lunedì 10 ottobre 2011

Il ritorno del gattopardo


Saranno le coincidenze astrali o l’approssimarsi della catastrofe planetaria, ma i primi segni di destrutturazione del sistema politico così come lo conosciamo dal 1994 si cominciano a manifestare in maniera ineluttabile. Come se alla base ci fosse una forza centrifuga (la crisi?), ma tanto la monarchia berlusconiana, quanto il ducismo leghista e persino il collante piddino, sembrano precipitare contemporaneamente, verso un dove approssimativo e vago. In attesa della caduta dell’imperatore e del suo vassallo verde, gerarchi di prima e di seconda linea si contendono il ruolo di nuovo Badoglio, per ora prevalgono la verve untuosa di Scaiola, il grigio democristianesimo di Pisanu e il candore ciellino di Formigoni, ma altri cavalieri sono pronti a spodestare il padre padrone. La direzione sembra in apparenza definita, c’è un gorgo che li accomuna culturalmente, storicamente e per mai dissolti vincoli di appartenenza. Il sogno è quello di ridare vita ad un grande amorfo soggetto conservatore ma moderato, modellato sullo scudo crociato, con lo scopo di riattrarre membri di una diaspora come Casini o convertiti di lungo corso come Fini, Rutelli e ampi settori del Pd. Ma è un percorso che guarda verso il presente o emana un odore vintage di tempi destinati a non ripetersi? Fenomeno in parte simile sembra definirsi nella Lega Nord dove lo scontro interno non mantiene il rumore soffice dei salotti e delle cene dei congiurati piddiellini ma si anima di ardore guerresco. Scontro di potere fra vecchia e nuova generazione? Solo in parte. Anche nella Lega c’è chi, amministratori e dirigenti al di fuori del “cerchio magico” tende a liberarsi della paccottiglia bossiana per sopravvivere al futuro. Ed è curioso come chi si poneva nell’ottica di sparare sugli immigrati oggi sia in cerca disperata di scialuppe di salvataggio. Anche nel Pd, fra le tante, troppe anime che compongono un corpo in cui ogni arto vive di vita propria, sembra di assistere ad una ricollocazione trasversale in cui però, per maggiore fragilità interna, poco contano le culture politiche di provenienza e molto più le ambizioni personali. L’irruenza del sindaco di Firenze così come le uscite dei Parisi, dei Fioroni, dei Veltroni ne sono segnale inquietante. Poca pace sembra trovarsi anche nell’IdV dove lo stesso ruolo di Di Pietro è messa in discussione. Si creano vuoti in politica che vanno rapidamente riempiti e non certo abbandonati alle tecnocrazie padronali. Una sinistra di alternativa potrebbe tentare di farlo e sarebbe questo il momento giusto per creare polarità attrattive non riconducibili alle ricette dei politicismi attorno a cui ruotano tutti coloro che si apprestano a riciclare la propria immagine e il proprio profilo. Se ci si fa infatti caso, i soggetti finora menzionati sono accomunati da una sola e comune costante. Potranno cambiare ruolo e colore, costruirsi un nuovo simbolo o confluire in un altro contenitore, utilizzare all’infinito la parola nuovo per riproporre però ricette vecchie e stantie. Quelle che hanno portato il Paese e il continente intero alla catastrofe sociale, economica e politica. C’è necessità di alternative prospettive di sistema, di un paradigma radicalmente nuovo e inconciliabile con la compatibilità europea altrimenti si rischia di scorgere il ritorno del gattopardo: “Bisogna che tutto cambi perché non cambi nulla” 
 
Stefano Galieni, www.controlacrisi.org

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