Come due plantageneti in guerra per
difendere terre e prerogative dinastiche hanno variamente occupato
l’etere prima di botti e tappi di spumante, esemplarmente remoti e
separati dai servi della gleba, dei quali hanno vaga contezza tramite
suppliche o racconti di poeti di corte.
Non occorre essere Laing o Cooper per
sapere che le famiglie possono essere camere a gas, contesti dove
maturano repressione e autoritarismo, dove circolano veleni tossici: ne
sanno qualcosa gli italiani i cui nuclei familiari vengono continuamente
richiamati a doveri e responsabilità, a sostituirsi allo stato sociale,
a riempire i vuoti lasciati da assistenza, istruzione, cura, a
impegnarsi in sacrifici obbligatori e dovuti, con un premier che si
autoproclama buon padre, occhiuto e scrupoloso e un nonno inamovibile,
irremovibile, e cocciuto, che decanta le edificanti virtù del martirio e
delle privazioni per lastricare la via del riscatto, lontano e non del
tutto meritato. O afflitti dall’altra “famiglia”, quella virtuale,
mobile e dai contorni immateriali indefiniti che dovrebbe coagularsi
intorno all’eterno e legittimo scontento, mobilitarsi non grazie alla
costruzione di un progetto, ma alla defenestrazione dell’antagonista,
ancorché desiderabile.
Fervorini o moniti, invettive o
deplorazioni (uno con la divisa dell’eterno grand’ufficiale, l’altro
informale con dietro un Garibaldi alla sua maniera) si rivolgevano a
queste indistinte realtà, famiglie sofferenti sia pure intorno al
panettone, largamente sconosciute ai declamatori, chi con voce arrochita
da qualche malanno stagionale, chi per l’uso di urlo, interpretate
mediante rilevazioni sugli accessi in rete o lettere edificanti, casi
umani degli di un reality di contenuto sociale, stereotipi mediatici di
sicura presa, testata da Gramellini o dallo Specchio dei Tempi: esodato,
ma carico di speranze e dinamiche aspettative, madre di famiglia
preoccupata, ma tenacemente democraticamente ottimista, giovane carino e
disoccupato, ma determinato a restare nel suo paese. Se chi sta peggio
ancora telefona alla Cancellieri, esistono evidentemente invece tipi
italiani che anziché scrivere al letterina a Babbo Natale, si rivolgono
al presidente, quello che tratta la crisi come se fosse un fenomeno
meteorologico, l’ultimo rimasto a essere davvero naturale e non prodotto
dalle intemperanze antropiche, che ha imposto governi sostitutivi di
una inadeguata politica, addirittura più incompetenti e ignavi, lo
stesso che grazie ai proconsoli persegue la strada dell’ubbidienza
all’imperialismo finanziario europeo, lo stesso che grazie al suo ruolo
di garante della Costituzione, si sente legittimato a abbatterne
principi e capisaldi a cominciare proprio dalle funzioni presidenziali e
dalla sovranità di Stato e popolo.
L’uno forte di sicurezze che si sono già
rivelate incerte e inique, effimere e perverse, l’altro dichiaratamente
debole per sua ammissione: “Io non ho le competenze per spiegarvi cosa
servirà, ma faremo le cose giuste”, più che pistolotti ci hanno rivolto
contro le pistole dell’inadeguatezza boriosa, dell’arroganza di chi
conserva come priorità la conservazione del suo ruolo e del suo “posto”.
Forse otterremo più ascolto e più risposte se l’anno prossimo ci rivolgeremo di nuovo a Babbo Natale.
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