Circa 150 parlamentari del PdL hanno raggiunto
quest’oggi in corteo il Palazzo di Giustizia di Milano.
Sono entrati in corteo nell’edificio – modalità preclusa a tutti gli altri soggetti sociali - e si sono fermati davanti all'aula dove è in corso il processo contro Berlusconi per la vicenda Ruby. Il processo per sfruttamento della prostituzione – che coinvolge inoltre una minorenne – oggi era sospesa perché era in corso la visita fiscale a Berlusconi ricoverato all’ospedale San Raffaele, cosa questa che è stata usata come legittimo impedimento alla presenza in aula dell’imputato principale. Il segretario del Pdl Alfano parlando con i giornalisti, Alfano ha affermato: "Noi abbiamo un interlocutore di cui ci fidiamo, è il Presidente della Repubblica e del Csm. A Napolitano affidiamo la nostra preoccupazione per questa emergenza democratica".
"Abbiamo grande rispetto per il presidente della Repubblica - ha aggiunto il segretario del Pdl - e siamo dispiaciuti perché non volevamo esser qui, poi la situazione si è aggravata viste le notizie di stamani".
Secondo Alfano, si sono verificati tre fatti "scandalosi": il mancato riconoscimento del legittimo impedimento per Ghedini e Longo impegnati nella riunione dei gruppi parlamentari, la visita fiscale per Berlusconi e la richiesta di giudizio immediato da parte della procura di Napoli per l'ex premier, nonostante questi avesse dato la "propria disponibilità a presentarsi dal 15 marzo in poi in qualsiasi momento".
Ma non è stata questa, oggi, l’unica iniziativa di delegittimazione aperta di uno dei poteri dello Stato: quello giudiziario. Infatti la riunione dei parlamentari del Pdl tenutasi in mattinata, prima del blitz al tribunale di Milano, aveva lanciato un messaggio anche verso il potere legislativo ossia il Parlamento. "Valutiamo di non partecipare alle prime sedute del Parlamento perché quello che sta accadendo è contro i principi della democrazia e delle istituzioni repubblicane che il Pdl ha sempre rispettato" ha detto il segretario del Pdl, Angelino Alfano, durante la riunione dei parlamentari, aggiungendo che il partito sta anche riflettendo sull'opportunità che questa eventuale scelta venga riferita domani anche al presidente della Repubblica.
La proposta richiama quella di un "Aventino al contrario”, in questo caso del centrodestra. Esattamente l’opposto di quanto accadde nel 1924, quando dopo il delitto Matteotti i parlamentari antifascisti decisero di astenersi dai lavori parlamentari, riunendosi sul colle romano. La proposta è stata accolta con un applauso, mentre alcuni come l'ex ministro Sacconi si sono dissociati.
«La fase attuale della lotta di classe in Italia è la fase che precede: o la conquista del potere politico da parte del proletariato rivoluzionario per il passaggio a nuovi modi di produzione e di distribuzione che permettano una ripresa della produttività; o una tremenda reazione da parte della classe proprietaria e della casta governativa. Nessuna violenza sarà trascurata per soggiogare il proletariato industriale e agricolo a un lavoro servile: si cercherà di spezzare inesorabilmente gli organismi di lotta politica della classe operaia (Partito socialista) e di incorporare gli organismi di resistenza economica (i sindacati e le cooperative) negli ingranaggi dello Stato borghese»[1].
Per Gramsci è chiaro sin da subito che, nel disastro economico, sociale e morale prodotto dalla guerra, i rischi maggiori di sovversivismo reazionario vengono anzitutto dai ceti medi e, semmai, dal possibile saldarsi tra gli interessi di questi con quelli di un grande capitale in profonda crisi.
L'avvertenza è dunque chiara: non si tratta di "snobbare" gli eventi (deprimenti, certamente) della politica di palazzo, ma di individuare i passaggi che segnano cambiamenti qualitativi nel rapporto tra alcune figure sociali (con le loro rappreserntanze parlamentari) e lo Stato. Episodi come quello di ieri chiariscon meglio di qualsiasi analisi che una parte importante delle classi dominanti in Italia non ha più alcun "senso dello stato"; anzi, lo vede come uno strumento che o è in loro mano oppure è in mano "nemiche", di altre figure sociali. E' l'avanzare di una logica da "guerra civile", non di dialettica democratico-parlamentare.
Non esiste più, dentro questa logica, uno spazio "terzo" in cui avviene la mediazione politica tra maggioranza e opposizione dentro istituzioni riconosciute formalmente neutrali (la magistratura innanzitutto). Si tratta di settori che hanno tratto il loro potere dall'occupazione di alcuni snodi fondamentali nella distribuzione delle risorse o dalla lassità delle normali "regole di mercato" (anche fiscali, si pensi alla "libertà di evasione" di cui hanno goduto molte figure produttive e soprattutto non). E che ora vedono con terrore l'imporsi di un "ordine europeo" che - inevitabilmente - distrugge il loro habitat naturale.
Sono quindi figure portate alla "reazione" e che possono, all'occorrenza, vestire panni o retoriche "antieuropeiste", ma per obiettivi esattamente opposti a quelli per cui i comunisti e la classe si battono.
