Giorni fa, mentre ero ai giochi nel parco di piazza Vittorio con mio figlio, avevo ricevuto la telefonata di una signora iraconda: “Sono Susanna Camusso!“. Avevo appena fatto in tempo a rispondere “Buongiorno”, che lei mi aveva investito come un fiume in piena: “Quand’é che lei la finisce di scrivere falsità su di me?”. Avevo in realtà scritto due articoli sul cosiddetto “accordo del 28 giugno” che, per uscire dalle solite fumisterie del sindacalese, e per renderne più comprensibile il senso, ho ribattezzato “porcellum sindacale“. Aveva ragione ad arrabbiarsi con me, la Camusso. In base a quel patto, infatti, in una fabbrica basta mettere insieme il cinquanta per cento dei delegati sindacali per non dover sottoporre al voto dei lavoratori qualsiasi accordo si sottoscriva. Un bel passo verso la democrazia diretta, non c’è che dire, tanto per far capire in che direzione voleva andare la burocratja sindacale, dopo la vittoria partecipativa dei referendum sull’acqua e sul nucleare. A quell’articolo, e a tante altre critiche, la Camusso aveva risposto con una intervista (in ostrogoto) al nostro Stefano Feltri. Un complicato e contorto ragionamento, come sempre quando c’é di mezzo il sindacalese, in cui la segretaria della Cgil (é una mia sintesi arbitraria, chi vuole se lo vada a leggere) diceva che il sindacato non deve cedere al plebiscitarismo, e che il sindacalismo é “delega”. Ovvero: tu mi deleghi la tua rappresentanza, e io tratto per te. I sindacati di oggi, abituati a trattare male o malissimo, si sono convinti – con l’eccezione solare della Fiom – che meno si permette alla gente di giudicare i pasticci che fanno, e meglio é. Da questo spirito sono nati contratti para-schiavili, come quello del commercio, o vessatori contro i giovani, come quello del giornalismo, o più limpidamente padronali, come quelli che Cisl e Uil hanno firmato, fregandosene della loro base, alla Fiat. Il secondo articolo che faceva incazzare la Camusso spiegava il metodo con cui la segreteria della Cgil si preparava a controllare la consultazione sull’accordo. Giá, perché in questi tristi anni i sindacati si sono specializzati nel pompierare i dissensi spiacevoli per i vertici, nel taroccare i voti sgraditi. Ed ecco cosa succede: circolari interne prescrivono come silenziare il voto dei non iscritti (voluto dalla Fiom), inseriscono nel voto categorie che con l’industria non c’entrano nulla (come gli edili), si prescrive che non possa essere illustrato in assemblea nessun altro documento se non quello della segreteria (cioè quello della Camusso!), fa sì che non si voti in modo segreto (come fa la Fiom nelle sue fabbriche), e addirittura per alzata di mano. Poiché avevo scritto queste cose, con la brutalità che i giornalisti di settore non usano mai, si incazzava con me, giustamente, la Camusso. Oggi, a quasi un mese da quella burrascosa telefonata, siamo in grado di capire di più. La mossa con cui la Camusso si illudeva di rompere l’accerchiamento e di rientrare nel grande gioco (chissà perché i sindacalisti coltivano queste ambizioni, rispetto al sacro dovere di rappresentare i loro iscritti) si é rivelata un regalo insperato a Berlusconi, Sacconi e Brunetta. Con le norme inserite nella finanziaria, infatti, con un accordo aziendale si può negoziare qualsiasi diritto, derogare (cioè cancellare) lo statuto dei lavoratori, rimuovere l’articolo 18 (che la Cgil di Cofferati aveva difeso con una trionfale battaglia di popolo). Ci volevano dei ministri socialisti, (e una segretaria socialista della Cgil!) per produrre questo capolavoro. La Camusso, io credo senza sapere fino in fondo quello che sarebbe accaduto, é entrata nel saloon dove c’era il pistolero prepotente, ha caricato il tamburo di una pistola, e gliela ha messo in mano, dicendo: “Però così esco dall’isolamento e rientro in gioco”. Il pistolero Sacconi, subito dopo, ha tirato il grilletto, e ha puntato la pistola alla tempie della Camusso: “Adesso, pupa, con questa pistola ti ordino di consegnarmi i tuoi diritti”. Come sarebbe bello se la Camusso ammettesse l’errore, scaricasse la pistola dell’accordo Porcellum, e uscisse dal saloon chiamando a raccolta il popolo degli indignados contro il pistolero prepotente. Se facesse così le perdonerei l’intervista in ostrogoto al nostro incolpevole Feltri, e persino quella telefonata al parco.
Luca Telese, Il Fatto quotidiano
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