venerdì 12 agosto 2011

La disperazione del PD

di Andrea Fabozzi

su il manifesto del 12/08/2011

«Disperatamente». Ha usato questo avverbio Pierluigi Bersani, ieri, dovendo raccontare dello sforzo fatto dal Pd, in questi anni, per evitare al paese il tracollo di questi giorni. Comprendiamo la disperazione. Perché anche adesso che emergono cristalline le responsabilità di Berlusconi e l'incapacità del governo, il più grande partito dell'opposizione finisce ugualmente sul banco degli imputati. Per questo il segretario del Pd continua a scrivere lunghe lettere di precisazione ai giornali e non manca mai, anche intervenendo in parlamento, di polemizzare con «gli opinionisti». Comprendiamo anche che fare l'opposizione conciliandola con gli inviti alla concordia del presidente della Repubblica, il più autorevole tra i democratici, è un mestiere difficile. Ma non obbligato.
Il Pd ha favorito l'approvazione rapida della manovra finanziaria nella sua versione originaria presentata da Tremonti. L'ha fatto per convinzione e perché il capo dello stato aveva invitato a evitare ostruzionismi; ha votato contro ma non ha posto alcun ostacolo e in tre giorni la manovra è diventata legge. Una scelta che il partito rivendica ancora, evidenziando il proprio senso di responsabilità.
Quelle misure dovevano accontentare i mercati, invece li hanno scatenati. Perché la manovra non conteneva norme immediatamente efficaci ma tutte rinviate nel tempo. Dunque si poteva anche tenere ferma in parlamento e provare a modificarla. Senza danno, certo non con danni maggiori di quelli provocati dalla sua approvazione. Tant'è vero che adesso bisogna sia anticiparla che correggerla. Dunque sarebbe stato più «responsabile» cercare di intervenire prima, prendersi il tempo necessario, tentare di fermare il governo. Fare l'opposizione.
Esattamente un anno fa Tremonti era considerato da Bersani un buon candidato per guidare un governo diverso da quello Berlusconi, una soluzione per il Pd preferibile alle elezioni anticipate. Adesso Bersani considera Tremonti la causa principale del precipitare della crisi. Eppure gli va ancora dietro, quando accetta di discutere la riforma dell'articolo 81 della Costituzione. Il vincolo del pareggio di bilancio nella carta è una proposta che Tremonti ha abbracciato ma che è stata avanzata dal senatore Nicola Rossi, economista che dopo essere stato dalemiano, veltroniano e rutelliano si è anche dimesso dal senato ma è ancora lì. Il responsabile economico del Pd Fassina ha spiegato che rinunciare a priori alle politiche di bilancio è una scelta suicida, ma nel partito hanno prevalso i sostenitori della linea opposta (Veltroni) e Bersani se n'è fatto carico. Perché l'Europa lo chiede, anche se l'Europa non chiede affatto di cambiare la Costituzione. Bersani così pur di non fare la figura dell'antieuropeo, o peggio del conservatore, ha detto sì al vincolo del pareggio di bilancio purché sia una misura, un vincolo, «flessibile». Ma la Costituzione non è flessibile (e nemmeno la proposta Rossi lo è).
Allo stesso modo, per sfuggire all'accusa di difendere la casta e affacciarsi invece nella prima linea dei moralizzatori, i democratici hanno annunciato una nuova proposta di legge costituzionale per dimezzare i parlamentari. Ne avevano una vecchia per ridurre di un quarto o di un terzo deputati e senatori, ma quella era inserita all'interno di un'articolata riforma istituzionale. Adesso invece, per cogliere l'attimo, la proposta più scenografica è stata stralciata. E anticipata. Ragione per cui ecco il Pd proporre di tagliare a metà i rappresentanti del popolo, al più presto, in maniera del tutto scollegata da una riforma dei poteri del governo, dei compiti del parlamento e persino da una legge elettorale, anche da quella depositata quindici giorni fa dal partito, primo firmatario Bersani.

A che è servito, allora, criticare le riforme estemporanee del centrodestra, difendere il carattere organico della Costituzione? Probabilmente a preparare nuove «disperazioni».

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