“Lo
famo strano“ era il modo con cui una coppia un po’ coatta di un film di
Verdone diceva di voler fare all’amore. Il modo di dire mi è venuto in
mente in questi giorni di ulteriore degradazione della politica
italiana. Anche perché molti dei personaggi che appaiono nelle cronache,
e le descrizione degli eventi in cui sono stati coinvolti, sembrano
proprio fare il verso a quelli della commedia all’italiana, magari senza
quel tanto di innocenza che contraddistingue i film.
Ma “lo famo strano“ mi sembra essere anche un modo di raccontare la politica italiana di oggi più in generale ed anche fuori dalle volgarità e dalle colpe più gravi. Intendiamoci, la politica del nostro Paese è sempre stata complessa, raffinata, ma anche astrusa. Da Machiavelli a Gramsci, da Andreotti a Togliatti la politica è stata una vera e propria scienza fondativa di un Paese che per molti aspetti in realtà non è mai stato fondato veramente.
Ma “lo famo strano“ mi sembra essere anche un modo di raccontare la politica italiana di oggi più in generale ed anche fuori dalle volgarità e dalle colpe più gravi. Intendiamoci, la politica del nostro Paese è sempre stata complessa, raffinata, ma anche astrusa. Da Machiavelli a Gramsci, da Andreotti a Togliatti la politica è stata una vera e propria scienza fondativa di un Paese che per molti aspetti in realtà non è mai stato fondato veramente.
Dagli equilibri più avanzati, alle
convergenze parallele, al compromesso storico, formule che sfidavano a
volte la stessa logicità, hanno provato a riassumere interi periodi. E
poi ci sono vicende che hanno riguardato la storia del nostro dopoguerra
e che arrivano ai tempi nostri che sono rimaste ancora oggi misteriose.
Per dire dunque di una complessità antica.
Eppure mai come in questo momento si ha il senso di un degrado generale, di un corrompimento complessivo. Pesa certamente la differente statura dei personaggi che fanno la politica oggi a fronte di ieri. Ma se è vero che le persone fanno i tempi, pure non si può negare che anche i tempi fanno le persone.
Qualche domanda un poco più concreta sul perché la politica sia cosi malridotta converrà porsela. Domanda che non può non riguardare la ormai lunghissima fase di transizione che è andata sotto il nome di seconda repubblica. Mai come in questi quasi 25 anni si è parlato infatti di riforma della politica e si sono fatti in suo nome strappi ripetuti nella Costituzione formale e materiale del Paese. Credo che sarebbe ora di fare un bilancio di tutto questo, almeno sugli aspetti salienti.
La logica maggioritaria ad esempio a mio avviso ha contribuito non poco a uno stravolgimento degli equilibri tra funzioni di rappresentanza e di governo proprie di un assetto democratico. Con il risultato di dequalificare entrambe. Rappresentanze e corpi intermedi, partiti, sempre meno riferibili alle funzioni indicate loro dalla Costituzione e sempre più coacervi di meri comitati elettorali e di interesse. Governi sempre meno rappresentativi, frutto di improbabili coalizioni coatte e dall’alto, e per altro commissariati dalle tecnocrazie e dalle logiche emergenziali proprie di questa fase costituente dell’Europa. Ma si pensi anche ai guasti della cosiddetta riforma federalista voluta dal centrosinistra per inseguire la Lega e che ora appaiono evidenti. E che dire della trasformazione dei servizi in aziende che ha dilatato i costi di gestione e gli emolumenti dei “neo-manager” ? Una privatizzazione della politica e del pubblico che ne ha corrotto alla radice le funzioni.
Il tutto avveniva con sostanziali convergenze di schieramenti che poi però si rappresentavano divisi da contraddizioni epocali. Pro e contro Berlusconi; pro o contro il “ comunismo “. Naturalmente il Berlusconismo è stato un elemento chiave della fase in termini negativi. Ma se non si affrontano gli elementi strutturali che hanno consentito l’egemonia berlusconiana non se ne esce. E invece si ripropone oggi un’altra grande crociata: quella dello spartiacque contro il populismo e l’antipolitica. Difficile da combattere per altro se lo si fa dalla trincea di questa politica e di questo esercizio della verità contrapposta al populismo.
Prendiamo anche l’oggi. Ad esempio il campo progressista che potrebbe essere impegnato nelle primarie. Esso è attraversato da questioni che in qualsiasi altro Paese europeo darebbero luogo a domande pubbliche insistite e irrinunciabili.
In quale Paese d’Europa potrebbero dire con nonchalance che staranno insieme forze che stanno avendo posizioni divaricanti su un governo, quello Monti, che opera quisquiglie come l’inserimento in Costituzione, altro strappo, del pareggio di bilancio?
E dove sarebbe consentito giocare sulle parole, dopo Monti, oltre Monti, contro Monti, come si fa in Italia in nome di un “ siamo tutti lo stesso popolo di centrosinistra “ magari accusando gli altri di settarismo o di populismo?
