Questo testo
è stato pubblicato oggi sull’Unità e contiene gli argomenti che avrei voluto
portare al dibattito del Gruppo dei senatori. Mi ero iscritto a parlare, ma la
discussione è stata troncata prima che arrivasse il mio turno. Rimane perciò
una dichiarazione non pronunciata di non voto contro le mozioni di sfiducia ad
Alfano – una contorta serie di negazioni che tuttavia spero possano portare a
qualcosa di positivo.
Siamo il
primo partito della coalizione, ma abbiamo scarsa consapevolezza della forza e
del ruolo che ci competono. Altrimenti avremmo ottenuto la revoca della delega
al Ministro dell’Interno. La sua rinuncia avrebbe rafforzato il governo, mentre
la sua permanenza nell’incarico sarà fonte di instabilità, di ricatti e di
ulteriori passaggi traumatici. È uno dei più gravi episodi della storia
repubblicana. Mai si erano intrecciate in un solo episodio tante cattive
notizie: uno smacco all’immagine internazionale, proprio su quella garanzia dei
diritti umani che dovrebbe essere sacra in democrazia; evidenti bugie
raccontate con iattanza da un ministro al Parlamento; il meschino tentativo di
un politico di salvare se stesso incolpando le forze dell’ordine. Avremmo
dovuto chiedere la revoca della delega prima che il ministro venisse in
Parlamento, senza lasciare la decisione al buon cuore dell’interessato e del
suo partito.
Per
raggiungere l’obiettivo ci voleva la compattezza della nostra “delegazione
trattante”. Si tratta di una decina di persone, ai massimi livelli di partito e
di governo, che stimo a livello individuale, ma che come collettivo non
funzionano a dovere. La destra è guidata da giocatori d’azzardo che a ogni
mossa rischiano il banco e alla fine portano a casa il risultato. I “nostri”
invece perdono perché hanno paura di rischiare. Ma – come dice il poeta – “là
dove c’è il rischio, cresce anche ciò che salva”. Bisognerebbe stare in
coalizione ma essendo pronti a uscirne. Anche se non accadesse mai, la forza
contrattuale aumenterebbe. Purtroppo non ne siamo capaci.
È merito dei
nostri gruppi l’aver impedito una sospensione di tre giorni dei lavori
parlamentari, ma il PD non deve farsi mettere con le spalle al muro. Deve saper
trattare con l’alleato, per impedire ad esempio che Brunetta pronunci in Parlamento
quelle parole inaudite. Siamo impegnati a risolvere la questione IMU
salvaguardando i redditi bassi, facendo pagare i ceti più agiati, ma non si
capisce perché il problema non sia stato risolto nelle trattative per la
formazione del governo, risparmiandoci mesi di incertezza nella politica
economica. Abbiamo ottenuto che si possa discutere del Porcellum in Parlamento,
ma sbagliando nel concedere alla destra di discutere della legge elettorale
solo all’interno della revisione costituzionale. Sono errori tattici, provocati
dalla smania di inseguire il PDL.
Non abbiamo
mai imposto una nostra priorità. Possibile che il PD non abbia la forza di
mettere sul tavolo un’organica proposta per creare lavoro e per affrontare
credibilmente i vincoli di bilancio? La destra, a modo suo, gridando contro la
Germania e contro l’Imu, si fa capire dal suo elettorato. L’agenda è in mano a
Berlusconi che decide non solo gli argomenti, ma anche la durata del governo,
come ha già fatto con Monti.
La
subalternità non solo non pone problemi all’alleato, ma li scarica sulla vita
interna, provocando discussioni tra noi. Francamente non accetto i comizietti
sulla disciplina da parte di ministri che non hanno saputo convincere Alfano a
lasciare. Il malessere del Pd non dipende dai dissensi, ma dall’inadeguatezza
di chi dovrebbe rappresentarci.
Trasformare
impropriamente la vicenda di un ministro poco responsabile in un voto di
fiducia all’intero esecutivo è un altro errore politico e istituzionale, forse
più grave dei precedenti. Non si può accettare. Mi sono quindi assentato dalla
votazione, per non smentire la decisione del Gruppo.
Non dipende
tutto dai difetti dei singoli, c’è una causa politica. Non ci siamo mai ripresi
dalla vicenda del Quirinale, che pesa come un incubo non rielaborato e toglie
lucidità politica. Ai vertici del governo e del partito aleggia lo spirito dei
101, i quali – ormai è chiaro – non erano certo parlamentari scavezzacolli, ma
una parte politica che ha lucidamente ribaltato la proposta presentata a milioni
di elettori. Quella scelta conteneva già la subalternità verso il PDL. Ciò che
è venuto dopo ne è stata solo la conferma.
Il Pd in
questo momento manca di direzione politica. Nei prossimi mesi saremo chiamati a
passaggi difficili e non possiamo aspettare che il congresso risolva la
leadership. Un partito ha bisogno di un gruppo dirigente, non di una
“delegazione trattante” – la quale anzi va contenuta e messa in condizione di
non nuocere affiancandole un Consiglio Strategico che elabori proposte per una condotta
politica più intelligente. Dovrebbe essere costituito, in via transitoria fino
al congresso, da iscritti non coinvolti nel congresso e non annebbiati dalle
gestioni passate, da nostre personalità con ampio consenso tra i militanti e
gli elettori, dagli esponenti di quel Pd che vince sul territorio, come nelle
ultime amministrative.
Potrebbe essere un’occasione per portare aria fresca e spirito vincente.P.S. – Mi ha molto ferito la dichiarazione di Epifani, che ieri ha sostenuto di fronte alle telecamere che io non avrei avvertito il capogruppo della mia decisione. Si tratta di una falsità; ho riferito per tempo a Zanda le mie intenzioni.
Potrebbe essere un’occasione per portare aria fresca e spirito vincente.P.S. – Mi ha molto ferito la dichiarazione di Epifani, che ieri ha sostenuto di fronte alle telecamere che io non avrei avvertito il capogruppo della mia decisione. Si tratta di una falsità; ho riferito per tempo a Zanda le mie intenzioni.
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