Sono entrati in corteo nell’edificio – modalità preclusa a tutti gli altri soggetti sociali - e si sono fermati davanti all'aula dove è in corso il processo contro Berlusconi per la vicenda Ruby. Il processo per sfruttamento della prostituzione – che coinvolge inoltre una minorenne – oggi era sospesa perché era in corso la visita fiscale a Berlusconi ricoverato all’ospedale San Raffaele, cosa questa che è stata usata come legittimo impedimento alla presenza in aula dell’imputato principale. Il segretario del Pdl Alfano parlando con i giornalisti, Alfano ha affermato: "Noi abbiamo un interlocutore di cui ci fidiamo, è il Presidente della Repubblica e del Csm. A Napolitano affidiamo la nostra preoccupazione per questa emergenza democratica".
"Abbiamo grande rispetto per il presidente della Repubblica - ha aggiunto il segretario del Pdl - e siamo dispiaciuti perché non volevamo esser qui, poi la situazione si è aggravata viste le notizie di stamani".
Secondo Alfano, si sono verificati tre fatti "scandalosi": il mancato riconoscimento del legittimo impedimento per Ghedini e Longo impegnati nella riunione dei gruppi parlamentari, la visita fiscale per Berlusconi e la richiesta di giudizio immediato da parte della procura di Napoli per l'ex premier, nonostante questi avesse dato la "propria disponibilità a presentarsi dal 15 marzo in poi in qualsiasi momento".
Ma non è stata questa, oggi, l’unica iniziativa di delegittimazione aperta di uno dei poteri dello Stato: quello giudiziario. Infatti la riunione dei parlamentari del Pdl tenutasi in mattinata, prima del blitz al tribunale di Milano, aveva lanciato un messaggio anche verso il potere legislativo ossia il Parlamento. "Valutiamo di non partecipare alle prime sedute del Parlamento perché quello che sta accadendo è contro i principi della democrazia e delle istituzioni repubblicane che il Pdl ha sempre rispettato" ha detto il segretario del Pdl, Angelino Alfano, durante la riunione dei parlamentari, aggiungendo che il partito sta anche riflettendo sull'opportunità che questa eventuale scelta venga riferita domani anche al presidente della Repubblica.
La proposta richiama quella di un "Aventino al contrario”, in questo caso del centrodestra. Esattamente l’opposto di quanto accadde nel 1924, quando dopo il delitto Matteotti i parlamentari antifascisti decisero di astenersi dai lavori parlamentari, riunendosi sul colle romano. La proposta è stata accolta con un applauso, mentre alcuni come l'ex ministro Sacconi si sono dissociati.
«La fase attuale della lotta di classe in Italia è la fase che precede: o la conquista del potere politico da parte del proletariato rivoluzionario per il passaggio a nuovi modi di produzione e di distribuzione che permettano una ripresa della produttività; o una tremenda reazione da parte della classe proprietaria e della casta governativa. Nessuna violenza sarà trascurata per soggiogare il proletariato industriale e agricolo a un lavoro servile: si cercherà di spezzare inesorabilmente gli organismi di lotta politica della classe operaia (Partito socialista) e di incorporare gli organismi di resistenza economica (i sindacati e le cooperative) negli ingranaggi dello Stato borghese»[1].
Per Gramsci è chiaro sin da subito che, nel disastro economico, sociale e morale prodotto dalla guerra, i rischi maggiori di sovversivismo reazionario vengono anzitutto dai ceti medi e, semmai, dal possibile saldarsi tra gli interessi di questi con quelli di un grande capitale in profonda crisi.
L'avvertenza è dunque chiara: non si tratta di "snobbare" gli eventi (deprimenti, certamente) della politica di palazzo, ma di individuare i passaggi che segnano cambiamenti qualitativi nel rapporto tra alcune figure sociali (con le loro rappreserntanze parlamentari) e lo Stato. Episodi come quello di ieri chiariscon meglio di qualsiasi analisi che una parte importante delle classi dominanti in Italia non ha più alcun "senso dello stato"; anzi, lo vede come uno strumento che o è in loro mano oppure è in mano "nemiche", di altre figure sociali. E' l'avanzare di una logica da "guerra civile", non di dialettica democratico-parlamentare.
Non esiste più, dentro questa logica, uno spazio "terzo" in cui avviene la mediazione politica tra maggioranza e opposizione dentro istituzioni riconosciute formalmente neutrali (la magistratura innanzitutto). Si tratta di settori che hanno tratto il loro potere dall'occupazione di alcuni snodi fondamentali nella distribuzione delle risorse o dalla lassità delle normali "regole di mercato" (anche fiscali, si pensi alla "libertà di evasione" di cui hanno goduto molte figure produttive e soprattutto non). E che ora vedono con terrore l'imporsi di un "ordine europeo" che - inevitabilmente - distrugge il loro habitat naturale.
Sono quindi figure portate alla "reazione" e che possono, all'occorrenza, vestire panni o retoriche "antieuropeiste", ma per obiettivi esattamente opposti a quelli per cui i comunisti e la classe si battono.
[1] Per un rinnovamento del Partito socialista, «l'Ordine Nuovo», anno II, n. 1, 8 maggio 1920, cit. pag. 510
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