Qui di seguito la relazione introduttiva e il comunicato
finale dell'assemblea nazionale "Dobbiamo fermarli!" al teatro Ambra
Jovinelli di Roma. Guarda gli interventi all'assemblea su Libera Tv
La relazione introduttiva per
l’assemblea elaborata dai promotori. Giorgio Cremaschi ne ha riassunto i
contenuti principali intervento a braccio in apertura dei lavori.
Gli interventi potete vederli e sentirli su www.liberatv che ha trasmesso i lavori in diretta streaming
la relazione introduttiva
ß Perché siamo qui
In questo ultimo anno nel nostro paese
c’è stato un vasto e articolato movimento di lotta. Più di un anno fa
gli operai di Pomigliano hanno detto no in tanti al ricatto di
Marchionne. Il loro rifiuto si è incontrato con una diffusa ribellione
all’aggressione ai diritti, alle libertà, alla democrazia. Hanno lottato
gli studenti e i giovani contro i tagli alla scuola e il precariato. I
migranti sono saliti sulla gru contro le truffe di stato, la
segregazione e la cancellazione dei diritti civili. Hanno lottato i
movimenti civili contro l’attacco alle libertà costituzionali. Lottano, e
siamo fino in fondo con loro, i No Tav, contro l’occupazione militare
di un intero territorio, decisa con consenso bipartisan per realizzare
un’opera tanto devastante quanto inutile. Sono scese in piazza le donne,
contro l’autoritarismo patriarcale che usa la crisi per riaffermarsi e
riorganizzarsi. E infine a giugno 27 milioni di cittadini hanno detto no
alla privatizzazione dei beni comuni, non solo dell’acqua, ma di tutti i
principali beni che sono alla base della nostra vita.
Subito dopo, quando erano cresciute le
nostre speranze di un vero cambiamento, si è sviluppata una nuova fase
della crisi che ha portato al colpo di stato economico di questo agosto.
Tutti i principi, tutte le istanze, tutte le domande di un anno e mezzo
di lotte sono state cancellate nel nome dell’emergenza del debito. Il
governo Berlusconi ha espresso tutto il suo degrado reazionario e la sua
impresentabilità. Ma l’opposizione si è rivelata ancora più
inconsistente e indisponibile a un reale cambiamento. Lo scontro
politico ufficiale è su chi rassicura di più i mercati, cioè tra chi è
più disponibile a soddisfare gli interessi del grande capitale
finanziario nazionale e internazionale. Per questa ragione di fondo
abbiamo pensato di riunirci.
Noi lottiamo, noi ci battiamo con fatica
ovunque per i diritti e le libertà e poi la politica ufficiale ci
interpreta, ci giudica e si sovrappone a noi.
Non ne possiamo più. La crisi economica
italiana è anche una crisi della democrazia. E non solo perché la sola
permanenza al governo di Berlusconi dimostra che il nostro non è un
paese democratico come altri. Ma anche perché oltre questo le scelte di
fondo che riguardano le nostre vite non sono più decise dalle nostre
istituzioni democratiche, ma vengono imposte con le terapie shock
dell’emergenza economica, dal grande padronato, dalla Banca Europea, dal
Fondo Monetario Internazionale.
Il Corriere della Sera ha pubblicato la
lettera che Draghi e Trichet hanno inviato ai primi di agosto al governo
italiano. E’ un testo clamoroso, un’aggressione reazionaria a tutti i
diritti sociali e persino alle regole costituzionali. In nome di quale
potere, di quale diritto due privati cittadini, due banchieri ci
chiedono di modificare la Costituzione per imporre il pareggio di
bilancio? Ci saremmo aspettati il clamore di fronte alla pubblicazione
di quella lettera, invece silenzio pressoché totale da parte del governo
e dell’opposizione. Essi continuano a litigare e a scontrarsi, senza
però mai toccare i temi di fondo dell’economia, sui quali alla fine
dobbiamo solo pensare che siano tutti d’accordo.
Per questo abbiamo deciso di provare a
forzare il quadro delle compatibilità politiche e culturali. Il nostro
scopo è di dare legittimità a tesi e a pensieri che oggi in Italia
subiscono una censura di regime che è sostanzialmente bipartisan. La
nostra scelta di partire dal rifiuto del debito nasce da qui. Non
vogliamo certo aiutare ricchi ed evasori fiscali a cavarsela, né
pensiamo che questo basti. Vogliamo però dire che oggi la schiavitù del
debito, cioè l’obbligo di applicare in Italia le riforme strutturali
imposte a suo tempo in tutto il mondo con risultati criminali da parte
del Fondo Monetario internazionale, l’obbligo di rispettare il vincolo
europeo del patto di stabilità, degli accordi Europlus, dello statuto
antisalario della Banca Europea; questi vincoli che hanno commissariato
definitivamente la politica italiana devono essere respinti. E per
questo occorre in Italia un movimento sociale e politico, che oggi non
c’è, che ponga questa questione all’ordine del giorno.
