Saranno
le coincidenze astrali o l’approssimarsi della catastrofe planetaria,
ma i primi segni di destrutturazione del sistema politico così come lo
conosciamo dal 1994 si cominciano a manifestare in maniera ineluttabile.
Come se alla base ci fosse una forza centrifuga (la crisi?), ma tanto
la monarchia berlusconiana, quanto il ducismo leghista e persino il
collante piddino, sembrano precipitare contemporaneamente, verso un dove
approssimativo e vago. In attesa della caduta dell’imperatore e del suo
vassallo verde, gerarchi di prima e di seconda linea si contendono il
ruolo di nuovo Badoglio, per ora prevalgono la verve untuosa di Scaiola,
il grigio democristianesimo di Pisanu e il candore ciellino di
Formigoni, ma altri cavalieri sono pronti a spodestare il padre padrone.
La direzione sembra in apparenza definita, c’è un gorgo che li accomuna
culturalmente, storicamente e per mai dissolti vincoli di appartenenza.
Il sogno è quello di ridare vita ad un grande amorfo soggetto
conservatore ma moderato, modellato sullo scudo crociato, con lo scopo
di riattrarre membri di una diaspora come Casini o convertiti di lungo
corso come Fini, Rutelli e ampi settori del Pd. Ma è un percorso che
guarda verso il presente o emana un odore vintage di tempi destinati a
non ripetersi? Fenomeno in parte simile sembra definirsi nella Lega Nord
dove lo scontro interno non mantiene il rumore soffice dei salotti e
delle cene dei congiurati piddiellini ma si anima di ardore guerresco.
Scontro di potere fra vecchia e nuova generazione? Solo in parte. Anche
nella Lega c’è chi, amministratori e dirigenti al di fuori del “cerchio
magico” tende a liberarsi della paccottiglia bossiana per sopravvivere
al futuro. Ed è curioso come chi si poneva nell’ottica di sparare sugli
immigrati oggi sia in cerca disperata di scialuppe di salvataggio. Anche
nel Pd, fra le tante, troppe anime che compongono un corpo in cui ogni
arto vive di vita propria, sembra di assistere ad una ricollocazione
trasversale in cui però, per maggiore fragilità interna, poco contano le
culture politiche di provenienza e molto più le ambizioni personali.
L’irruenza del sindaco di Firenze così come le uscite dei Parisi, dei
Fioroni, dei Veltroni ne sono segnale inquietante. Poca pace sembra
trovarsi anche nell’IdV dove lo stesso ruolo di Di Pietro è messa in
discussione. Si creano vuoti in politica che vanno rapidamente riempiti e
non certo abbandonati alle tecnocrazie padronali. Una sinistra di
alternativa potrebbe tentare di farlo e sarebbe questo il momento giusto
per creare polarità attrattive non riconducibili alle ricette dei
politicismi attorno a cui ruotano tutti coloro che si apprestano a
riciclare la propria immagine e il proprio profilo. Se ci si fa infatti
caso, i soggetti finora menzionati sono accomunati da una sola e comune
costante. Potranno cambiare ruolo e colore, costruirsi un nuovo simbolo o
confluire in un altro contenitore, utilizzare all’infinito la parola
nuovo per riproporre però ricette vecchie e stantie. Quelle che hanno
portato il Paese e il continente intero alla catastrofe sociale,
economica e politica. C’è necessità di alternative prospettive di
sistema, di un paradigma radicalmente nuovo e inconciliabile con la
compatibilità europea altrimenti si rischia di scorgere il ritorno del
gattopardo: “Bisogna che tutto cambi perché non cambi nulla”
Stefano Galieni, www.controlacrisi.org
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