Qualche giorno fa (21 ottobre) su questo giornale alcuni esponenti della lista Tsipras milanese
hanno fatte proprie le argomentazioni del segretario Pd relative
ad una «alleanza di governo della sinistra che non può prescindere
dal Partito democratico», un’alleanza indispensabile per non
«consegnare Milano alla Lega xenofoba e a un centro destra
ricompattato».
Ci sarebbe certamente da
interrogarsi sulle motivazioni per cui molta parte dei ceti
subalterni ai quali, al massimo, i neoriformisti hanno concesso
un benevolo e saltuario «ascolto», e solo nella loro componente di
sinistra, si ritrovi abbastanza compattamente sotto le bandiere
del populismo di destra. E le risposte in proposito non dovrebbero
restare senza esiti sul problema dei rapporti, ad ogni livello, col
Pd. Comunque la motivazione addotta per l’«alleanza di governo» ha un
suo peso.
Non spetta a chi è del tutto esterno
alla realtà milanese dare suggerimenti in proposito. Credo però
che ci si dovrebbe provare a riflettere per lo meno su un paio di
questioni che ne derivano. La prima riguarda il fatto che ci troviamo
sempre a giustificare scelte politiche importanti con
situazioni emergenziali. L’emergenza è il passe-partout che
non ci ha permesso di proiettarci sulle diverse temporalità
necessarie alla costruzione di un soggetto politico
indispensabile perché il «cambiare verso» non sia solo un hashtag di twitter.
Una costruzione di cui, nel momento attuale, il progetto legato alla
lista Tsipras, è componente imprescindibile. L’emergenza, qualche
volta, è stata (ed è) anche la copertura di operazioni non proprio
trasparenti.
Ora può darsi che a Milano non ci sia
altra scelta (lo decideranno democraticamente i protagonisti),
ma ciò vale anche per le elezioni regionali in Emilia? Vale anche
per la Toscana, dove pure i numeri per una presenza non trascurabile
della sinistra ci possono essere? Vale anche per tutte le altre
situazioni locali? Oppure le scelte, giustificate con l’emergenza,
sommate l’una all’altra, possono diventare un ostacolo
insormontabile per il dispiegarsi delle potenzialità già provate
con la lista Tsipras? Il secondo punto riguarda la necessaria
analisi critica delle esperienze di governo di quelle importanti
città in cui ha prevalso uno schieramento guidato, per lo meno
all’inizio, da forze e personalità impegnate davvero nel «cambiare
verso».
Mi riferirò a Genova, la realtà che conosco meglio perché da 16 anni insegno nella sua università. Conosco, un po’, anche Marco Doria con il quale ho condiviso alcune esperienze storiografiche e scambi di opinioni politiche.
Mi riferirò a Genova, la realtà che conosco meglio perché da 16 anni insegno nella sua università. Conosco, un po’, anche Marco Doria con il quale ho condiviso alcune esperienze storiografiche e scambi di opinioni politiche.
Ho appoggiato convintamente la sua
candidatura a sindaco e non ne sono pentito. Sull’onestà
personale di Doria non sono possibili dubbi. Certi aspetti delle
polemiche dei giorni passati sono davvero miserevoli. Così com’è
largamente condivisibile il progetto politico su cui si
è impegnato. Il problema è che i progetti politici vanno avanti
quando hanno le gambe e la forza per camminare e possono contare un
sistema sicuro di alleanze che lo condividono non tatticamente.
Alla prova dei fatti il clan trasversale dei poteri, fuor di
metafora, davvero forti, clan di cui il Pd di Burlando è un asse
fondamentale, è riuscito a trascinare nelle sabbie mobili il
progetto politico di Doria.
Non esistono scorciatoie per
politiche che vogliano davvero andare alla radice dei problemi
gravi, in qualche caso tragici, che contrassegnano lo spazio
politico e sociale che stiamo attraversando. Bisognerebbe prendere
molto sul serio un’affermazione contenuta nella recente (23 ottobre)
intervista di Gennaro Migliore a questo giornale: «E’ l’ambiguità
che non funziona, l’immagine dell’anguilla».
PAOLO FAVILLIda il manifesto
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