Noi non siamo d’accordo con la politica
di patto sociale e concertazione che propongono la grande maggioranza
del Parlamento italiano e lo stesso Presidente della Repubblica. Noi non
siamo d’accordo con gli appelli delle parti sociali, ove tutti sono
rappresentati dalla Presidente della Confindustria. Noi contestiamo e
contrastiamo l’accordo del 28 giugno, che la Banca Europea giustamente
esalta nella sua lettera come uno strumento per distruggere il contratto
nazionale e rendere ancora più flessibili i nostri già magri salari.
Noi vogliamo un’altra politica economica e sociale, radicalmente
alternativa a quella del liberismo e non pensiamo che questa si possa
avere nell’alternanza tra schieramenti che, proprio sul piano economico,
fanno sostanzialmente le stesse scelte, obbediscono agli stessi
comandi.
Questa è la questione che poniamo, senza
infingimenti, ben sapendo che questa è una cosa diversa dall’iniziativa
dei movimenti. Ogni movimento, ogni lotta, ha la sua sacrosanta
autonomia e i suoi valori e i suoi obiettivi. Nessuno di noi mette in
discussione questo. Non crediamo sia possibile inventarsi un movimento
dei movimenti, che rappresenti una sorta di sintesi di tutte le domande e
le lotte che ci sono. Noi poniamo un’altra questione. Noi vogliamo
scendere in campo contro il colpo di stato economico che sta
distruggendo la nostra democrazia. Su questo ci caratterizziamo e su
questo crediamo si debba costruire uno spazio politico pubblico.
Politico, perché vogliamo intervenire direttamente e in modo
indipendente nelle scelte della politica. Pubblico, perché vogliamo
affermare il diritto alla partecipazione e alla trasparenza in queste
scelte. Tranquillizziamo tutti: non pensiamo a un cartello elettorale o a
una minifusione di organizzazioni politiche e sindacali. Abbiamo
un’ambizione più grande: quella di scardinare il regime bipartisan, che
litiga su tutto tranne che sulle scelte di fondo che riguardano la
nostra vita. La lettera della Bce ha avuto il pregio di chiarire con
precisione il programma dei nostri avversari. Chi non la contesta, chi
non intende rimandarla al mittente, non sta con noi.
Per questo ci colleghiamo idealmente ai
popoli europei che lottano. Quando diciamo di non pagare il debito,
alcuni interpretano che vogliamo uscire dall’Europa. A parte il fatto
che la geografia ci ha messo qui, noi pensiamo l’esatto contrario. Sono
il sistema finanziario globalizzato, gli accordi di Maastricht, il
potere delle banche, della finanza e del grande capitale, che devono
uscire dall’Europa e dal dominio che oggi esercitano sulle democrazie e
sulle nostre vite. In altri paesi forse questo è più chiaro. In Spagna e
in Grecia si manifesta contro la politica economica decisa da governi
di sinistra. Da noi l’inquinamento morale, culturale e politico prodotto
da Berlusconi e dalla sua cricca ha avuto anche l’effetto di imporre il
degrado di tutto il confronto politico. Ma sappiamo che se oggi questo
centrosinistra, con questa classe dirigente, sostituisse Berlusconi, noi
dovremmo scendere in piazza come gli indignados spagnoli o i fratelli
greci.
Il 15 ottobre saremo tutte e tutti in
piazza sulla base dell’appello lanciato dalla Spagna dal movimento 15M.
In tutta Europa si manifesterà contro il regime del Fondo Monetario
Internazionale, della Banca Europea, dei governi della tecnocrazia, che
sta devastando diritti e conquiste. Per questo vogliamo portare a quella
manifestazione un preciso indirizzo, una piattaforma, che vada oltre la
pura e semplice solidarietà e la pura e semplice protesta. Il nostro
avversario è prima di tutto il governo Berlusconi, che dobbiamo
cacciare. Ma assieme ad esso è nostro avversario il governo unico delle
banche e della finanza che ci sta aggredendo in tutta Europa. Scendiamo
in piazza contro entrambi e chiamiamo tutte e tutti a costruire un
grande movimento che abbia questa direzione di marcia.
ß Distruggono tutto, bisogna fermarli
L’attacco sociale, civile e democratico
che stanno subendo il mondo del lavoro, contrattualizzato e precario, e
la grande maggioranza della popolazione, non ha precedenti nella storia
repubblicana. Ma tutto questo non tocca solo a noi. In tutta Europa si
sta scatenando un attacco senza precedenti contro la più importante
conquista sociale e civile del continente: lo stato sociale. In tutta
Europa la banca europea, la tecnocrazia, i governi obbedienti alla
globalizzazione e alla speculazione finanziaria, si accordano per
cancellare conquiste diritti sociali, libertà. In tutta Europa c’è la
stessa identica politica, variano solo le sue gradazioni. In tutta
Europa, nel nome del capitalismo finanziario, si cancella la democrazia.
La costruzione dell’Euro, il patto di stabilità, Maastricht hanno
affermato un mostro estraneo alla democrazia e alle costituzioni. Questo
mostro sta distruggendo l’Europa sociale, civile e democratica.
