Il dibattito che la proposta referendaria ha aperto tra
le realtà che si occupano maggiormente del lavoro precario, autonomo di
seconda generazione, a partita iva, per ora non ha generato grande
spinta nel ricercare possibili punti in comune che leghino le iniziative
per il reddito alla battaglia per l’abrogazione delle modifiche
introdotte sull’art.18 e all’articolo 8 sulla contrattazione aziendale.
Se ne parla, ma ancora serpeggia una certa disillusione sulla
possibilità effettiva di tornare a legare tra loro gli obiettivi di
lotta che caratterizzano il lavoro subordinato con contratto a tempo
indeterminato a quello, in realtà sempre subordinato, ma frutto della
nuova organizzazione del lavoro determinata dalla legge Biagi. Uno dei
possibili punti di incontro potrebbe essere, ma appunto il condizionale è
d’obbligo, proprio la campagna referendaria che si articolerà da
ottobre a dicembre.
La tematica del reddito minimo garantito, che affronta in maniera radicale la questione della precarietà e della nuova composizione del lavoro post statuto dei lavoratori, ad esempio è già al centro di una iniziativa di raccolta firme per la presentazione di una legge di iniziativa popolare. Alla domanda “perché non far convergere questa iniziativa con quella dei referendum, creando in ogni territorio dei comitati unitari per la raccolta delle firme”, gli interlocutori che abbiamo sentito rispondono in maniera diversa. Gianni Rinaldini, che fa parte del comitato referendario che ieri si è costituito presentando i quesiti in cassazione, si dice totalmente d’accordo. Beppe Allegri, che qui di seguito spiega la natura della proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito, si dice possibilista ma non si sbilancia. Sembra che tutti stiano attendendo che “parta una proposta”. Di sicuro il fatto che in questo paese troppe volte si sia determinata una separazione tra diritti e diritti in tema di lavoro, considerando possibile solo il ripristino di quelli acquisiti e la sola enunciazione di quelli che invece sono da conquistare ex novo, ha favorito processi di disgregazione, di debolezza per tutti, di corporativismo e scarsa visione complessiva del processo capitalistico che oggi impone la sua egemonia. ( n.d.r. )
La tematica del reddito minimo garantito, che affronta in maniera radicale la questione della precarietà e della nuova composizione del lavoro post statuto dei lavoratori, ad esempio è già al centro di una iniziativa di raccolta firme per la presentazione di una legge di iniziativa popolare. Alla domanda “perché non far convergere questa iniziativa con quella dei referendum, creando in ogni territorio dei comitati unitari per la raccolta delle firme”, gli interlocutori che abbiamo sentito rispondono in maniera diversa. Gianni Rinaldini, che fa parte del comitato referendario che ieri si è costituito presentando i quesiti in cassazione, si dice totalmente d’accordo. Beppe Allegri, che qui di seguito spiega la natura della proposta di legge di iniziativa popolare sul reddito, si dice possibilista ma non si sbilancia. Sembra che tutti stiano attendendo che “parta una proposta”. Di sicuro il fatto che in questo paese troppe volte si sia determinata una separazione tra diritti e diritti in tema di lavoro, considerando possibile solo il ripristino di quelli acquisiti e la sola enunciazione di quelli che invece sono da conquistare ex novo, ha favorito processi di disgregazione, di debolezza per tutti, di corporativismo e scarsa visione complessiva del processo capitalistico che oggi impone la sua egemonia. ( n.d.r. )
Peppe Allegri*: dal giugno scorso (e fino al prossimo dicembre) è
attiva la campagna per la raccolta di 50 mila firme per una proposta di
legge di iniziativa popolare che introduca il reddito minimo garantito
in Italia, unico Paese nell'attuale Unione europea, insieme con la
Grecia, a non prevedere una qualche forma di garanzia di un reddito di
base.
Da mesi un'ampia, pluralistica e assai aperta rete di associazioni,
comitati, movimenti, partiti e singole persone si sta mobilitando, e
invita alla mobilitazione, poiché ritiene sia «arrivato il momento, non
più rinviabile, affinché una proposta di legge sul reddito minimo
garantito venga inserita nell’agenda politica di questo Paese», come si
legge sul sito della campagna (www.redditominimogarantito.it).