E come si fa a decidere, vista questa “ larghezza “ di idee, di escludere una parte, con cui si era fatta la volta precedente addirittura una coalizione per governare, come l’IDV perché sarebbe stata sguaiata? Se si rimanesse nella logica delle coalizioni tipica della seconda repubblica il rispetto delle gradazioni degli atteggiamenti dovrebbero essere l’abc .
Forse, Invece, siamo di fronte ad un nuovo confusissimo passaggio. Dietro il quale si possono intravedere alcune pur assai contraddittorie strategie. Siccome la lettura di esse è la mia, diciamo che le ricostruisco per quello che io mi aspetterei. Forse si può cominciare a pensare di riavere una qualche logica dei soggetti politici che dovrebbero essere alla base di una democrazia rappresentativa. E siccome ormai la politica o è su base europea o semplicemente non è, questa ricostruzione di logica può essere favorita da questa dimensione. Consentendo per altro di riprendere una riflessione che fu tranciata ai tempi dello scioglimento tout court dei grandi partiti come reazione, in realtà rimozione, a fronte dell’89.
Se si pensasse ad esempio in Italia di ricostruire un soggetto sulla base del riferimento, o dell’appartenenza, al Partito Socialista Europeo, mi sembrerebbe cosa di buon senso. Io non ci apparterrei ma capirei di cosa si tratta. Naturalmente questo significa far i conti con la natura strana del Pd e con la necessità per altri di decidere dove stare. Ancora di più bisognerebbe fare i conti con la natura del PSE che a me appare del tutto incapace di affrontare in modo convincente l’attuale fase europea.
Io stesso sono stato affascinato di una ricostruzione globale delle sinistre europee ma devo prendere atto che questa deve confrontarsi con il fatto che di fronte alla fase costituente tecnocratica in corso in Europa si ripropone una disparità fortissima di collocazione tra chi pensa di poterla condizionare dall’interno e chi ritiene indispensabile stare fuori da un recinto soffocante. Tra l’altro è, a mio avviso, questa una fase che fa saltare tutte le categorie storiche del riformismo, ma il discorso sarebbe troppo lungo.
E’ questa condizione oggettiva che ha ridato senso ai soggetti , partiti e movimenti, che stanno nel fronte della sinistra cosiddetta alternativa. In tutta Europa essi sono in campo anche in queste ore ad esempio in Spagna con gli Indignados, o in Grecia con il nuovo sciopero generale, o in Francia nelle prime manifestazioni di dissenso contro il piano di austerity di Hollande, le cui immediate difficoltà confermano la debolezza strategica dell’affidarsi puramente al terreno del governo. E in Germania si può certo dire che la Linke non è al meglio della sua storia ma bisogna ricordare che è la sola forza che ha avuto il coraggio di votare contro tutti i provvedimenti della Merkel condivisi invece dagli altri. E in Germania non è facile.
In Italia la situazione è più ingarbugliata anche perché la crisi della modernità è andata più avanti, magari anticipando i problemi. Per questo io credo che chi, come me, crede alla necessità che vi sia anche da noi una forza che esprima il bisogno di un’alternativa di società deve sapersi misurare con due esigenze che hanno la stessa valenza. Quella di una sua immediata dimensione europea e quella di una sua esistenza fondata su pratiche di democrazia radicali che rovesciano del tutto le vecchie gerarchie della ideologia e della politica. In realtà non sono cose poi così strane.
Eppure mai come in questo momento si ha il senso di un degrado generale, di un corrompimento complessivo. Pesa certamente la differente statura dei personaggi che fanno la politica oggi a fronte di ieri. Ma se è vero che le persone fanno i tempi, pure non si può negare che anche i tempi fanno le persone.
Qualche domanda un poco più concreta sul perché la politica sia cosi malridotta converrà porsela. Domanda che non può non riguardare la ormai lunghissima fase di transizione che è andata sotto il nome di seconda repubblica. Mai come in questi quasi 25 anni si è parlato infatti di riforma della politica e si sono fatti in suo nome strappi ripetuti nella Costituzione formale e materiale del Paese. Credo che sarebbe ora di fare un bilancio di tutto questo, almeno sugli aspetti salienti.
La logica maggioritaria ad esempio a mio avviso ha contribuito non poco a uno stravolgimento degli equilibri tra funzioni di rappresentanza e di governo proprie di un assetto democratico. Con il risultato di dequalificare entrambe. Rappresentanze e corpi intermedi, partiti, sempre meno riferibili alle funzioni indicate loro dalla Costituzione e sempre più coacervi di meri comitati elettorali e di interesse. Governi sempre meno rappresentativi, frutto di improbabili coalizioni coatte e dall’alto, e per altro commissariati dalle tecnocrazie e dalle logiche emergenziali proprie di questa fase costituente dell’Europa. Ma si pensi anche ai guasti della cosiddetta riforma federalista voluta dal centrosinistra per inseguire la Lega e che ora appaiono evidenti. E che dire della trasformazione dei servizi in aziende che ha dilatato i costi di gestione e gli emolumenti dei “neo-manager” ? Una privatizzazione della politica e del pubblico che ne ha corrotto alla radice le funzioni.
