Le cose che creiamo ci dicono cosa diventeremo”. Era il verbo della Fiat nel suo spot su Fabbrica Italia.
Un papà con in braccio un piccolo di pochi mesi a cui dice, con voce
calda (di Ricky Tognazzi): “Visto che non vuoi dormire ti racconto di
questo piano industriale”. Il piccolo non vede l’ora. E il papà attacca:
“C’è un piano industriale, Fabbrica Italia che in 5 anni raddoppia la
produzione di veicoli, anche in America”. Il bambino si sta per
addormentare, la storia è soporifera. Il padre continua. “Raddoppiano le
possibilità… anche per me”. Si profila un lavoro sicuro
per gli anni a venire. Il piccolo riapre gli occhi. “E io cosa faccio?”
chiede simbolicamente (è la voce del padre a parlare al suo posto).
“Non lo so, per esempio possiamo comprare un’auto italiana – risponde
l’uomo – il colore lo scegli tu, magari”. E in sovrimpressione: “Un
cammino da fare tutti insieme per rendere gli italiani di domani
orgogliosi di quelli di oggi”. Dissolvenza. Gli italiani di domani
probabilmente rideranno di quelli di oggi e a piangere saranno solo gli
operai della Fiat. Sergio Marchionne, l’ad del gruppo, si è inventato tutto, il piano Fabbrica Italia esisteva solo nelle slide proiettate sui monitor.
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La grande illusione
Eppure all’amministratore Fiat occorre riconoscere una certa abilità: presenta al mondo un’ipotesi di sviluppo industriale,
raccoglie consensi unanimi, sveste il pullover per la cravatta così da
illustrare il tutto in Parlamento, si fa dare carta bianca dalla
maggioranza dei sindacati, strappa un contratto aziendale modellato
sulle proprie esigenze, illude le Borse e poi, con una semplice nota
aziendale, si rimangia tutto. “Le condizioni di mercato sono cambiate”.
Nessuno chiama il manager a rispondere al governo, ai propri azionisti,
alle autorità di Borsa, ai sindacati. Il ministro Corrado Passera
dice che ora verranno richiesti “tutti i chiarimenti”, ma non c’è
nessuna convocazione così come non c’è mai stata da parte del ministro
Fornero che pure l’aveva annunciata. Cisl e Uil accusano il colpo ma
continuano a coprire l’ad Fiat dicendosi rammaricati per la situazione
del mercato. Per i giornali, la notizia merita solo poche righe in prima
pagina.
I lavoratori
I circa 30mila
dipendenti del gruppo, invece, trattengono il fiato. Solo a dicembre
dello scorso anno veniva lanciata in pompa magna la Nuova Panda in una Pomigliano
tirata a lucido, con gli operai in tuta bianca, messi in riga, come i
soldati, a sentirsi dire “L’Italia ce la farà”, “Bisogna convincere il
resto del mondo a fidarsi di noi”, “Lascia-temi lavorare e giudicatemi
per i fatti”. I fatti ci sono stati: a Mirafiori si lavora tre giorni al mese, a Cassino per quindici, idem a Melfi.
Unico stabilimento a girare a pieno è Atessa che però produce i furgoni
Ducato. Alla Commissione Industria della Camera Marchionne spiegò che
avrebbe investito i 20 miliardi destinandone “4 a Fiat Industrial e 16
alla Spa, di cui il 65% per Fiat Group Automobiles, il 15% per i marchi
di lusso e il 20 per cento per i motori e le attività della
componentistica”. Ieri è tornato a prendersela con i produttori tedeschi
perché non vogliono ridurre in maniera congiunta la capacità produttiva
in eccesso. Cioè non vogliono chiudere stabilimenti come ha fatto Peugeot.
Quando lanciava Fabbrica Italia assicurava una produzione di 4 milioni
di vetture entro il 2014, ma al momento arriva a malapena a 2 milioni.
Le regole del gioco
Nessuno potrà dire che è stata colpa della Fiom, anche se il sottosegretario Gianfranco Polillo ci
ha provato rammaricandosi che i piani di Marchionne siano stati
rallentati. La flessibilità è stata ottenuta, il nuovo contratto, con le
deroghe, gli straordinari, la riduzione delle pause, il divieto di
scioperare, esiste da gennaio. Eppure, Pomigliano, invece delle 4.400
riassunzioni previste è ferma a 2.150 dipendenti e la cassa integrazione
scorre a fiumi. Da dentro la fabbrica arrivano le prime notizie di
operai – non della Fiom cui è ancora precluso lo stabilimento – che
minacciano di stracciare la tessera o che iniziano a essere fortemente
preoccupati. E ieri mattina si è avuta anche una riunione unitaria tra
Fiom, Fim, Uilm e Fismic per affrontare il caso della ex Ergom,
fabbrica dell’indotto, rimasta senza prospettive con tanto di minaccia
di manifestazione unitaria a Roma. “Chi ha firmato quella intesa
dovrebbe essere più arrabbiato di noi”, dice Giorgio Airaudo della Fiom.
Mentre il suo vice, Michele De Palma, sintetizza: “Marchionne decide le
regole, il campo e l’arbitro, ma i lavoratori hanno bisogno di sapere
qual è il piano”. Già, qual è il piano? Forse non lo sa più nemmeno
Marchionne. “Il
vero problema della Fiat non sono i lavoratori, l’Italia o la crisi:
sono i suoi azionisti di riferimento e il suo amministratore delegato”,
riassume l’imprenditore Diego Della Valle.
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