Stanno distruggendo tutto e non sono
neppure in grado di fermarsi. Nel nome della crisi del debito si
richiedono veri e propri sacrifici umani, che dovrebbero servire a
rassicurare i mercati. Così come nel Medioevo o nelle società antiche si
facevano sacrifici per allontanare disgrazie o carestie.
Si promette che i sacrifici porteranno
prima o poi alla ripresa, ma in realtà anche chi li decide non ci crede.
In poco più di un anno così l’Italia ha visto distruggere la scuola
pubblica, la sanità, i servizi pubblici e sociali. Il contratto
nazionale non esiste più e lo statuto dei lavoratori è stato sottoposto
alla deregolazione degli accordi tra le parti complici.
I migranti sono ormai in una condizione
di apartheid permanente e di supersfruttamento totale. L’affermarsi per
la prima volta, in particolare in Italia, ma non solo da noi, verso una
parte rilevante del mondo del lavoro della negazione della cittadinanza
assieme alla privazione dei diritti politici e civili fondamentali.
L’estendersi, con leggi xenofobe come la Bossi-Fini e più in generale
con le persecuzioni dei migranti, di un sistema nel quale una parte
rilevante della popolazione non gode dei diritti costituzionali
fondamentali, è un segno della regressione totale dell’Italia e
dell’Europa. Non è un caso che questa regressione si accompagni al
ritorno in campo di ideologie razziste, xenofobe, di comunitarismi
secessionistici reazionari.
Tutto questo è parte dell’aggressione
alla democrazia e ai diritti sociali. Ovunque si vuole distruggere la
possibilità stessa delle persone di organizzarsi e difendersi. Eppure
c’è ancora chi pensa che i sacrifici debbano essere accettati purché
equi e che si debbano accettare le “riforme”. Ora l’obiettivo centrale è
diventata la riforma delle pensioni. Essa risanerebbe l’economia. E
così si dimentica che una riforma delle pensioni terribile c’è già
stata, anche attraverso l’istituzione della previdenza complementare e i
giovani non andranno più in pensione e che la rendita media
pensionistica attuale dei lavoratori è inferiore ai 1.000 euro mensili.
Si allunga l’età pensionabile, ultima vergogna quella delle donne,
mentre dopo cinquant’anni si viene cacciati dai posti di lavoro. Oramai i
contratti a chiamata, di supersfruttamento, con la messa a disposizione
totale delle persone agli arbitri del comando aziendale si diffondo
ovunque.
Siamo alla catastrofe sociale che uccide
il presente e mangia il futuro: la casa, la scuola, il lavoro, la
salute, i diritti, tutto. Per questo non abbiamo più spazio ove
ritirarci, non c’è un meno peggio da contrattare, possiamo solo
rinunciare a difenderci e accettare il massacro sociale, pensando che
qualcuno si salvi sulle spalle degli altri, oppure possiamo lottare per
un cambiamento radicale. Come mostra la Grecia, non c’è fine ai
programmi di ristrutturazione sociale determinati dalla schiavitù del
debito e dalla speculazione finanziaria, se li si accetta, ci si mette
in mano a usurai internazionali, che non sono mai sazi. Per questo è
giunto il momento di rifiutarli.
Respingiamo il ricatto del default
finanziario. Ci sono altri default che invece vogliamo subito
affrontare. Quello della natura e dell’ambiente, che non riesce più a
ripristinare le risorse naturali assorbite dal supersfruttamento. Il
default delle persone e delle famiglie che non arrivano più alla fine
del mese. Il default del Mezzogiorno del nostro paese, che si avvicina
al collasso demografico per i milioni di giovani costretti ad emigrare
per trovarsi da vivere. Il default di diritti e di libertà che, a
partire dai migranti, sta distruggendo le basi stesse della nostra
democrazia. Questi sono i default che combattiamo.
ß Non pagare il debito
Tutto il dibattito politico ed economico
italiano dà per scontato che il debito debba essere pagato. Al massimo
si propone l’equità nei sacrifici, cioè che accanto alla distruzione dei
diritti sociali e civili stia una patrimoniale che faccia pagare
qualcosa ai ricchi. Ma noi non possiamo più accettare questa “equità”,
perché non siamo più in grado di essere debitori, siamo solo creditori
di futuro, di giustizia, di diritti. Per questo vogliamo portare nel
confronto politico la questione del debito ponendo la domanda che il
palazzo non vuole vuole porsi: “perché si deve pagare il debito?”.
L’Italia paga oggi 80 miliardi di euro
all’anno di interessi sul debito. Questo vuol dire che le manovre da
60-70 miliardi di euro all’anno sinora decise dal governo non riescono
neppure a pagare gli interessi, mentre lasciano intatto il debito che
continua a crescere. Anzi, creando una situazione di depressione
economica, aumentano il peso del debito sul prodotto lordo e creano
quella spirale a cui è già giunta la Grecia. Per pagare il debito si
taglia, ma tagliare crea depressione economica e quindi fa ancora
aumentare il debito. La politica e i poteri forti italiani sono tutti
subordinati alle grandi scelte del capitalismo europeo e internazionale.
