Marco Ventimiglia – l’Unità 06/10/2011
In
un Paese dove l’economia va a gonfie vele, gli stipendi sono alti ed il
vivere in una casa non propria è una scelta e non una necessità, si può anche accettare che il costo degli affitti salga in modo ragionevole. Peccato che un Paese del genere probabilmente non esiste e di sicuro non è l’Italia,
dove invece il rincaro dei canoni non solo è una realtà ma è persino
causato dai provvedimenti legislativi del governo. Una situazione
inaccettabile denunciata ieri dalla Cgil e dal Sunia, il sindacato
nazionale unitario Inquilini ed Assegnatari. Dalla loro indagine
congiunta, infatti, risulta che a sei mesi dalla sua entrata in
vigore la cedolare secca si è rivelata un flop lasciando che, appunto,
il caro affitti escluda dal mercato fasce sempre più ampie di
popolazione, con un canone medio lievitato ormai a 1.050 euro.
Vantaggi solo da una parte
In particolare, lo studio Sunia/Cgil ha
monitorato gli effetti della norma prevista dal decreto legislativo sul
federalismo fiscale, quella che ha introdotto l’imposta sostitutiva sui
redditi da locazione, nota come cedolare secca, parallelamente ai canoni
di mercato in undici aree metropolitane. «Dopo sei mesi – si
legge nell’indagine – la norma non ha prodotto alcuna diminuzione dei
canoni, né un effetto calmierante del mercato e né, tanto meno, un
aumento della sua regolarità». Quest’ultima una risposta a
quanti sostenevano che il provvedimento avrebbe avuto effetti positivi
sulla dinamica degli affitti, a causa della minore tassazione pagata dai
proprietari. «In realtà siamo di fronte ad una norma che assicura
vantaggi solo per i proprietari, particolarmente per quelli con con
redditi alti, senza nessuna contropartita in termini sociali», ha
affermato la responsabile Cgil delle politiche abitative, Laura Mariani.
Insomma, il minore introito nelle casse nazionali, che il
sindacato ha denunciato essere «un vero e proprio regalo dello Stato ai
proprietari », non ha comportato un analogo «regalo dei proprietari agli
inquilini». Al contrario, si prevede che la cedolare secca,
«rendendo ai fini fiscali sostanzialmente indifferente per un
proprietario stipulare un contratto a canone libero piuttosto che a
canone concordato, produce col tempo un aumento dei canoni». Il motivo è
presto detto: «In fase di rinnovo, i contratti vengono e verranno
presumibilmente modificati da concordati a liberi allineandosi così sui
valori di mercato». Da qui l’allarme di Sunia e Cgil: «Di fatto la
cedolare secca potrebbe sancire la fine del canale concordato previsto
dalla legge 431 del 1998, una regolamentazione ottenuta con faticose
lotte del sindacato contro chi riteneva che l’unica strada per regolare
questo settore fosse la totale liberalizzazione ».
Differenza evidente
Parole che trovano una conferma nella
pratica, dove la dimostrazione degli effetti “distorsivi” della cedolare
secca si ritrova puntuale nel borsino degli affitti stilato dalla Cgil e
dal Sunia. Una fotografia di questi ultimi sei mesi attraverso il
monitoraggio in undici aree metropolitane relativamente ai rinnovi
contrattuali e alle stipule di nuovi contratti per le tipologie
abitative maggiormente diffuse. Nel primo caso il canone medio si
attesta su circa 750 euro mensili mentre nel secondo, che comprende la
trasformazione del contratto da concordato a libero, si viaggia sui
1.050 euro mensili. La tendenza che emerge dai dati è quindi
«decisamente al rialzo», sostengono i sindacati, puntando il dito
proprio contro la cedolare secca. In particolare, a Milano e Venezia il
canone medio è di 1.400 euro, mentre raggiunge i 1.300 a Roma e i 950euro
a Napoli.
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