Il caso Snowden sta assumendo proporzioni enormi, coinvolgendo aspetti politici, diplomatici e militari di gravità tale da configurare gli schieramenti di una nuova, possibile guerra fredda che, in questo caso, non metterebbe di fronte due superpotenze bensì il Nord e il Sud del mondo: da una parte Stati Uniti ed Europa, dall’altra l’America Latina indirettamente spalleggiata da Cina e Russia.
Caso vuole che mi sia trovato a seguire la vicenda da un punto di osservazione privilegiato: mi trovo, infatti, a Quito, dove ho appena finito di partecipare a un seminario dell’Università Flacso. Ebbene, il clima che si respira qui dopo l’incredibile vicenda del dirottamento/sequestro dell’aereo del presidente Boliviano Morales, costretto ad atterrare a Vienna a causa del rifiuto di Italia, Spagna, Francia e Portogallo di consentire il sorvolo dei propri territori a causa del “sospetto” (rivelatosi infondato) che a bordo si trovasse l’ex consulente della NSA Edward Snowden, “colpevole” di avere rivelato l’esistenza di un poderoso sistema di spionaggio americano ai danni dei cittadini di vari Paesi (Stati Uniti compresi), può essere definito solo come un miscuglio, di incredulità, rabbia e indignazione.
I fatti del resto, appaiono letteralmente stupefacenti: violando l’articolo 40 della Convenzione di Vienna, il quale stabilisce che i rappresentanti di uno Stato che attraversano i territori di altri Stati godano dell’indennità diplomatica, e che debba essere loro agevolato il transito sia in andata che in ritorno, Italia, Spagna, Portogallo e Francia hanno vietato all’aereo presidenziale boliviano di sorvolare i propri territori; in questo modo è stata messa a rischio l’incolumità stessa del presidente e dell’equipaggio (l’aereo aveva scorte di carburante limitate); dopodiché l’aereo, costretto a un atterraggio di emergenza a Vienna, è ivi rimasto per ben 14 ore, mentre funzionari austriaci pretendevano di perquisirlo, allo scopo di appurare l’eventuale presenza di Snowden a bordo. Morales si è rifiutato di accordare il permesso in quanto ciò violava le norme internazionali, ma è stato comunque costretto ad accettare l’umiliazione del fatto che gli agenti austriaci si avvicinassero al portello per spiare all’interno.
Come sopra anticipato, la reazione di tutti i Paesi latinoamericani è stata durissima. Il Governo boliviano ha convocato d’urgenza gli ambasciatori dei Paesi europei coinvolti per chiedere spiegazioni in merito al loro inqualificabile comportamento. La Unasur (Union de Naciones Suramericanas) ha indetto una riunione straordinaria per esaminare il caso, mentre la OEA (Organizacion de Estados Americanos) ha chiesto a sua volta spiegazioni. Il presidente ecuadoriano Correa, sollecitando la riunione dell’Unasur ha dichiarato: “o regrediamo allo stato di colonie o rivendichiamo la nostra indipendenza, sovranità e dignità. Siamo tutti boliviani!”. Galo Mora, segretario del partito di Correa Alianza Pais, ha usato toni ancora più duri: “i Paesi europei che avrebbero dovuto denunciare le azioni di spionaggio degli Usa, di cui sono a loro volta vittime, hanno viceversa tenuto un atteggiamento servile verso l’impero”, per poi aggiungere che sembra di essere tornati ai tempi di Franco, Mussolini, Salazar e del regime di Vichy.
Prese di posizione indignate arrivano anche dai governi di Venezuela, Argentina, Uruguay e altri Paesi latino americani. E da noi? Forse perché mi trovo a migliaia di chilometri di distanza (ma con la Rete ci si può ugualmente informare), ho la sensazione che si stia facendo di tutto per nascondere all’opinione pubblica la gravità di questo episodio, al quale i media stanno dedicando uno spazio assai inferiore a quello che meriterebbe (come del resto hanno fatto per tutto quanto riguarda il caso Snowden).
Si tratta di un episodio di incredibile arroganza neocoloniale (vi immaginate che cosa si sarebbe scritto se qualche paese dell’America Latina avesse negato a un aereo presidenziale americano o europeo il permesso di sorvolare il proprio territorio?), rispetto al quale gli Stati Uniti hanno rispolverato tutta la loro grinta imperiale, mentre gli europei hanno agito da lacché (senza distinzione fra governi di destra, sinistra e grandi colazioni “tecniche”). Un servilismo che, nel caso dell’Italia, appare ulteriormente aggravato dalle voci di una compartecipazione del nostro Paese alla raccolta di dati nell’ambito del sistema americano di spionaggio denominato PRISM.
L’Europa, sempre più ridotta al ruolo di provincia marginale dell’impero a stelle e strisce, sembra del tutto incapace di ritagliarsi un ruolo autonomo nei conflitti che oppongono il Moloch nordamericano alle potenze politiche ed economiche emergenti, dai colossi asiatici all’America Latina.
Come intellettuali possiamo ancora girare il mondo per intrattenere le giovani platee degli altri continenti con i nostri discorsi (come facevano i greci dopo la conquista romana), ma se ci chiedono quale sarà il nostro ruolo nel nuovo mondo che sta sorgendo fra convulsioni e conflitti di ogni genere, oggi come oggi possiamo solo rispondere: chiedetelo ai nostri padroni americani.
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