sabato 20 agosto 2011

LE CONSEGUENZE NEL MONDO DEL DECLINO DEGLI U.S.A.- Immanuel Wallerstein

DI IMMANUEL WALLERSTEIN

Un decennio fa, quando io e altri parlavamo del declino statunitense del sistema-mondo, il massimo che abbiamo ottenuto è stato rivolgerci sorrisi per la nostra ingenuità. Gli Stati Uniti non erano l’unica superpotenza, presente in ogni remoto angolo del pianeta, e che fa a modo sua quasi sempre? Era un punto di vista condiviso da tutto il panorama politico.

Oggi l’idea che gli Stati Uniti siano in declino, in serio declino, è una banalità. Tutti lo dicono, a parte alcune politici statunitensi che hanno paura di venire messi all’indice se dovessero parlare di brutte notizie. Il fatto è che quasi tutti oggi credono nell’evidenza del declino.

Quello che è stato meno analizzato è quali sono state e quali saranno le conseguenze globali di questo declino. Che ha naturalmente radici economiche. Ma la perdita del quasi-monopolio del potere geopolitico, una volta esercitato dagli Stati Uniti, ha ovunque grandi conseguenze politiche.

Partiamo con un aneddoto riportato sulla sezione Business del New York Times il 7 agosto. Un gestore di fondi ad Atlanta "ha premuto il pulsante di allarme" per via di due clienti benestanti che lo hanno incaricato hanno detto di vendere tutte le loro azioni e di investire quei soldi in qualcosa di isolato dai fondi. Il gestore ha riferito che, in ventidue anni di carriera, non aveva mai ricevuto una richiesta simile. "Era una cosa senza precedenti." Il giornale lo ha definito l’equivalente per Wall Street di un’”opzione nucleare". Andava contro il consiglio tradizionale e indiscutibile di rimanere sulle proprie posizioni quando i mercati oscillano.

Standard & Poor's ha ridotto il rating creditizio degli Stati Uniti da AAA a AA+, anche questo "senza precedenti". Ma si è trattato di un’azione abbastanza dolce. L’agenzia equivalente cinese, Dagong, aveva già ridotto il valore del credito U.S. lo scorso novembre portandolo ad A+, e ora lo ha ridotto a A-. L’economista peruviano Oscar Ugarteche ha dichiarato che gli Stati Uniti sono una "repubblica delle banane". Ha detto che "hanno scelto la politica dello struzzo, sperando così di non scacciare via le speranze [di un recupero]." E la scorsa settimana a Lima i ministri delle Finanze delle nazioni del Sud America stavano discutendo urgentemente come meglio isolarsi dagli effetti del declino economico statunitense.

Il problema per tutti è che è davvero difficile isolarsi dagli effetti di questo declino. Malgrado la gravità del suo declino economico e politico, gli Stati Uniti rimangono un gigante della scena mondiale, e ogni cosa che vi accade provoca sempre grandi sconvolgimenti dappertutto.

Di sicuro il più grande impatto di questo processo è e avverrà negli Stati Uniti stessi. I politici e i giornalisti stanno parlando apertamente delle "anomalie” della situazione politica degli U.S. ma cosa potrebbe essere, oltre a essere anomala? Il fatto più elementare è che i cittadini statunitensi sono sconvolti dal solo fatto del declino. La cosa non si ferma al fatto che queste persone stiano soffrendo materialmente del declino e che abbiano una gran paura di una sofferenza ancora più acuta nel futuro. È che credono profondamente che gli Stati Uniti siano la "nazione eletta" designata da Dio o dalla storia per essere la nazione modello nel mondo. Sono stati di nuovo rassicurati dal Presidente Obama che gli Stati Uniti sono un paese da "tripla A".

Il problema per Obama e per tutti i politici è che sono davvero in pochi a crederlo. Lo shock che ha subito l’orgoglio nazionale e la propria autostima sono formidabili, oltre che improvvisi. Il paese riesce a far fronte molto male a questo colpo. La popolazione sta cercando capri espiatori e si scagliano selvaggiamente, e in modo non troppo brillante, ai partiti ritenuti colpevoli. L’ultima speranza sembra di attribuire la colpa a qualcuno, e che di conseguenza il rimedio è nel cambiare le persone al potere.

In generale le autorità federali sono considerate le uniche da incolpare, il presidente, il Congresso, i due maggiori partiti. La tendenza è di un aumento delle armi possedute a livello individuale e di tagli alle iniziative militari fuori dagli Stati Uniti. Dare tutta la responsabilità ai politici di Washington porta all’instabilità politica e alle lotte intestine locali, che sono ancora più violente. Gli Stati Uniti oggi sono, direi , una delle entità più instabili del panorama politico mondiale.

Questo li rende non solo un paese le cui lotte politiche sono anomale, ma che è anche incapace di avere un’influenza reale sulla scena mondiale. E quindi c’è un forte calo della fiducia riscossa dagli Stati Uniti, e nel suo presidente, sia nei tradizionali alleati statunitensi all’estero, che nella base politica del presidente all’interno. I giornali sono pieni di analisi sugli errori politici di Barack Obama. Chi lo può mettere in dubbio? Posso fare con facilità una lista di decine decisioni prese da Obama che, a mio parere, erano errate, vigliacche e qualche volta assolutamente immorali. Ma mi chiedo, nel caso in cui avesse preso le migliori decisioni possibili, se la sua base lo ritenesse nel giusto e se ci fossero state grosse differenze nei risultati ottenuti. Il declino degli Stati Uniti non è il risultato di cattive decisioni prese dal suo presidente, ma una realtà strutturale del sistema mondiale. Obama può ancora essere la persona più potente, ma nessun presidente degli Stati Uniti è o potrebbe essere oggi potente quanto lo erano i presidenti del passato.

Ci siamo spostati in un’epoca di fluttuazioni pesanti, costanti e rapide, nei tassi di cambio delle monete, nei livelli di occupazione, nelle alleanze geopolitiche, nelle definizioni ideologiche della situazione. Le dimensioni e la rapidità di queste fluttuazioni comportano l’impossibilità di previsioni a breve termine. E senza una qualche forma di stabilità nelle previsione a breve (tre anni, più o meno), l’economia mondiale è paralizzata. Tutti dovremo essere più protezionisti e guardarci più dentro casa. E i livelli di vita scenderanno. Non è un quadro felice. E anche se ci saranno molti, molti aspetti positivi per tante nazioni a causa del declino statunitense, non è certo che, nello scatenarsi della tempesta, le altre nazioni riusciranno effettivamente a ricavare profitto da questa nuova situazione.

È giunto il momento di più sobrie analisi a lungo termine, di giudizi moralmente più chiari su quello che le analisi rivelano, e un’azione politica molto più efficace per poter, nei prossimi 20 e 30 anni, creare un miglior sistema mondiale di quello in cui siamo imprigionati in questo momento.

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Fonte: The world consequences of U.S. decline

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