Per questo non propongono nulla di alternativo rispetto alle ricette
neoliberiste della Banca europea e del Fondo Monetario Internazionale.
Eppure sono proprio queste ricette che aggravano la crisi e che
colpiscono drammaticamente la nostra vita sociale e civile.
Lo stupido orgoglio nazionale, di cui si
sono nutriti inizialmente il governo Berlusconi e la stessa Lega,
secondo il quale l’Italia non sarebbe mai finita come i paesi di serie
“B” quali la Grecia o il Portogallo o, ancor peggio, come quelli
dell’America Latina o del Nord Africa, oggi viene totalmente smentito e
ridicolizzato. Le cavallette della speculazione finanziaria, che hanno
aggredito l’Asia, la Russia, l’America Latina, la Grecia, oggi attaccano
il nostro paese perché pensano di guadagnarci nel farlo. Pensare di
fermare questo rassicurando i mercati e angosciando lavoratrici,
lavoratori e cittadini è tanto stupido e criminale quanto inutile.
La verità è che tutti i governi europei
hanno accettato la dittatura del potere finanziario e dell’accordo tra
poteri economici e casta politica. Tutti i governi europei mettono in
atto le stesse misure ed è solo la speculazione finanziaria a decidere
la durezza e la dimensione di esse. C’è un governo unico delle banche e
della finanza che domina le nostre vite.
La politica democratica comincia quando
viene messo in discussione il costo sociale ed umano del debito e
quando, come hanno fatto altri paesi, la stessa schiavitù del debito
finanziario viene messa in discussione.
ß Abbiamo due avversari
Il primo avversario che abbiamo di
fronte è sicuramente il governo Berlusconi. Il degrado della democrazia
italiana nasce anche dal fatto che un Presidente del Consiglio
corruttore e corrotto, circondato da una cricca impresentabile, governa
uno dei paesi più ricchi del mondo e resta lì nonostante tutto quello
che combina e nonostante il rifiuto che suscita nella grande maggioranza
del paese. Ogni giorno che Berlusconi resta lì segna un arretramento
della nostra democrazia. In nessun paese realmente democratico un
Presidente del Consiglio come Berlusconi resterebbe al suo posto. Se ciò
avviene è perché il sistema istituzionale, la stessa opposizione, sono
oramai parte della crisi.
Come è avvenuto in tutti i paesi dove è
esplosa la crisi del debito, la corruzione e l’inettitudine della classe
politica sono diventate funzionali alla speculazione internazionale.
Governi privi di vero consenso sono molto più ricattabili dal sistema
finanziario e dal sistema delle banche, in un certo senso fanno comodo.
Per questo, noi non abbiamo solo come avversario il governo Berlusconi
ma, al pari di esso, ci mobilitiamo contro il potere finanziario
liberista che sta imponendo le sue ricette e che pretenderebbe le stesse
politiche da qualsiasi governo fosse in carica. Noi siamo per
respingere i ricatti di Draghi, Trichet e Marchionne, siamo contro la
Tav, siamo contro le politiche di taglio dei servizi sociali, delle
pensioni e dei trasporti, siamo contro le politiche di privatizzazione e
liberalizzazione, siamo contro le spese militari e di guerra. Siamo
cioè contrari a tutte quelle politiche che, sappiamo perfettamente,
adotterebbe anche un governo di centrosinistra, almeno con l’attuale sua
classe dirigente. Il fallimento dell’Italia è il fallimento di
un’intera classe dirigente. Sono loro che hanno costruito questo debito e
noi non intendiamo più pagarlo.
La questione della crisi economica è
oramai anche una questione centrale di democrazia. La disinformazione,
la campagna ideologica, la negazione del diritto a decidere si
accompagnano all’imposizione delle più brutali misure di sfruttamento e
distruzione dei diritti. E’ la shock-economy, è l’emergenza continua che
serve a imporre una logica di guerra nella quale le vittime siamo noi.
La campagna ideologica e mediatica con
cui Marchionne ha imposto il suo modello autoritario a Pomigliano e in
tutta la Fiat, pare diventato il modello di governo del paese. Da un
lato ci sono la globalizzazione e il mercato, dall’altro ci sono i
sacrifici da fare. In mezzo solo ideologia e mistificazione. I
lavoratori, i cittadini, non sono più messi nelle condizioni di sapere e
di conoscere per decidere. Come è formato il debito? A cosa serve? Chi
ci guadagna e chi ci perde? Non si sa nulla, eppure da tempo è stata
richiesta una vera e propria analisi conoscitiva che ci faccia
comprendere la struttura e le ragioni, i guadagni e le perdite del
debito pubblico. Su questo tutto tace. Il dibattito ruota solo attorno
alla pur indispensabile cacciata di Berlusconi, ora chiesta anche dal
capitale internazionale e dalla Confindustria. Sul resto silenzio.
