Lo ha ripetuto per mesi, Elsa Fornero, che bisogna
fidarsi della buona fede degli imprenditori italiani e non essere
pessimisti circa eventuali usi impropri della legge che porta il suo
nome. Perché un datore di lavoro dovrebbe mai ricorrere allo strumento
del licenziamento economico, che in virtù della recente riforma
del’articolo 18 dello statuto dei lavoratori non è più coperto dalla
possibilità del reintegro, per togliersi di torno un dipendente scomodo,
magari uno che, in qualità di rappresentante sindacale, ha
semplicemente fatto il suo dovere denunciando dei rischi per la salute
dei propri colleghi? A quanto pare, tuttavia, da quando, a fine giugno, le proposte dell’attuale ministro del lavoro sono diventate legge, un caso di questo tipo si è già verificato.
È successo ieri alla Lagor, un’azienda della
provincia di Asti che produce nuclei per trasformatori elettrici. Verso
mezzogiorno, a Vittorio Gaffodio, Mirko Passalacqua e Yuri Cravanzola è
stato notificato il licenziamento, ufficialmente ricorrendo ad una
«motivazione oggettiva». Gaffodio, in particolare, è stato ritenuto non
più utile alla società perché incompatibile con il lavoro notturno e non
in grado di utilizzare un macchinario al quale il piano aziendale lo
destinerebbe. Ma Vittorio, che ha più di quarant’anni e una moglie a
carico, per far funzionare quella macchina non ha mai ricevuto alcuna
formazione da parte dell’azienda, a differenza di altri suoi colleghi di
pari livello che hanno mantenuto il posto. Quanto al suo essere
impossibilitato a lavorare la notte, si tratta di una diagnosi che è
risultata da una visita cui Gaffodio si è dovuto sottoporre a Torino su
indicazione di un medico competente per l’azienda. Secondo Giuseppe
Morabito, ex segretario generale della Fiom di Asti, «in tutta questa
vicenda ci sono fin troppe coincidenze, e abbiamo il fondato sospetto
che queste motivazioni oggettive di fatto insussistenti mascherino una
discriminazione bella e buona».
Ma andiamo con ordine. Innanzitutto va detto che
tanto Gaffodio quanto Cravanzola sono iscritti alla Fiom, mentre
Passalacqua lo è stato in passato. Ma c’è di più: Vittorio è stato anni
addietro ben più di un semplice iscritto, ricoprendo tanto il ruolo di
Rsu aziendale quanto quello di segretario dei metalmeccanici della Cgil
di Asti. «Si trattava di una figura riconosciuta», spiega Morabito
«all’interno di una fabbrica in cui per anni la Fiom è stata il
sindacato maggioritario». Poi succede qualcosa. «Circa un anno e mezzo
fa, quando ero ancora Rsu», racconta lo stesso Gaffodio «io e il collega
che all’epoca era rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
abbiamo fatto una segnalazione al servizio di prevenzione e sicurezza
negli ambienti di lavoro della Asl». L’esigenza di far fare una serie di
accertamenti alle autorità preposte era nata dai timori manifestati ai
due rappresentanti da alcuni lavoratori del reparto cesoie.
«Personalmente», prosegue Gaffodio «non ero toccato dal problema, perché
all’epoca lavoravo alla tranciatura, con il prodotto quasi finito. Ma i
colleghi delle cesoie mi avevano chiesto di fare qualcosa perché
temevano per la loro salute, e pertanto ho fatto partire la
segnalazione».
In effetti, la Asl rileva in azienda delle tracce di cromo esavalente
e di silicio, e chiede un’ulteriore verifica all’Arpa di Grugliasco. Da
quel momento in poi, tuttavia, per Vittorio e per molti altri iscritti
alla Fiom in fabbrica comincia il calvario. «La direzione aziendale ha
cominciato ad attaccarmi in continuazione, tanto che nel giro di sei
mesi ho preso 10 provvedimenti disciplinari per motivi sempre
pretestuosi e futili». «Più in generale», sostiene Morabito «nel periodo
successivo alla chiamata della Asl riscontriamo in quella fabbrica una
serie di azioni programmate dalla direzione e specificamente dirette
contro la Fiom». L’azienda si serve di alcuni lavoratori vicini alla
direzione per raccogliere le firme (almeno il 50% del totale dei
dipendenti, secondo il regolamento) che servono a far dimettere le Rsu
in carica. Alle nuove elezioni, risulta che la Fiom non ha più in mano
la rappresentanza dei lavoratori. «È a questo punto», prosegue Morabito
«che cominciamo a riscontrare una coincidenza che non può non colpirci:
di fatto, nello stabilire chi deve andare in cassa integrazione,
l’azienda finisce quasi sempre per scegliere, col consenso delle nuove
Rsu, operai iscritti alla Fiom». Gaffodio è fra questi, per più di un
anno. «A quel punto, abbiamo iniziato a pensare ad una vertenza legale
contro la discriminazione degli aderenti alla nostra organizzazione e,
nel caso specifico di Vittorio, a una causa per mobbing».
Ieri, con la comunicazione del licenziamento, l’epilogo della vicenda.
«Le motivazioni addotte dalla Lagor sono pretestuose: come si può dire
che non si ha più bisogno di un lavoratore che non sa usare una macchina
per l’utilizzo della quale l’azienda non gli ha offerto alcuna
formazione?». Più in generale, sostiene Morabito, «qui si tratta di
tirare le fila: c’è un lavoratore, della Fiom, licenziato insieme ad altri due lavoratori, anch’essi iscritti o ex iscritti alla Fiom.
Poi c’è la cassa integrazione che colpisce quasi solo operai Fiom. E,
guarda caso, tutto ciò avviene dopo una segnalazione alla Asl, fatta da
operai della Fiom, fra i quali figura uno dei licenziati, e dopo il
colpo di mano che costringe alle dimissioni le Rsu Fiom». La cosa è
tanto più sospetta perché, in casi simili, qualora cioè le esigenze
economiche e produttive dell’azienda richiedessero effettivamente tre
lavoratori in meno, bisognerebbe avviare una procedura di mobilità. In
tal caso i tre licenziati avrebbero diritto agli ammortizzatori sociali.
Stanti così le cose, invece, il loro è un semplice licenziamento per
motivo oggettivo che, secondo la riforma Fornero, può essere sì
impugnato davanti al giudice ma, qualora quest’ultimo ne stabilisca
l’illeggittimità, non può portare al reintegro. «Ora», conclude Morabito
«siamo decisi a far causa, ma dovremo provare che si è trattato di un
licenziamento discriminatorio, non economico. Non sarà facile, ma è
importante farlo soprattutto per un motivo: non vorremmo che passasse
l’idea che con la nuova legge ti possono licenziare se dai fastidio alla
direzione aziendale. Sarebbe catastrofico, perché indurrebbe i
lavoratori a stare zitti e ad accettare condizioni sempre peggiori e
rischi per la propria salute, pur di mantenere il posto».
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