Dichiariamo
illegale la povertà: un movimento e una campagna per portare l'Onu a
mettere fuori legge la condizione di grandi masse umane. E spiegare che
tutto dipende dai sistemi economici che producono esclusione,
disuguaglianza, ingiustizia. Ecco dodici principi per contrastare la
creazione dei nuovi poveri
È fatta. Sabato 8 settembre la tradizionale "Marcia per la giustizia
Agliana-Quarrata", organizzata dalla Rete Radié Resch, è stata dedicata
al lancio in Italia della campagna "Dichiariamo illegale la povertà".
Concepita da un collettivo di 24 associazioni, su iniziativa
dell'Università del Bene Comune e dall'Ass. Monastero del Bene Comune,
la campagna mira ad ottenere nel 2018 (70° anniversario della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni unite) una
risoluzione dell'Assemblea Generale dell'Onu con la quale gli Stati
dichiarano illegali le leggi, le istituzioni e le pratiche sociali e
collettive che generano e alimentano i processi di impoverimento nei
vari paesi e regioni del mondo. Sarà come fu allorché i vari popoli
dichiararono illegale la schiavitù.
"Dichiariamo" significa che noi cittadini in particolare italiani, belgi, quebecois, argentini e poi malesiani, indonesiani, filippini.... ( che saranno fra i popoli che parteciperanno alla campagna) iniziamo un processo di mobilitazione civile e politica contro le cause strutturali della povertà
"Dichiariamo" significa che noi cittadini in particolare italiani, belgi, quebecois, argentini e poi malesiani, indonesiani, filippini.... ( che saranno fra i popoli che parteciperanno alla campagna) iniziamo un processo di mobilitazione civile e politica contro le cause strutturali della povertà
I dodici principi dell'illegalità della povertà
Primo principio: «Nessuno nasce povero né sceglie di essere o diventare povero». È lo stato della società nella quale nasciamo che ci fa poveri o ricchi. Si può decidere di vivere in una situazione di grande sobrietà, ma non è la povertà subita dai tre miliardi di esseri umani che sono esclusi dal diritto ad una vita degna e dignitosa, contro la loro volontà e desiderio.
Primo principio: «Nessuno nasce povero né sceglie di essere o diventare povero». È lo stato della società nella quale nasciamo che ci fa poveri o ricchi. Si può decidere di vivere in una situazione di grande sobrietà, ma non è la povertà subita dai tre miliardi di esseri umani che sono esclusi dal diritto ad una vita degna e dignitosa, contro la loro volontà e desiderio.
Secondo principio: «Poveri si diventa. La povertà è
una costruzione sociale». La povertà non è un fatto di natura come la
pioggia. É un fenomeno sociale, costruito e prodotto dalle società
umane. Le società scandinave degli anni '60-'80 sono riuscite a far
sparire i processi strutturali d'impoverimento. Altre società, invece,
fondate su principi e pratiche sociali differenti da quelle scandinave,
hanno prodotto e producono inevitabilmente fenomeni di estesa povertà. È
il caso degli Stati uniti.
Il terzo principio rinforza i primi due:
«Non è solo né principalmente la società povera che produce povertà».
Gli Usa sono il paese più ricco al mondo in termini monetari, eppure
l'impoverimento di decine di milioni (su 300 milioni) dei loro cittadini
fa parte della loro storia.
Quarto principio: «L'esclusione produce
l'impoverimento». Non è la fatalità o la cattiva sorte ad essere la
causa dell'impoverimento, ma le forme di esclusione deliberata
dall'accesso alle condizioni di cittadinanza civile, politica e sociale.
Per queste ragioni, quinto principio: «In quanto processo strutturale,
l'impoverimento è collettivo». Non riguarda solo una persona od una
famiglia, ma intere popolazioni (le famiglie di immigrati, nomadi,
villaggi senza futuro, zone colpite da recessioni economiche, abitanti
di quartieri degradati...), e categorie sociali (lavoratori, contadini,
segmenti della classe media, bambini, donne, giovani che non riescono ad
entrare nel mondo del lavoro, anziani...). Prima grande conclusione,
sesto principio: «L'impoverimento è figlio di una società che non crede
nei diritti di vita e di cittadinanza per tutti né nella responsabilità
politica collettiva per garantire tali diritti a tutti gli abitanti
della Terra». I gruppi dominanti non credono nell'esistenza dei diritti
umani di vita e di cittadinanza (universali, indivisibili,
imprescrittibili). Essi credono invece nell'inuguaglianza "naturale",
ereditaria, tra le persone; e nei diritti fondati sul merito. I ricchi
sono tali perché si sono dati da fare, per questo sono meritevoli. I
poveri sono tali perché non hanno lavorato sodo, perché sono inadatti ed
incapaci e per questo colpevoli del loro stato.
In questo senso,
settimo principio: «I processi d'impoverimento avvengono solo in società
ingiuste», cioè negatrici dell'universalità, dell'indivisibilità e
dell'imprescrittibilità dei diritti di vita e di cittadinanza. Nelle
società ingiuste, l'accesso non può essere che selettivo e condizionato
secondo le regole e i criteri stabiliti dai gruppi dominanti.
L'ottavo
principio ne discende: «La lotta contro la povertà (l'impoverimento) è
anzitutto la lotta contro la ricchezza inuguale, ingiusta e predatrice
(l'arricchimento)». C'è impoverimento perché c'è arricchimento. Più le
nostre società si sono arricchite su basi inuguali, ingiuste e
predatrici, piu esse hanno dato valore unicamente alla ricchezza
individuale e cancellato nell'immaginario dei popoli la cultura della
ricchezza collettiva, in particolare dei beni comuni pubblici.
