei più eminenti pensatori politici del ‘900, anche da studiosi che non si rifanno ad una impostazione marxista.
Cosa può insegnare oggi la storia del movimento operaio a chi é fuori dal mondo del lavoro e a una sinistra ormai sconfitta?
La storia del movimento operaio è storia di emancipazione, di liberazione della donna e dell’uomo. Eguaglianza, cittadinanza, libertà dalla paura e dal bisogno, solidarietà, pluralismo e multiculturalità sono oggi le parole chiave di un percorso che è stato avviato secoli fa, del quale le lotte operaie e popolari hanno costituito e costituiscono un passaggio essenziale. In molte parti del mondo, la tutela dei minori dallo sfruttamento, la libertà della donna, la difesa dei lavoratori delle città e delle campagne da condizioni di sfruttamento inumano sono questioni attuali, e costituiscono la premessa di ogni sviluppo democratico, molto più che la fittizia creazione di istituzioni formalmente democratiche, pronte a prestare orecchio alle ricette economiche fallimentari del FMI.
Per tornare in Europa e al nostro paese in particolare, non è un caso che il conservatorismo politico che si è voluto autodefinire “riformista” (in modo per la verità non molto credibile) quando affronta il tema delle politiche del lavoro, propone ricette fondate sulla rimozione di tutte le conquiste realizzate negli ultimi cento anni: dai limiti legali all’orario di lavoro, alla contrattazione collettiva, alla tutela dai licenziamenti. E’ mai possibili, o meglio tollerabile, che si continui a parlare dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (totem ideologico, si, ma della destra!) in un paese in cui ogni giorno si verificano tre incidenti mortali sul lavoro? Non mi sembra difficile individuare la priorità!

Come si realizza praticamente l'organizzazione dell'Università popolare? Quali sono i seminari attualmente attivi , chi i relatori e come vi si può accedere? Quali i canali di diffusione e in quali sedi si tengono i corsi?
Siamo nati da poco, e siamo ancora nella fase di avvio. In estrema sintesi, si può dire che didattica, ricerca ed autoformazione sono un impegno di tutti i soci e non solo dei docenti. Ovviamente ci sono compagne e compagni che assumono una funzione di coordinamento dell’attività didattica, e tra questi docenti universitari, ricercatori indipendenti e cultori di diverse discipline. Il quadro non è completo anche perché – e sono lieto di poterlo affermare – ci pervengono con una certa continuità proposte di collaborazione. La fase attuale, di preparazione dei corsi, si struttura in gruppi aperti, che definiamo seminari permanenti tematici e che dovrebbero essere embrioni di future strutture di tipo dipartimentale. Teniamo molto realizzare proposte di elevata qualità culturale, e per questa ragione siamo intenzionati a dare vita, a fianco ad un organo direttivo eletto democraticamente dai soci, ad un Comitato scientifico, composto da studiosi ed esperti, che valuti ciascun corso e ne “certifichi” appunto la qualità. Al momento sono in fase di predisposizione corsi: di introduzione allo studio del pensiero di Antonio Gramsci; sulla storia orale dei movimenti in Italia dagli anni ’50 in avanti; sulle origini del movimento operaio e popolare dopo l’Unità d’Italia e fino allo scoppio della prima guerra mondiale; sull’economia politica, con particolare attenzione all’approccio marxista. E’ altresì previsto un corso su alimentazione e salute. Ma ci sono molti altri progetti sui quali è ancora aperta la discussione.
Per quanto riguarda i canali di diffusione del nostro lavoro, direi che al momento i risultati migliori vengono dall’impegno delle compagne e dei compagni che hanno aderito al progetto, impegno che si traduce nella creazione di una rete informale che cresce in modo davvero confortante. E sempre a proposito di rete, nei prossimi mesi sarà attivo il sito web dell’Università popolare Antonio Gramsci, che avrà una sezione particolare dedicata all’informazione su un lavoro che vorremmo pensare sempre più vario e partecipato.

Qual é il suo pensiero sull'impegno culturale di Antonio Gramsci jr che, a suo dire, ha conosciuto l'importanza del pensiero del nonno solo da pochi anni. E per chiudere, quanto ha inciso, secondo lei, la famiglia Schucht nella vita di Gramsci uomo?
Antonio Gramsci jr. ha compiuto un percorso individuale esemplare, di ricerca delle proprie radici attraverso una scavo che è stato insieme emotivo e di studio. Un lavoro che forse dovrebbe essere intrapreso anche da quanti hanno in passato militato a sinistra e oggi si interrogano sulle ragioni e sulle radici di una sconfitta e sono animati da una spinta soggettiva che non può non trarre le proprie motivazioni anche dal vissuto individuale. Quanto all’ultima domanda, le lettere dimostrano quanto delicato e complesso sia stato il rapporto di Antonio Gramsci con la moglie Giulia, e quanta importanza abbia avuto, per il prigioniero, la dedizione della cognata Tatiana. Su questo, come è noto, si è scritto e detto molto negli ultimi anni, e non basterebbe un'altra intervista per parlarne. Di certo, esistono interrogativi che gravano anche sugli affetti familiari di Gramsci, soprattutto se inquadrati nel contesto della storia italiana e sovietica degli anni ’30. Interrogativi che, peraltro, possono essere affrontati tenendo presente l’insieme della figura intellettuale e morale di Gramsci, ed astenendosi da un certo sensazionalismo, non del tutto assente in alcuni studi recenti, che non giova mai ad una interpretazione equilibrata della realtà storica.

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