di
Alessandro Avvisato, www.contropiano.org
I dati indicano che il cemento si sta mangiando ogni
giorno decine di ettari di territorio. Quattro milioni di case costruite
in poco tempo mentre ce ne sono cinque milioni ancora sfitte nelle
grandi metropoli. Il condono è un incentivo diseconomico alla
cannibalizzazione del nostro territorio.
“In Italia si cementificano ogni giorno circa 130 ettari di suoli
fertili. Si tratta di una stima, perché lo Stato non si è mai occupato
del problema e ogni Regione fa a modo suo” scrive oggi una inchiesta de
La Stampa. La Lombardia, ha il record di 15 ettari consumati ogni
giorno. Dal 2000 poi, con la possibilità di spendere gli oneri
urbanistici liberamente, è stata data ai Comuni la licenza di svendere
il territorio: con gli incassi tamponano le falle nei bilanci. Ma se la
devastazione ambientale e urbanistica è enorme, i guadagni sono
irrisori. Lo documenta oggi Gian Antonio Stella nell’editoriale del
Corriere facendo un esempio calzante: “il Comune di Roma, dai due
condoni edilizi del 1985 e del 1994 ricavò complessivamente, in moneta
attuale, 480 milioni di euro: 1.543 per ognuna delle 311 mila abitazioni
sanate. In compenso, fu costretto per ciascuna a spenderne in opere di
urbanizzazione oltre 30 mila. Somma finale: un «rosso» di 28.500 euro
ogni casa condonata. Bell'affare...”. Non solo. Nell’ultimo decennio in
Italia sono state costruite quattro milioni di abitazioni, ma ce ne sono
ben 5,2 milioni vuote solo nelle grandi città.
La proposta in circolazione di un nuovo condono, è un orrore
ambientale ed economico che il governo Berlusconi vorrebbe regalare come
estrema ratio al suo blocco sociale di riferimento. Una pessima idea
che non assolve però i colpevoli del passato: dalla Giunta Veltroni a
Roma ai piani regionali per l’edilizia nel Lazio approvati a luglio di
quest’anno.
Riproduciamo qui sotto il Manifesto della Campagna contro il consumo di territorio
Stop al consumo di territorio
Il consumo di territorio nell’ultimo decennio ha assunto proporzioni preoccupanti e una estensione devastante. Negli
ultimi vent’anni, il nostro Paese ha cavalcato una urbanizzazione
ampia, rapida e violenta. Le aree destinate a edilizia privata, le zone
artigianali, commerciali e industriali con relativi svincoli e rotonde
si sono moltiplicate ed hanno fatto da traino a nuove grandi opere
infrastrutturali (autostrade, tangenziali, alta velocità, ecc.).
Soltanto
negli ultimi 15 anni circa tre milioni di ettari, un tempo agricoli,
sono stati asfaltati e/o cementificati. Questo consumo di suolo sovente
si è trasformato in puro spreco, con decine di migliaia di capannoni
vuoti e case sfitte: suolo sottratto all’agricoltura, terreno che ha
cessato di produrre vera ricchezza. La sua cementificazione riscalda il
pianeta, pone problemi crescenti al rifornimento delle falde idriche e
non reca più alcun beneficio, né sull’occupazione né sulla qualità della
vita dei cittadini.
Questa crescita senza
limiti considera il territorio una risorsa inesauribile, la sua tutela e
salvaguardia risultano subordinate ad interessi finanziari sovente
speculativi: un circolo vizioso che, se non interrotto, continuerà a
portare al collasso intere zone e regioni urbane. Un meccanismo
deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed
esauribile come il suolo, per finanziare i servizi pubblici ai cittadini
(monetizzazione del territorio).
Tutto ciò
porta da una parte allo svuotamento di molti centri storici e dall’altra
all’aumento di nuovi residenti in nuovi spazi e nuove attività, che
significano a loro volta nuove domande di servizi e così via
all’infinito, con effetti alla lunga devastanti. Dando vita a quella che
si può definire la “città continua”. Dove esistevano paesi, comuni,
identità municipali, oggi troviamo immense periferie urbane, quartieri
dormitorio e senza anima: una “conurbazione” ormai completa per molte
aree del paese.
Ma i legislatori e gli amministratori possono fare scelte diverse, seguire strade alternative? Sì!
Quelle
che risiedono in una politica urbanistica ispirata al principio del
risparmio di suolo e alla cosiddetta “crescita zero”, quelle che portano
ad indirizzare il comparto edile sulla ricostruzione e ristrutturazione
energetica del patrimonio edilizio esistente.
Il
movimento di opinione per lo STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO e i
firmatari individuano 6 principali motivi a sostegno della presente
campagna nazionale di raccolta firme.
STOP: PERCHÉ?
1. Perché il suolo ancora non cementificato non sia più utilizzato come “moneta corrente” per i bilanci comunali.
2.
Perché si cambi strategia nella politica urbanistica: con l’attuale
trend in meno di 50 anni buona parte delle zone del Paese rimaste
naturali saranno completamente urbanizzate e conurbate.
3.
Perché occorre ripristinare un corretto equilibrio tra Uomo ed Ambiente
sia dal punto di vista della sostenibilità (impronta ecologica) che dal
punto di vista paesaggistico.
4.
Perché il suolo di una comunità è una risorsa insostituibile perché il
terreno e le piante che vi crescono catturano l’anidride carbonica, per
il drenaggio delle acque, per la frescura che rilascia d’estate, per le
coltivazioni, ecc.
5. Per senso di responsabilità verso le future generazioni.
6.
Per offrire a cittadini, legislatori ed amministratori una traccia su
cui lavorare insieme e rendere evidente una via alternativa all’attuale
modello di società.
STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO
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