martedì 4 ottobre 2011

I droni di Marchionne

di  Dante Barontin, www.contropiano.org

L'uscita della Fiat da Confindustria conferma fin nei dettagli la contraddizione tra interessi delle grandi multinazionali e imprese “nazionali”, per quanto export oriented.
Il punto su cui si è verificata la “rottura” non poteva essere più esplicito: per Marchionne l'art. 8 della manovra – che prevede la possibilità di derogare a contratti e leggi, quindi la totale e incontrattabile libertà di licenziare - è l'unica garanzia del comando assoluto sulla forza lavoro. E quindi è la condizione più volte posta - con i referendum di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco – per rimanere in Italia.
Per Confindustria - che ha ratificato l'accordo del 28 giugno con Cgil, Cisl e Uil – vanno bene entrambe le cose: l'art. 8 in casi estremi, la “concertazione” con gli unici sindacati riconosciuti a prescindere come titolari della rappresentanza in tutte le situazioni “gestibili”.
Si nota qui una preoccupazione che Fiat urla di non avere più: il problema della “coesione sociale”, della governabilità di un paese guidato sulla via dell'impoverimento a tappe forzate. Alla multinazionale basta uno sguardo dall'alto: se gli piacciono determinate regole sociali, bene, altrimenti si va altrove. Per la Marcegaglia e persino Bombassei, un qualche filo di mediazione molto oculata e da posizioni di forza è comunque bene tenerlo; le loro imprese ­ come la stragrande maggioranza delle grandi, medie o piccole – stanno qui e non possono trasferirsi altrove. Condividono naturalmente l'esigenza di comprimere il costo del lavoro, abbattere il salario e azzerare le tutele legali dei lavoratori, ma hanno paura di sbagliare i passaggi e ritrovarsi con un paese inselvatichito, con una conflittualità anomala quanto a forme o prevedibilità.
Il “manifesto di Confindustria” è un concentrato di questi interessi, di questo tipo di imprese. Combacia perfettamente con l'impianto della “lettera della Bce”, permette a un Della Valle di sbraitare un “basta” degno più di Masaniello che non di un “principe del lusso”, aprendo la volata per la discesa in campo politico del suo socio in affari, Luca Cordero di Montezemolo.
Questa borghesia “nazionale per debolezza strutturale” non è “progressista”. Il suo programma coincide al millimetro con quello di Marchionne. Ma si distingue per le modalità di raggiungimento degli obiettivi. Dobbiamo dire grazie alla Marcegaglia per essere stata così sincera: ci vuole un “lubrificante” per far passare certe “riforme”. Qui i sindacati “complici” sono chiamati a dare il meglio di sé, in quanto a “scorrevolezza”. Tenendo buoni i lavoratori, buttando fumo negli occhi ai precari, tamponando alla meglio l'incazzatura dei pensionandi (e dei pensionati, se si dovesse arrivare a “misure greche” come la riduzione d'autorità degli assegni).
Alla Fiat americana tutto ciò non interessa. E' “politica”, e se ne ritrae annoiata. Quel che accade nella società non è affar suo. Il “modello Marchionne” ha introiettato il principio basilare della “guerra civile globale” innescata dalla crisi. E che fa di qualsiasi società un insieme informe senza struttura e corpi sociali intermedi. Governabile anche a distanza e dall'alto.
Basta avere droni a sufficienza.

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