Allo stesso modo, il confronto sociale
ruota tutto attorno all’ipocrisia del patto sociale, all’ideologia della
coesione nazionale, dello stare tutti nella stessa barca, mentre i
livelli di disuguaglianza nel nostro paese sono tra i più acuti
nell’Ocse.
Decidere una politica economica
alternativa è dunque anche rivendicare una reale democrazia, una reale
partecipazione con il diritto dei cittadini di decidere sul serio.
ß Noi creditori, loro debitori
Noi siamo coloro che pagano tutto. Loro
sono coloro che vogliono farci pagare tutto. Noi abbiamo solo dei
crediti da riscuotere, loro invece devono pagare per il debito sociale
che ci hanno imposto. Questa è la prima distinzione che noi proponiamo,
in alternativa all’assuefazione, alla rinuncia e ai sacrifici. Per
questo diciamo no alle politiche di concertazione vecchie e nuove, agli
accordi sindacali come quello del 28 giugno, al mostruoso articolo 8 del
decreto sulla manovra economica e alla ratifica di esso firmata il 21
settembre scorso da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. Che, come dice il
Sole 24 Ore, “lubrifica” la stessa applicazione dell’articolo 8. Noi
vogliamo ricostruire diritti e libertà e sappiamo che ogni passo in
questa direzione si scontra con coloro che oggi guidano l’economia e il
sistema di potere, in Italia così come in Europa. Per questo noi
rivendichiamo di poter decidere.
Il popolo italiano raramente è stato
chiamato a scegliere. L’ultima volta che ciò è avvenuto, pochi mesi fa
con il referendum sull’acqua, il popolo si è espresso chiaramente contro
il liberismo e per i beni pubblici. In alternativa cioè a tutta
l’impostazione economica liberista che oggi viene prepotentemente
affermata con le manovre e con i dicktat della Bce. Per questo noi
vogliamo rivendicare il diritto a decidere. Sono così sicuri,
governanti, banchieri, politici di centrodestra e di centrosinistra, che
i cittadini siano con loro? Allora perché negare al popolo italiano
quel diritto al referendum che invece è stato esercitato in molti altri
paesi? Noi non vogliamo più pagare la speculazione finanziaria, il
debito, i patti europei che sacrificano lo stato sociale alla stabilità
dei guadagni delle banche. Potremmo essere in minoranza, può darsi che
la popolazione italiana in maggioranza sia disposta a sacrificare il
proprio futuro per pagare il debito, però deve poter decidere. Come ha
fatto il popolo Islandese.
Noi, quindi, rivendichiamo un referendum
sul debito, sul patto di stabilità e sul vincolo europeo, che permetta
il confronto tra alternative reali e tra diverse ipotesi economiche e
sociali per affrontare la crisi. Chi ha paura della democrazia? Chi
vuole ridurre il sistema democratico e la Costituzione italiana a un
simulacro ottocentesco, nel quale restano solo le libertà borghesi e di
mercato, mentre vengono soppresse le libertà sociali? Questo è in
discussione oggi in Italia. Siamo un paese che rischia di perdere la sua
democrazia di fronte alle malefatte di Berlusconi e al potere
autoritario dell’Europa delle banche. Diciamo un grande no alla
costituzionalizzazione del pareggio di bilancio. E’ una scelta che
cancella tutti gli altri articoli della Costituzione. Contro di essa
bisogna fare le barricate. Eppure questa scelta liberticida viene
tranquillamente accettata anche da chi dice di opporsi a Berlusconi.
Per questo vogliamo ripristinare la
democrazia e il diritto a decidere. Chi ha paura di questo diritto
evidentemente appoggia un altro potere.
ß Cinque punti per una vera alternativa
1/ Non pagare il debito, far pagare i ricchi e gli evasori fiscali, nazionalizzare le banche.
Approfondiremo la proposta precisa. Qui vogliamo affermare il
principio. Questo debito non può essere pagato, così come non possiamo
più accettare i vincoli economico-sociali dei patti europei. Non solo
l’Italia ma tutta l’Europa non li può e non li deve più accettare. Siamo
per la lotta all’evasione e per una grande patrimoniale che colpisca le
ricchezze. Ma questi soldi devono servire a finanziare il nostro
presente il nostro futuro, non a risanare i bilanci delle banche. Già
4.600 miliardi di euro, secondo il presidente della Commissione Europea,
sono stati elargiti dai governi alle banche e alla finanza per salvare i
loro bilanci. Altri 3.000 sono annunciati. Questi soldi li vogliamo
noi, devono andare ai cittadini, agli investimenti, alla sicurezza
sociale e del futuro e non a garantire i profitti alle banche che
controllano il debito pubblico. Per questo noi diciamo che le banche
vanno nazionalizzate e tutto il sistema finanziario deve essere
riportato sotto il controllo del potere pubblico, contro la
speculazione. Questa scelta di fondo richiede la sconfitta totale delle
forze liberiste che governano l’Italia e l’Europa. Questa nostra
rivendicazione va dunque accompagnata alla messa in discussione di tutta
la struttura europea, oggi unificata solo dalla moneta e dal liberismo.
