Bersani e il Pd non hanno nascosto le critiche ai referendum sul
lavoro presentati in questi giorni. Per una volta, i democratici
appaiono granitici, addirittura unanimi sull’Unità. Peccato si
concentrino tutti sul metodo evitando accuratamente la sostanza. Cioè
gli effetti nefasti della riforma Fornero per i lavoratori.
Ieri sul manifesto i primi operai licenziati con il nuovo articolo 18 hanno raccontato le loro storie. Guarda caso sono quasi tutti iscritti alla Fiom e tutti critici sulle condizioni di lavoro e di sicurezza in fabbrica. Altro che «motivi economici oggettivi».
Il primo argomento contrario avanzato da Bersani riguarda la forma: il referendum è sbagliato perché divide l’unità del (futuro?) centrosinistra e la compattezza dei sindacati nel mezzo della crisi più feroce degli ultimi decenni. Eppure la riforma Fornero non è stata affatto approvata da una maggioranza di centrosinistra ma da un voto trasversale Pd-Pdl-Udc chiesto da Bce-Fmi-Ue. È contro questo «mostro tricefalo» in Italia e in Europa, semmai, che il referendum agisce. Non contro il Pd ma contro il pensiero unico immortalato da Mario Monti con la sua ultima «gaffe» sullo statuto dei lavoratori distruttore di occupazione.
Il referendum non vuole affatto dividere il Pd dal mondo del lavoro ma al contrario, “salvarlo” da «Monti dopo Monti». È un referendum per i lavoratori di oggi e di domani. Che chiama il partito di Bersani a un po’ di chiarezza. Non si spiegherebbe sennò perché alcuni dirigenti democratici, Sergio Cofferati in testa, siano a favore dei quesiti.
Un’altro argomento contrario, anche questo non di sostanza, è che i referendum si terrebbero nel 2014 e quindi sarebbero una «clava» contro eventuali migliorie del parlamento. Una tesi curiosa per chi in passato ha usato i referendum come «una pistola alla tempia della politica» per esempio in materia elettorale.
Questa maggioranza «Abc» ha sabotato prima e aggirato poi i quesiti sull’acqua approvati nel referendum di giugno ricevendone in cambio una limpida bocciatura da parte della Corte Costituzionale. Certo, se le firme contro l’art. 8 e il «nuovo art.18» saranno raccolte (e lo saranno), il parlamento avrà un anno di tempo per cambiare la riforma Fornero. Ma dovrà farlo presto e bene. Anche Berlusconi provò a sabotare il quesito anti-nucleare con un cavillo giuridico. Finì prigioniero delle sue macchinazioni e fu sconfitto dai cittadini.
La crisi dilaga, la disoccupazione cresce. Che si fa, si cambia la legge tra due anni accettando di vedere per strada centinaia se non migliaia di lavoratori «scomodi»? E poi, nel merito, il Pd è confuso. Per alcuni (per esempio l’ex ministro Damiano) il nuovo art. 18 va bene com’è. Per altri (per esempio Fassina e Orfini) è un compromesso che va verificato in un’indefinita trattativa tra le parti sociali. La politica scompare esattamente come afferma Monti contrariando Pd e Cgil quando scarica le relazioni industriali dai compiti del governo.
Terzo e ultimo. Le scomuniche preventive ai promotori emesse sulle pagine dell’Unità, un giornale che solitamente racconta tutto del dibattito interno al Pd. Tutto tranne che sul lavoro, dove il partito appare granitico come una volta e il giornale una linea Maginot tanto ferma quanto aggirabile. Mercoledì scorso Guglielmo Epifani ha accusato i referendari di voler dividere «l’unità sociale di lavoratori, giovani, precari e pensionati». E c’è perfino chi, come il nostro amico e compagno Michele Prospero sull’Unità di giovedì, ha visto nei referendum «macabri squarci del governo Prodi nel 2008», un’iniziativa «populista», «spregiudicata», che «manipola la realtà per accaparrarsi qualche voto nei gazebo».
Si chiede Prospero, soprattutto, in quale «trappola» si sia voluta cacciare la sinistra alleandosi con Di Pietro. In quale trappola si è cacciato il Pd, verrebbe da dire, quando 4 anni fa considerava l’Idv l’unico alleato naturale e oggi si trova a esprimere un governo insieme a Sacconi e Gasparri. Dal «quotidiano fondato da Antonio Gramsci» ci si sarebbe aspettati un ragionamento diverso. Le vecchie bandiere non esistono più ma i vecchi vizi non si perdono mai.
