Nichi Vendola ha usato un eufemismo: «È un congresso meno
attento alla ribalta mediatica». Ma le assise nazionali di Sinistra
ecologia e libertà, che si tengono a Riccione dal 24 al 26 gennaio,
stanno passando quasi inosservate nell’opinione pubblica. Sarà per
l’esito già stabilito (la rielezione di Vendola), sarà per l’apparente
mancanza di un oggetto della contesa (la mozione in discussione è una
sola, e ha un nome che non lascia molti margini alla discussione, “La
strada giusta”). Ma tant’è: pochi conoscono l’appuntamento, pochi ne
parlano al di fuori del cerchio stretto degli addetti ai lavori. E
nemmeno poi tanto apertamente.
Nel partito che si presenta unanime al meeting congressuale in realtà
le divisioni ci sono eccome: ma non si dicono. Schematicamente, le
linee di faglia sono (almeno) due. Quella di un mondo che ruota intorno a
Gennaro Migliore, il capogruppo alla camera, che punta a riprendere un
rapporto stretto con il Partito democratico guidato da Matteo Renzi e
considera il sostegno alla candidatura del socialista Martin Schulz alle
Europee «il giusto antidoto alle politiche di austerità della Merkel».
Mentre un altro pezzo del partito riconducibile alla figura di Nicola
Fratoianni ritiene necessaria la rivendicazione di una più forte
autonomia di Sel dal Pd ed è problematica sulla collocazione nella
famiglia socialista europea del gruppo, subendo il fascino
dell’esperienza radicale di Syriza in Grecia (il pezzo ecologista di
Sel, poi, si sente a disagio perché il suo punto di riferimento è quello
dei verdi).
Il fatto è che di queste differenti e legittime posizioni non c’è
nessuna traccia: nessuno le ha mai verbalizzate, scritte, rivendicate,
alimentando un dibattito interno. Tanto che all’ultima direzione del
partito, prima di Natale, alcuni dei presenti si sono sorpresi a vedere
improvvisamente accendersi una discussione di merito che sulla carta non
avrebbe mai dovuto tenersi, visto che tutti sostengono di fatto l’unico
documento presentato (l’unico distinguo è quello di due emendamenti).
«C’è una difficoltà a tenere una discussione aperta, è troppo grande
la paura di una frattura» dice a Europa Maria Luisa Boccia, presidente
dell’assemblea nazionale di Sel, femminista, la quale ricorda che il
partito viene da una storia di scissioni e che quell’incubo funziona
come un deterrente del confronto (benché lei avrebbe di gran lunga
preferito un «dibattito aperto, con il coinvolgimento dei soggetti più
vari»).
Il 2013 del resto è stato un anno difficile per Sel: le elezioni
perse, o comunque non vinte, con un risultato al di sotto delle
aspettative (il 3,2 per cento alla camera e il 3 al senato), più il
fallimento del rilancio di una sinistra di governo e l’allontanamento
dal Partito democratico. E il 2014 rischia di essere anche peggiore:
alle Europee di maggio c’è una soglia di sbarramento del 4 per cento, e
non è affatto detto che il partito di Vendola riesca a superarlo.
Dividersi sarebbe la fine. Ma nemmeno fingere l’unanimità aiuta. Senza
dialettica, un partito come può creare discussione, coinvolgimento e
interesse?
@nicolamirenzi, Europa
Nessun commento:
Posta un commento