mercoledì 17 agosto 2011

INSIDE JOB - Non è questione di milioni, nè di miliardi

INSIDE JOB

Non è una questione di milioni, né di miliardi

di Roberta Ronconi, Liberazione


Non è una questione di milioni, né di miliardi. Ma di migliaia di miliardi. Per la precisione, 20 mila miliardi di dollari, milioncino più o meno. E' il costo complessivo della crisi finanziaria che nel 2008 ha spezzato le gambe agli Usa (e a cascata a Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Islanda), quella più facilmente conosciuta attraverso la bancarotta della più grande società di trading finanziario del mondo: la Lehman Brothers.
Per i molti esseri comuni per i quali la finanza è "roba da ricchi" e solo a loro comprensibile - derivates, subprimes, credit swaps, ratings, bonds, futures, bubbles - vale decisamente la pena rifarsi gli occhi e il cervello con Inside Job (termine traducibile in italiano con "Le mani in pasta"), premio Oscar 2011 per il miglior documentario. Con un po' di pazienza e di volontà, aiutati dal ritmo stringente da film dell'orrore (definizione di Thierry Fremaux, direttore del festival di Cannes) non sarà poi così difficile capire come quei miliardi entrati in alcune tasche abbiano causato la distruzione di milioni di posti di lavoro, la scomparsa di prospettive per un paio di generazioni, la disfatta totale di un sistema e una crisi sociale, politica ed economica che stiamo pagando ancora di più oggi e peggio ancora domani.
Il regista di Inside Job Charles Ferguson non si accontenta di sparare numeri e prospettive catastrofiste. No, da buon ex consulente finanziario va a scovare i "cattivi" che hanno tutti un nome, un cognome e soprattutto una bella posizione nel governo americano. Alan Greenspan, presidente della Fed (la Banca centrale americana) scelto da Ronald Reagan e poi confermato da George Bush senior, Bush jr e persino da Bill Clinton; Ben Bernanke, presidente della Fed scelto da George Bush figlio, confermato da Barack Obama; Larry Summers, ex segretario al tesoro di Clinton, direttore del Consiglio Economico di Obama; Tim Geithner, segretario al Tesoro di Obama. Nomi di prima fila dei governi repubblicani e democratici americani, colpevoli non tanto di essersi intascati i soldi (a quello hanno pensato i finanzieri, i banchieri e gli sciacalli di tutta Wall Street. Al loro confronto Ghekko è un benefattore), quanto di aver fatto in modo che questo potesse avvenire senza che nessuna legge impedisse, con una ferrea regolamentazione, di creare ricchezza con soldi inesistenti. Mentre i trader delle banche e delle finanziarie intascavano centinaia di milioni di dollari ciascuno in pochi giorni, il mondo crollava davanti ai loro occhi, milioni di persone uscivano dalle proprie case non potendo più pagare i mutui e i posteggi si riempivano di roulottes affittate dall'ex classe media americana.
Con l'aiuto di econimisti e studiosi del settore del calibro di Paul Volcker, Christine Lagarde, Nouriel Roubini, George Soros, Eliot Spitze e la voce narrante di Matt Damon, in due ore e passa di lavoro Charles Ferguson spiega come si è accorciato il futuro del pianeta e perché.
Già, perché? Niente di particolare, in realtà. Si tratta semplicemente di un sistema, quello capitalistico, che ha al suo interno il verme bacato (la ricchezza dell'individuo come bene primo, non il benessere della collettività) e che si lascia facilmente ingannare da una manciata di predatori che amano spendere miliardi in cocaina, prostitute e beni di lusso. Sempre di più, e soprattutto sempre più degli altri. Tutto qui.
Ritirando l'Oscar, Charles Ferguson ha dichiarato: «Perdonatemi, devo iniziare ricordando che tre anni dopo aver gettato il mondo intero in una spaventosa crisi economica, non un solo banchiere è stato incriminato»

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