È l'urgenza di rispondere al concreto rischio di default sociale di
un Paese, in cui tutte le statistiche ci parlano di insopportabili tassi
di disoccupazione, a partire da quella giovanile, oramai al 36%, e
oltre 9 milioni di persone al disotto della soglia di povertà e quindi
di fatto in una condizione di esclusione e marginalità sociale.
Ma il reddito minimo garantito, che in questa congiuntura rischia di
diventare una misura contro la povertà, è invece inteso dai promotori
della campagna «come un argine contro la ricattabilità, il lavoro nero,
il lavoro sottopagato e la negazione delle professionalità e della
formazione acquisita. Significa in buona sostanza non vendersi sul
mercato del lavoro alle peggiori condizioni possibili. Da argine può
diventare un paradigma per la costruzione di un Welfare che includa e
promuova, garantisca autonomia, libertà di scelta»; insomma dire un NO
individuale e collettivo ai ricatti, prevedendo nuove tutele e garanzie.
Prima di tutto il reddito minimo garantito è una misura contro la
precarietà diffusa e i processi di precarizzazione cui sono costretti
oltre sei milioni di lavoratrici e lavoratori flessibili, intermittenti,
indipendenti, autonomi, di fatto esclusi da qualsiasi tipo di garanzia
sociale minima (da malattia e maternità, alla garanzia di un reddito
nelle transizioni lavorative). Per questo è in favore di «tutti gli
individui (inoccupati, disoccupati, precariamente occupati) che non
superino i 7200 euro annui», sulla falsa riga della legge della Regione
Lazio, n n. 4/2009, sul reddito minimo garantito.
L'introduzione di un reddito minimo garantito è quindi un primo
necessario passo per affermare una nuova idea di società e cittadinanza,
dentro e contro il dominio del capitalismo finanziario: un Welfare più
universalistico, inclusivo, attivo e garantista, per sconfiggere le
diseguaglianze, redistribuire le ricchezze e promuovere
l'autodeterminazione individuale e collettiva.
Per questo intorno alla campagna per il reddito minimo garantito si è
andata definendo una plurale e aperta coalizione sociale che include
associazioni come Emmaus e Cilap EAPN Italia (Collegamento italiano di
la lotta alle povertà), che si occupano di povertà ed esclusione
sociale, insieme con associazioni e movimenti come European
Alternatives, Tilt, Antigone, Popolo Viola, Basic Income Network Italia,
etc.; reti di lavoratrici e lavoratori intermittenti, flessibili,
indipendenti, precari-e come CPU (Coordinamento Precari Università),
Rete San Precario Milano, Diversamente Occupate, Associazione Atdal
Over-40, etc.; quindi partiti della sinistra come SEL, Prc, Pdci, liste
civiche (unaltracittà lista di cittadinanza di Firenze, ad esempio),
sezioni di Brescia e Alto Adige del NIDIL CGIL e soprattutto decine e
decine di associazioni, circoli, gruppi, collettivi diffusi in tutta
Italia, da Trapani a Trieste. Ci sono poi una serie di adesioni
individuali che vanno da giuslavoristi a ricercatrici, intellettuali,
giornaliste e operatori sociali, sindaci e assessori, fino a un paio di
Europarlamentari del PD come Francesca Balzani e Sergio Cofferati.
È il quadro di una assai variegata coalizione sociale che lavora ad
allargare sempre più la partecipazione a questa campagna, per
raccogliere ben più di 50mila firme in favore del reddito minimo
garantito entro il 6 dicembre 2012. Perché l'obiettivo di questa
campagna è sì quello di presentare una proposta di legge di iniziativa
popolare, ma anche quello di imporre all'ordine del giorno un'uscita
positiva dalla crisi, a partire dalla previsione di scelte di politiche
pubbliche che tutelino le persone contro i danni esistenziali, economici
e sociali dell'infinita crisi europea e globale.
Per questo è bene che chi ancora non si è mobilitato aderisca e
rilanci la campagna per il reddito minimo garantito in Italia, con forme
e modalità che vorrà, per farla vivere in un Paese sempre più
impoverito e incapace di trasformazione.
Fonte:
globalproject.info
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