Senza un’Europa democratica, con diritti sociali e civili comuni, senza
un’Europa dei popoli non c’è più Europa. L’Europa delle banche è
fallita.
La ricchezza privata
italiana è di circa 9 mila miliardi di euro. Il 10% delle famiglie
detiene quasi la metà di questa ricchezza. Per questo chiediamo che
questo 10% si accolli, attraverso una patrimoniale vera, i costi della
crisi. Mentre almeno il 50% del paese, che detiene solo il 10% della
ricchezza, non solo non dovrà pagare nulla, ma dovrà ricevere i
risultati di una forte redistribuzione del reddito. Pensiamo di
sottrarre al 10% più ricco il 10% del suo patrimonio con circa 450
miliardi da spendere per redistribuzione della ricchezza e piani di
investimento su case, scuole, ospedali, servizi.
La lotta all’evasione
fiscale deve partire da una scelta di giustizia a favore del lavoro
dipendente e delle pensioni, del reddito fisso, che oggi contribuiscono
alla stragrande maggioranza delle entrate fiscali del paese, in misura
ben superiore alla quota di reddito percepita. E’ necessario un forte
irrigidimento delle pene, civili e penali, per i grandi evasori, a
partire dalle grandi imprese che operano attraverso i paradisi fiscali,
che dovrebbero essere chiusi. La lotta alla corruzione e alla
criminalità, la persecuzione dell’economia criminale, che nasce dalle
mafie così come dalla grande evasione fiscale, deve essere un punto
centrale del programma di uscita dalla crisi.
Su tutte queste basi
va costruita una politica economica alternativa a quella liberista, che
abbia come punto di partenza la riduzione delle disuguaglianza sociali e
territoriali del nostro paese, a partire da quelle che colpiscono il
Mezzogiorno.
2/ No alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra, no alla corruzione e ai privilegi di casta. Vanno
abbattute del 70% le spese militari, cancellando tutte le missioni di
guerra e tutte le principali commesse militari. Va cancellata ogni forma
di finanziamento alla scuola privata, convertendo tutti i fondi
recuperati al finanziamento di quella pubblica. Vanno liquidate tutte le
consulenze private nell’amministrazione pubblica e vanno
reinternalizzati servizi e attività oggi affidati alla speculazione e al
supersfruttamento. Vanno soppresse le spese per le grandi opere, dalla
Tav al ponte sullo Stretto. Va ricostruita la trasparenza del bilancio
pubblico, con la chiarezza sull’utilizzo di tutte le voci. Vanno
drasticamente ridotti i costi che alimentano la casta politica. Vanno
ridimensionati tutti gli stipendi del personale politico istituzionale.
Va abolito il patto
di stabilità che vincola tutte le spese degli enti locali e delle
regioni. Tutte le amministrazioni elettive che hanno contratto derivati a
copertura del debito devono essere sciolte.
3/ Giustizia per il mondo del lavoro. Basta con la precarietà. Tutto
il mondo del lavoro, sia quello contrattualizzato sia quello totalmente
precario, subisce oggi una drammatica oppressione autoritaria. Un
moderno fascismo aziendalistico e padronale, che produce una
generalizzata condizione di supersfruttamento, la lesione della libertà e
della dignità della persona. Per questo occorre un cambiamento radicale
nelle condizioni di lavoro, che deve partire dalle lotte e da una vasta
mobilitazione, dagli scioperi precari e contrattuali, ma deve anche
portare a cambiamenti radicali. Bisogna bloccare i licenziamenti e le
delocalizzazioni. Vanno abolite tutte le leggi che hanno, dagli anni
Novanta in poi, distrutto il rapporto di lavoro stabile. Va esteso a
tutto il mondo del lavoro l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Va
in ogni caso istituito un reddito sociale di cittadinanza, accompagnato
a una battaglia a livello Europeo per la riduzione generalizzata
dell’orario di lavoro a parità di salario. Va rafforzata la funzione
unificatrice e di garanzia del contratto nazionale, ripristinando
l’indicizzazione dei salari. Vogliamo anche noi una riforma delle
pensioni, di segno opposto a quella che chiede la finanza nazionale e
internazionale. Vogliamo la completa ripubblicizzazione del sistema
pensionistico, portando nel sistema pubblico i fondi privati. Bisogna
garantire la pensione a tutte le nuove generazioni ripristinando il
sistema di solidarietà oggi distrutto.
4/ Per l’ambiente, i beni comuni, lo stato sociale. Per il diritto allo studio nella scuola pubblica.
Il 27 settembre è stata una data decisiva per il pianeta terra. La
terra è andata in default. Cioè da quel giorno l’economia del pianeta
consuma più risorse naturali di quelle che la natura è in grado di
reintegrare. Questo, assieme a quello delle famiglie, è il solo default
di cui siamo davvero preoccupati e che vogliamo impedire. Per questo
occorre un drastico cambiamento nelle scelte e nelle strutture portanti
della nostra economica. Una profonda riconversione industriale e delle
produzioni, un altro modello sociale.