Da qui ,
nono principio: «Il pianeta degli impoveriti è diventato popoloso a
causa della mercificazione dei beni comuni e della vita». Il lavoro, i
diritti, la protezione sociale, sono stati trattati come costi e come
tali da razionalizzare, tagliare e/o privatizzare. Non vi sono comunità
umane, ma mercati.
In questo contesto, decimo principio: «Le politiche
di riduzione e di eliminazione della povertà perseguite negli ultimi
quaranta anni sono fallite perché non potevano che attaccare i sintomi
(misure curative) e non le cause (misure risolutive)».
Duplice
conclusione generale. Undicesimo principio: «La povertà è oggi una delle
forme più avanzate di schiavitù perché basata su un furto di umanità e
di futuro» e,
dodicesimo principio: «Per liberare la società
dall'impoverimento bisogna mettere fuorilegge le leggi, le istituzioni e
le pratiche sociali collettive che generano ed alimentano i processi
d'impoverimento».
Come e cosa mettere fuori legge? Proposte di azioni in Italia
I soggetti produttori di povertà agiscono attraverso tre strumenti: le leggi (legislative e norme amministrative), le istituzioni (soprattutto politiche, economiche e sociali, ma anche culturali,religiose...), le pratiche sociali e collettive (convenzioni, stereotipi, comportamenti; pregiudizi, tradizioni...). I processi maggiori d'impoverimento avvengono rispetto alle architetture di potere (contro la democrazia), alle regole del vivere insieme (ingiustizia sociale ed economica) ed ai fondamenti della cittadinanza (rigetto identitario, insicurezza). Abbiamo, pertanto, identificato un gruppo di leggi (e/o misure amministrative), istituzioni, e pratiche sociali e collettive sulle quali intervenire in Italia nel corso dei prossimi cinque anni. Fra queste, menzioniamo quelle più significative: abrogazione delle leggi che hanno legalizzato l'esistenza della finanza speculativa e predatrice (prodotti derivati, paradisi fiscali, indipendenza politica della Banca Centrale Europea); nel campo del lavoro, abrogazione delle ultime disposizioni relative all'art.18; abbandonare la biforcazione educativa a partire dagli anni 16; eliminazione delle misure amministrative che in alcune città italiane hanno criminalizzato gli immigrati, i senza lavoro...; chiusura immediata dei Cie; messa fuorilegge delle cooperative fasulle, furbe di gestione dell'impiego e che operano come strumenti di caporalato; campagne nazionali di ribaltamento dei pregiudizi sui poveri e sui ricchi (quali: il ricco è meritevole il povero è colpevole; il povero è naturalmente portato ad essere più criminale che il non povero; il lusso è bello, crea ricchezza e dà lavoro...).
Niente sarà facile perché non solo l'Italia non ha una vera e propria strategia di lotta alla povertà e all'esclusione sociale, ma anche perché, come accade in tanti altri campi nel nostro paese, le classi dirigenti hanno raggiunto livelli così alti di mistificazione e di travestimento della realtà che il solo strumento che resta in mano ai cittadini è, da un lato, l'abbandono, l'apatia/indifferenza (il ciascuno per sé) o, dall'altro, l'opposizione violenta.
I soggetti produttori di povertà agiscono attraverso tre strumenti: le leggi (legislative e norme amministrative), le istituzioni (soprattutto politiche, economiche e sociali, ma anche culturali,religiose...), le pratiche sociali e collettive (convenzioni, stereotipi, comportamenti; pregiudizi, tradizioni...). I processi maggiori d'impoverimento avvengono rispetto alle architetture di potere (contro la democrazia), alle regole del vivere insieme (ingiustizia sociale ed economica) ed ai fondamenti della cittadinanza (rigetto identitario, insicurezza). Abbiamo, pertanto, identificato un gruppo di leggi (e/o misure amministrative), istituzioni, e pratiche sociali e collettive sulle quali intervenire in Italia nel corso dei prossimi cinque anni. Fra queste, menzioniamo quelle più significative: abrogazione delle leggi che hanno legalizzato l'esistenza della finanza speculativa e predatrice (prodotti derivati, paradisi fiscali, indipendenza politica della Banca Centrale Europea); nel campo del lavoro, abrogazione delle ultime disposizioni relative all'art.18; abbandonare la biforcazione educativa a partire dagli anni 16; eliminazione delle misure amministrative che in alcune città italiane hanno criminalizzato gli immigrati, i senza lavoro...; chiusura immediata dei Cie; messa fuorilegge delle cooperative fasulle, furbe di gestione dell'impiego e che operano come strumenti di caporalato; campagne nazionali di ribaltamento dei pregiudizi sui poveri e sui ricchi (quali: il ricco è meritevole il povero è colpevole; il povero è naturalmente portato ad essere più criminale che il non povero; il lusso è bello, crea ricchezza e dà lavoro...).
Niente sarà facile perché non solo l'Italia non ha una vera e propria strategia di lotta alla povertà e all'esclusione sociale, ma anche perché, come accade in tanti altri campi nel nostro paese, le classi dirigenti hanno raggiunto livelli così alti di mistificazione e di travestimento della realtà che il solo strumento che resta in mano ai cittadini è, da un lato, l'abbandono, l'apatia/indifferenza (il ciascuno per sé) o, dall'altro, l'opposizione violenta.
«Dichiariamo
illegale la povertà» è un atto forte di fiducia nei cittadini, nella
democrazia e nello Stato dei diritti secondo la Costituzione della res
pubblica.
(*) A nome di un collettivo di 33 persone rappresentanti 24 associazioni e organismi della società civile.
Sito:www.banningpoverty.org
Sito:www.banningpoverty.org
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