Il tutto avveniva con sostanziali convergenze di schieramenti che poi però si rappresentavano divisi da contraddizioni epocali. Pro e contro Berlusconi; pro o contro il “ comunismo “. Naturalmente il Berlusconismo è stato un elemento chiave della fase in termini negativi. Ma se non si affrontano gli elementi strutturali che hanno consentito l’egemonia berlusconiana non se ne esce. E invece si ripropone oggi un’altra grande crociata: quella dello spartiacque contro il populismo e l’antipolitica. Difficile da combattere per altro se lo si fa dalla trincea di questa politica e di questo esercizio della verità contrapposta al populismo.
Prendiamo anche l’oggi. Ad esempio il campo progressista che potrebbe essere impegnato nelle primarie. Esso è attraversato da questioni che in qualsiasi altro Paese europeo darebbero luogo a domande pubbliche insistite e irrinunciabili.
In quale Paese d’Europa potrebbero dire con nonchalance che staranno insieme forze che stanno avendo posizioni divaricanti su un governo, quello Monti, che opera quisquiglie come l’inserimento in Costituzione, altro strappo, del pareggio di bilancio?
E dove sarebbe consentito giocare sulle parole, dopo Monti, oltre Monti, contro Monti, come si fa in Italia in nome di un “ siamo tutti lo stesso popolo di centrosinistra “ magari accusando gli altri di settarismo o di populismo?
E come si fa a decidere, vista questa “ larghezza “ di idee, di escludere una parte, con cui si era fatta la volta precedente addirittura una coalizione per governare, come l’IDV perché sarebbe stata sguaiata? Se si rimanesse nella logica delle coalizioni tipica della seconda repubblica il rispetto delle gradazioni degli atteggiamenti dovrebbero essere l’abc .
Forse, Invece, siamo di fronte ad un nuovo confusissimo passaggio. Dietro il quale si possono intravedere alcune pur assai contraddittorie strategie. Siccome la lettura di esse è la mia, diciamo che le ricostruisco per quello che io mi aspetterei. Forse si può cominciare a pensare di riavere una qualche logica dei soggetti politici che dovrebbero essere alla base di una democrazia rappresentativa. E siccome ormai la politica o è su base europea o semplicemente non è, questa ricostruzione di logica può essere favorita da questa dimensione. Consentendo per altro di riprendere una riflessione che fu tranciata ai tempi dello scioglimento tout court dei grandi partiti come reazione, in realtà rimozione, a fronte dell’89.
Se si pensasse ad esempio in Italia di ricostruire un soggetto sulla base del riferimento, o dell’appartenenza, al Partito Socialista Europeo, mi sembrerebbe cosa di buon senso. Io non ci apparterrei ma capirei di cosa si tratta. Naturalmente questo significa far i conti con la natura strana del Pd e con la necessità per altri di decidere dove stare. Ancora di più bisognerebbe fare i conti con la natura del PSE che a me appare del tutto incapace di affrontare in modo convincente l’attuale fase europea.
Io stesso sono stato affascinato di una ricostruzione globale delle sinistre europee ma devo prendere atto che questa deve confrontarsi con il fatto che di fronte alla fase costituente tecnocratica in corso in Europa si ripropone una disparità fortissima di collocazione tra chi pensa di poterla condizionare dall’interno e chi ritiene indispensabile stare fuori da un recinto soffocante. Tra l’altro è, a mio avviso, questa una fase che fa saltare tutte le categorie storiche del riformismo, ma il discorso sarebbe troppo lungo.
E’ questa condizione oggettiva che ha ridato senso ai soggetti , partiti e movimenti, che stanno nel fronte della sinistra cosiddetta alternativa. In tutta Europa essi sono in campo anche in queste ore ad esempio in Spagna con gli Indignados, o in Grecia con il nuovo sciopero generale, o in Francia nelle prime manifestazioni di dissenso contro il piano di austerity di Hollande, le cui immediate difficoltà confermano la debolezza strategica dell’affidarsi puramente al terreno del governo. E in Germania si può certo dire che la Linke non è al meglio della sua storia ma bisogna ricordare che è la sola forza che ha avuto il coraggio di votare contro tutti i provvedimenti della Merkel condivisi invece dagli altri. E in Germania non è facile.
In Italia la situazione è più ingarbugliata anche perché la crisi della modernità è andata più avanti, magari anticipando i problemi. Per questo io credo che chi, come me, crede alla necessità che vi sia anche da noi una forza che esprima il bisogno di un’alternativa di società deve sapersi misurare con due esigenze che hanno la stessa valenza. Quella di una sua immediata dimensione europea e quella di una sua esistenza fondata su pratiche di democrazia radicali che rovesciano del tutto le vecchie gerarchie della ideologia e della politica. In realtà non sono cose poi così strane.
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