Rivendichiamo un
piano nel quale far convergere le risorse recuperate con la
patrimoniale, con l’evasione fiscale, con il cambiamento di struttura
della spesa pubblica, per un piano che, per i prossimi anni, finanzi
ricerca, innovazione, diffusione della conoscenza, energie rinnovabili e
risparmio energetico, milioni di piccole opere necessarie a mettere in
sicurezza l’ambiente e il patrimonio culturale, la scuola, le case, gli
ospedali. Un piano che abbia al centro la costruzione di posti di lavoro
dignitoso e sicuro e il drastico abbattimento delle disoccupazione, a
partire dal Mezzogiorno. Sono i questi beni comuni che devono diventare
il centro di un cambiamento dei punti di riferimento e delle scelte di
fondo dell’economia. Tutto questo richiede il ripristino del controllo
pubblico e politico sull’economia, politiche industriali,
nazionalizzazioni dei grandi gruppi, vincoli rigorosissimi all’operare
delle multinazionali. O è questa la strada, oppure diventiamo solo una
colonia.
Vogliamo un programma
di grandi investimenti per garantire il diritto allo studio in
un’istruzione pubblica, laica e di massa, fino all’Università. Per i
nativi così come per i migranti. Occorre riconvertire una parte
determinante delle risorse del paese verso la conoscenza.
5/
Una rivoluzione per la democrazia. Parità di diritti per i migranti. Il
vincolo europeo deve essere sottoposto al nostro voto. Vogliamo
decidere sul nostro futuro, il vincolo europeo deve essere sottoposto
al nostro voto. Prima di tutto bisogna garantire eguaglianza e
cittadinanza a tutte e a tutti. I migranti devono avere il diritto al
voto e alla cittadinanza, gli stessi diritti e gli stessi poteri di
tutti i cittadini. Questa condizione di libertà e di cittadinanza
universale è la premessa per garantire a tutte e a tutti i diritti
sociali e per imporre una radicale riaffermazione della democrazia. Per
questo rivendichiamo il referendum sul debito e un cambiamento generale
della classe dirigente del paese. Non è con il sistema delle alternanze
della seconda Repubblica berlusconiana, che si esce dalla crisi. Occorre
una nuova classe dirigente, perché nessuno di quelli che oggi governa o
aspira a governare è davvero credibile. Per questo rivendichiamo il
ritorno a un sistema elettorale proporzionale che dia spazio a tutte le
voci e le richieste del nostro paese. Rivendichiamo il diritto alla
partecipazione e all’autorganizzazione, affermando ed estendendo la
democrazia diretta e il diritto alla consultazione. Il finanziamento
pubblico ai partiti, va abolito e sostituito dal finanziamento alle
libere attività politiche dei cittadini. Bisogna garantire una vera
libertà di stampa, di informazione, di opinione. Vogliamo la totale
libertà della e nella rete e il massimo di accesso al servizio pubblico
televisivo. Rivendichiamo una legge sulla democrazia sindacale che
garantisca ai lavoratori la libertà di scelta sulle proprie
rappresentanze, dal livello aziendale a quello nazionale, senza quote
garantite per nessuno, e il voto su piattaforme e accordi, in
alternativa al modello neocorporativo dell’accordo del 28 giugno 2011.
Rivendichiamo in fine il principio di trasparenza e partecipazione su
tutte le scelte di fondo delle istituzioni sul piano economico e
sociale.
ß Uno spazio politico pubblico.
Con questa iniziativa abbiamo
l’ambizione di cominciare a costruire in Italia uno spazio politico e
pubblico che oggi non esiste. Quello dell’alternativa al liberismo
autoritario della Banca europea e del Fondo Monetario Internazionale e
quello per una reale partecipazione democratica. Nello scontro con il
governo Berlusconi e i suoi disastri, rischia di riproporsi
un’alternanza con le politiche del centrosinistra del passato, anch’esse
corresponsabili di questo disastro. Noi siamo perché si crei uno spazio
politico pubblico nel quale una democrazia radicale anticapitalista
trovi cittadinanza e possa far valere le sue ragioni. E’ la crisi che lo
impone. O costruiamo questo spazio oppure la privatizzazione
contaminerà anche i più elementari diritti civili e democratici, e la
logica di mercato travolgerà anche i principi fondamentali della nostra
Costituzione.
Proponiamo quindi di organizzare una
campagna diffusa in tutto il paese contro il debito e per un’altra
politica economica sociale raccogliendo ovunque le firme per chiedere il
diritto al referendum, il diritto a decidere e un cambiamento radicale
nella classe politica.
Vogliamo proseguire con la nostra
iniziativa costruendo centri di elaborazione e proposta, nazionali e
diffusi nel territorio. I cinque punti della nostra piattaforma sono qui
solo abbozzati. Proponiamo che diano origine ad assemblee specifiche
per l’elaborazione di un programma dettagliato.
