domenica 7 agosto 2011

IL DECLINO DEGLI USA

«Gli stati succubi della finanza. Gli Usa? Verso il declino»

di Tonino Bucci, Liberazione del 07/08/2011

Intervista a Guido Viale

La tentazione di definirla un passaggio epocale è forte. La crisi finanziaria è arrivata ormai a travolgere anche gli stati, anche quelli che si ritenevano intoccabili. Persino gli Usa, per la prima volta nella storia, hanno subìto l'onta del declassamento da parte dell'agenzia di rating S&P. Nel mondo si accendono i contrasti tra governi. La Cina, principale creditore degli Usa, teme un deprezzamento delle sue riserve in dollari. Ne parliamo con Guido Viale, economista e saggista.

Non c'è più differenza tra stati forti e stati deboli. Tutti assoggettati alla finanza. Tutti dipendono, per il proprio debito pubblico, da investitori privati, banche e fondi. Non è così?

Esiste ancora la differenza tra stati forti e deboli. E' tutt'altro che scomparsa. La novità è che è aumentata la dipendenza di tutti gli stati - forti o deboli che siano - da quelli nel linguaggio giornalistico si chiamano i "mercati" e che, in realtà, sono i detentori del capitale finanziario. Sono le banche, gli hedge fund, le assicurazioni, i fondi pensioni e quelle aziende che investono liquidi nelle borse. Questa è la novità prodotta dalla liberalizzazione e deregolamentazione dei mercati dei capitali. Prima, ad eccezione degli Stati Uniti, la maggior parte dei buoni del tesoro e dei titoli di stato venivano venduti all'interno di ciascun paese ed erano detenuti, grosso modo, dai singoli risparmiatori. Oggi non è più così. Sono le banche che manovrano i soldi dei singoli risparmiatori privati.

Di quali strumenti possono disporre allora oggi gli stati per mettersi al riparo dalle speculazioni dei "mercati"? Nel caso dell'Ue i paesi membri non possono più ricorrere alla svalutazione e all'inflazione. Cosa rimane da fare?

L'euro ha privato gli stati membri di due strumenti di manovra economica, l'inflazione e la svalutazione, appunto, senza però trasferire quegli strumenti nelle mani di un altro organismo pubblico e di governo. Le redini della politica economica sono state consegnate nelle mani di investitori, speculatori e detentori di fondi. Non è così negli altri stati. Non a caso, il principale strumento di cui dispongono gli altri governi è il default. Non è vero che non si può fare. L'ha fatto con successo l'Islanda, per esempio, e si è ripresa in pieno. L'ha fatto anche l'Argentina. Se viene decisa e governata da un governo, quella del default è una strada percorribile. Lasci il cerino acceso in mano ai creditori e a quelli che hanno investito e speculato sulle risorse pubbliche.

Azzerare il debito per decreto?

Si può azzerare completamente o in parte o rateizzarlo nel tempo. Ma queste sono decisioni che i governi membri dell'Ue non possono prendere. Sarebbe una scelta totalmente estranea alla cultura dei nostri governanti, i quali non mettono neppure in discussione il primato che i detentori del capitale finanziario esercitano nei confronti delle politiche governative. Fanno a gara tra chi asseconda di più le richieste e i diktat dei capitali.
O la Banca centrale si decide ad acquistare i titoli degli stati in difficoltà oppure scarica l'onere dei debiti pubblici sui singoli governi imponendo tagli alla spesa sociale...

La seconda via non è percorribile. Se i paesi in difficoltà attuano politiche restrittive, non hanno nessuna possibilità di crescita economica, tale da mettere in pareggio i propri conti in un periodo ragionevole. Il caso della Grecia è sintomatico. L'ipotesi che l'economia italiana possa riprendere a crescere anche se sottoposta a una cura da cavallo, non regge. L'unica via d'uscita dal debito è la crescita. Altrimenti non resta che investire il governo europeo - al momento inesistente - di tutti gli strumenti della politica economica, cioè svalutazione e inflazione. Si dovrebbe però rinunciare al credo della Banca centrale europea - ispirata da quella tedesca - secondo cui unico compito esclusivo è quello di combattere l'inflazione. Altra idiozia è il progetto di inserire nella Costituzione italiana il vincolo al pareggio di bilancio. Sarebbe come buttare al macero tutta la cultura economica del '900, Keynes in prima fila. Il deficit di bilancio può essere uno strumento di governo in funzione anticiclica. Vietare per legge il keynesismo significherebbe tornare all'800. Un liberismo cieco e stupido.

La Cina, dopo il declassamento degli Usa, si è rivoltata. Essendo i loro principali creditori, i cinesi pretendono che gli americani mettano i loro conti a posto. La crisi rischia di scompigliare il mondo?

La Cina fa la stessa parte della Banca centrale europea. Siccome detiene gran parte del debito americano, esige che gli Usa applichino politiche restrittive. I cinesi temono l'inflazione della moneta statunitense perchè si deprezzerebbe le loro riserve di dollari. Chi ha il credito cerca di comandare sul debitore. Comandare sugli Usa è difficile, però la Cina ha i suoi numeri. E poi gli Usa sono un paese ormai deindustrializzato. Se non avranno più la possibilità di sostenere a credito le loro importazioni, la loro produzione in settori chiave potrebbe precipitare. A quel punto sarebbero costretti a importare e nel giro di qualche anno il loro livello attuale di consumi non sarebbe più sostenibile. Non dimentichiamo, infine, che dietro questa crisi c'è anche una crisi ambientale. La crescita, così come è concepita oggi, è insostenibile.

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