Ieri sul manifesto i primi operai licenziati con il nuovo articolo 18 hanno raccontato le loro storie. Guarda caso sono quasi tutti iscritti alla Fiom e tutti critici sulle condizioni di lavoro e di sicurezza in fabbrica. Altro che «motivi economici oggettivi».
Il primo argomento contrario avanzato da Bersani riguarda la forma: il referendum è sbagliato perché divide l’unità del (futuro?) centrosinistra e la compattezza dei sindacati nel mezzo della crisi più feroce degli ultimi decenni. Eppure la riforma Fornero non è stata affatto approvata da una maggioranza di centrosinistra ma da un voto trasversale Pd-Pdl-Udc chiesto da Bce-Fmi-Ue. È contro questo «mostro tricefalo» in Italia e in Europa, semmai, che il referendum agisce. Non contro il Pd ma contro il pensiero unico immortalato da Mario Monti con la sua ultima «gaffe» sullo statuto dei lavoratori distruttore di occupazione.
Il referendum non vuole affatto dividere il Pd dal mondo del lavoro ma al contrario, “salvarlo” da «Monti dopo Monti». È un referendum per i lavoratori di oggi e di domani. Che chiama il partito di Bersani a un po’ di chiarezza. Non si spiegherebbe sennò perché alcuni dirigenti democratici, Sergio Cofferati in testa, siano a favore dei quesiti.
Un’altro argomento contrario, anche questo non di sostanza, è che i referendum si terrebbero nel 2014 e quindi sarebbero una «clava» contro eventuali migliorie del parlamento. Una tesi curiosa per chi in passato ha usato i referendum come «una pistola alla tempia della politica» per esempio in materia elettorale.
Questa maggioranza «Abc» ha sabotato prima e aggirato poi i quesiti sull’acqua approvati nel referendum di giugno ricevendone in cambio una limpida bocciatura da parte della Corte Costituzionale. Certo, se le firme contro l’art. 8 e il «nuovo art.18» saranno raccolte (e lo saranno), il parlamento avrà un anno di tempo per cambiare la riforma Fornero. Ma dovrà farlo presto e bene. Anche Berlusconi provò a sabotare il quesito anti-nucleare con un cavillo giuridico. Finì prigioniero delle sue macchinazioni e fu sconfitto dai cittadini.
La crisi dilaga, la disoccupazione cresce. Che si fa, si cambia la legge tra due anni accettando di vedere per strada centinaia se non migliaia di lavoratori «scomodi»? E poi, nel merito, il Pd è confuso. Per alcuni (per esempio l’ex ministro Damiano) il nuovo art. 18 va bene com’è. Per altri (per esempio Fassina e Orfini) è un compromesso che va verificato in un’indefinita trattativa tra le parti sociali. La politica scompare esattamente come afferma Monti contrariando Pd e Cgil quando scarica le relazioni industriali dai compiti del governo.
Terzo e ultimo. Le scomuniche preventive ai promotori emesse sulle pagine dell’Unità, un giornale che solitamente racconta tutto del dibattito interno al Pd. Tutto tranne che sul lavoro, dove il partito appare granitico come una volta e il giornale una linea Maginot tanto ferma quanto aggirabile. Mercoledì scorso Guglielmo Epifani ha accusato i referendari di voler dividere «l’unità sociale di lavoratori, giovani, precari e pensionati». E c’è perfino chi, come il nostro amico e compagno Michele Prospero sull’Unità di giovedì, ha visto nei referendum «macabri squarci del governo Prodi nel 2008», un’iniziativa «populista», «spregiudicata», che «manipola la realtà per accaparrarsi qualche voto nei gazebo».
Si chiede Prospero, soprattutto, in quale «trappola» si sia voluta cacciare la sinistra alleandosi con Di Pietro. In quale trappola si è cacciato il Pd, verrebbe da dire, quando 4 anni fa considerava l’Idv l’unico alleato naturale e oggi si trova a esprimere un governo insieme a Sacconi e Gasparri. Dal «quotidiano fondato da Antonio Gramsci» ci si sarebbe aspettati un ragionamento diverso. Le vecchie bandiere non esistono più ma i vecchi vizi non si perdono mai.
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