Con questa assemblea iniziamo un
percorso difficile e non scontato. Sappiamo che altri tentativi in
questa direzione sono completamente falliti. Quello che forse è mancato a
tutti quei tentativi è stata quella necessaria iniezione di
partecipazione e democrazia confronto aperto tra varie ipotesi, senza le
quali non si costruisce mai qualcosa di veramente nuovo. In Italia
siamo capacissimi di fare enormi manifestazioni, grandi movimenti di
lotta, ma poi lasciamo sempre alle stesse persone, allo stesso sistema
politico istituzionale, il compito di amministrarle e gestirle. Questo
perché da anni non siamo in grado di costruire una reale nuova
partecipazione. Per questo vogliamo iniziare da qui e provare a
diffondere in tutto il paese, attraverso assemblee territoriali, la
nostra proposta, costruendo comitati e assemblee ovunque. A conclusione
di questo percorso, nel mese di dicembre, pensiamo di ritrovarci in una
grande nuova assemblea, nella quale fare il punto sui contenuti della
piattaforma ma anche definire pratiche, sedi, strumenti per dare forza
organizzata e democratica a questo fronte comune che vogliamo costruire.
*************
Il documento finale dell’assemblea
Noi partecipanti all’assemblea del 1° ottobre a Roma: “Noi il debito non lo paghiamo. Dobbiamo fermarli” ci assumiamo l’impegno di costruire un percorso comune.
Tale percorso ha lo scopo di affermare
nel nostro paese uno spazio politico pubblico, che oggi viene negato
dalla sostanziale convergenza, sia del governo sia delle principali
forze di opposizione, nell’accettare i diktat della Banca Europea, del
Fondo Monetario Internazionale, della Confindustria e della speculazione
finanziaria. Vogliamo costruire uno spazio politico pubblico, che
rifiuti le politiche e gli accordi di concertazione e patto sociale, che
distruggono i diritti sociali e del lavoro. Vogliamo costruire uno
spazio politico pubblico nel quale si riconoscono tutte e tutti coloro
che non vogliono più pagare i costi di una crisi provocata e gestita dai
ricchi e dal grande capitale finanziario e vogliono invece rivendicare
sicurezza, futuro, diritti, reddito, lavoro, uguaglianza e democrazia.
Vogliamo partire dai cinque punti attorno ai quali è stata convocata questa assemblea
1. Non pagare il debito, far pagare i ricchi e gli evasori fiscali, nazionalizzare le banche
2. No alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra, no alla corruzione e ai privilegi di casta
3.
Giustizia per il mondo del lavoro. Basta con la precarietà. Siamo
contro l'accordo del 28 giugno e l'articolo 8 della manovra finanziaria.
4. Per l’ambiente, i beni comuni, lo stato sociale. Per il diritto allo studio nella scuola pubblica.
5.
Una rivoluzione per la democrazia. Uguale libertà per le donne.
Parità di diritti per i migranti. Nessun limite alla libertà della rete.
Il vincolo europeo deve essere sottoposto al nostro voto.
Ci impegniamo a portare i temi
affrontati in questa assemblea diffusamente in tutto il territorio
nazionale, costruendo un movimento radicato e partecipato. Così pure
vogliamo approfondire i singoli punti della piattaforma con apposite
iniziative e con la costruzione di comitati locali aperti alle
firmatarie e ai firmatari e a chi condivide il nostro appello.
Intendiamo organizzare una petizione di massa sul diritto a votare sul
vincolo europeo.
Nel mese di dicembre, a conclusione di
questo percorso a cui siamo tutti impegnati a dare il massimo di
diffusione e partecipazione, verrà convocata una nuova assemblea
nazionale, che raccoglierà tutti i risultati e le proposte del percorso e
che definirà la piattaforma, le modalità di continuità dell’iniziativa,
le mobilitazioni e anche eventuali proposte di mobilitazione e di
lotta.
Intendiamo costruire un fronte comune di
tutte e tutti coloro che oggi rifiutano sia le politiche del governo
Berlusconi, sia i diktat del governo unico delle banche. Diciamo no al
vincolo europeo che uccide la nostra democrazia. Chi non è disposto a
rinviare al mittente la lettera della Banca Europea non sta con noi.
Questo fronte comune non ha scopo elettorale, ma vuole intervenire in
maniera indipendente nella vita sociale e politica del paese, per
rivendicare una reale alternativa alle politiche del liberismo e del
capitalismo finanziario. Questo fronte comune vuole favorire tutte le
iniziative di mobilitazione, di lotta, di autorganizzazione che
contrastano le politiche economiche liberiste. Questo percorso si
inserisce nel contesto dei movimenti che, in diversi paesi europei e con
differenti modalità e percorsi, contestano le politiche di austerità e
la legittimità del pagamento debito a banche e imprese.
Su queste basi i partecipanti
all’assemblea saranno presenti attivamente anche alla grande
manifestazione del 15 ottobre a Roma sotto lo striscione “Noi il debito non lo paghiamo”.
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