Ci eravamo fatti l'idea che Monti
potesse sopravvivere a Monti anche qualora non toccasse a lui a
ricoprire la carica di presidente del consiglio del prossimo governo,
considerato che l'ipotesi di un reincarico era stata più volte e
seccamente esclusa proprio dal premier in carica.
D'altra parte, la convinzione che la politica interpretata dai tecnocrati liberisti al potere non sia una parentesi congiunturale ed eccezionale, ma fondi una ben più robusta stagione costituente, ha solidissimi presupposti nel sostegno bipartisan al monetarismo della Banca centrale europea, alle norme capestro del fiscal compact e della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, ad una politica economica imperniata sulle privatizzazioni, all'assalto scatenato contro il welfare e contro tutte le più rilevanti conquiste del lavoro, dal contratto nazionale allo Statuto dei lavoratori.
D'altra parte, la convinzione che la politica interpretata dai tecnocrati liberisti al potere non sia una parentesi congiunturale ed eccezionale, ma fondi una ben più robusta stagione costituente, ha solidissimi presupposti nel sostegno bipartisan al monetarismo della Banca centrale europea, alle norme capestro del fiscal compact e della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, ad una politica economica imperniata sulle privatizzazioni, all'assalto scatenato contro il welfare e contro tutte le più rilevanti conquiste del lavoro, dal contratto nazionale allo Statuto dei lavoratori.
Eppure non è così. I “mal di pancia” del partito democratico, sfibrato dagli inestinguibili conflitti interni, e le improvvisazioni antieuropeiste del redivivo cialtrone di Arcore, hanno spinto i mentori di Monti ad uscire allo scoperto, a chiedere all'uomo della Goldman Sachs, della Trilateral, del Gruppo Bilderberg, di restare al suo posto, di continuare a recitare il copione imposto dal finanzcapitalismo internazionale.
E Monti ha obbedito. “Voglio che i mercati sappiano che io sono lì”, ha detto e ripetuto, con toni morbidi, ma dal significato inequivocabile.
La commedia messa in scena giovedì a New York davanti al gotha finanziario di Wall Street, alle agenzie di rating, ai colossi industriali, all'establishment politico e al circo mediatico d'élite lì convenuti per l'occasione, è servita a rassicurare i mercati, i manovratori per nulla occulti della speculazione.
Il messaggio è dunque questo: non è più tempo di intermediari, di controfigure; e non basta la conclamata conversione di fede liberista di un Pd dato per vincente alle prossime elezioni. I poteri forti chiedono che sia il proprio personale a custodire direttamente lo scrigno, a mantenere saldamente il bastone del comando. C'è, invero, il fastidioso incomodo delle elezioni, che Monti non vuole affrontare come parte in causa, difendendo il suo abusato carisma di uomo super partes, pronto semmai a ricevere una nuova investitura dall'alto, mallevadore Giorgio Napolitano, che vorrebbe prolungare sine die questa totale abdicazione della sovranità popolare.
L'esternazione di Monti ha gettato nello sconforto Bersani e l'intera, potenziale coalizione di centrosinistra, che sentiva ormai di avere offerto – col sostegno al premier e a tutte le sue scelte politiche – ampie e precise garanzie circa la propria fedeltà alla stada tracciata dal commissario.
Resta Berlusconi che, da guitto consumato, respira l'aria, si smarca e ora, dopo avere messo in ginocchio il paese e sottoscritto ogni cambiale pretesa dalla Bce, grida ai quattro venti che l'euro è un imbroglio, che la Germania malata di sciovinismo dovrebbe uscirne, che bisogna denunciare il fiscal compact, che l'introduzione dell'Imu è un cappio al collo delle famiglie e via millantando una rivoluzione politica e sociale che è quanto di più estraneo al suo imprinting reazionario.
Così, resta il solo Pd a far da guardia al bidone delle ricette mercatiste, senza poter neppure riscuotere il plauso per una così generosa genuflessione da parte dei proprietari universali che, malgrado tutto, neppure ora si fidano.
Lo diciamo spesso, ma vale ripetersi: la sinistra può (deve) avere oggi uno scopo, una linea alternativa, se non ancora una teoria compiutamente organizzata, da fare valere, con cui parlare a masse di popolo impoverite e confuse. Alle quali non serve che qualche burocrate si faccia cooptare nel palazzo del potere per svolgere la più insignificante ed autoreferenziale testimonianza.
Al mondo del lavoro, degli sfruttati, dei diseredati serve un riferimento politico capace di rendere coeso ciò che oggi è disperso, frantumato, diviso. Per farlo contare, nel paese e nelle istituzioni.
Chi verrà dopo di noi non potrà perdonare chi declina questa responsabilità, chi manca di questa intelligenza e di questo coraggio.
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