Tra i molti danni inflitti da Silvio Berlusconi c’è quello di aver costretto milioni di italiani a occuparsi delle sue vicende, incluso l’epilogo di queste ore, invece che di problemi più seri. Mentre noi siamo concentrati sulla corte di Cassazione, l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne si permette di dire che in Italia le “condizioni industriali rimangono impossibili”.
Colpa della Costituzione, come ormai è chiaro dopo la sentenza della
Consulta che ha censurato il modo in cui il numero uno del Lingotto ha
tenuto fuori dagli stabilimenti il sindacato della Fiom.
La banca americana JP Morgan ha sostenuto una tesi che il manager sta applicando con metodo: la crisi
nei Paesi mediterranei è colpa di Costituzioni scritte dopo dittature,
sotto l’influenza della sinistra che è riuscita a garantire fastidiosi diritti che ora bloccano la nostra competitività. E quindi ora l’incostituzionale Marchionne minaccia di spostare la produzione dell’Alfa Romeo all’estero. Nella moda i grandi gruppi pagano miliardi per comprare marchi simbolo dell’italianità, l’ultimo è Loro Piana andato a Lvmh.
Si svenano per acquistare il pacchetto completo, il brand, i valori che
ci sono dietro, la storia, il fascino. E niente rappresenta meglio la
tradizione e le ambizioni dell’Italia che l’Alfa: connubio di meccanica e
stile, tecnologia e arte.
Quel genio di Marchionne prima si rifiuta di vendere il marchio alla Volkswagen,
che lo avrebbe coccolato come sta facendo l’Audi con la Ducati, poi lo
svilisce, spiegando che un’Alfa si può fare ovunque, non solo in Italia.
E per dimostrarlo si è già alleato con la giapponese Mazda per
costruire il nuovo Duetto Alfa nell’ultimo luogo al mondo da cui può
uscire un’auto che ambisce a evocare fascino, sport e dinamismo:
Hiroshima. Ancora qualche anno di cura Marchionne i marchi Fiat saranno
sviliti a tal punto che i concorrenti non li vorranno neppure in regalo.
E l’Italia avrà perso un altro pezzo della sua storia. E del suo
futuro.
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