DI PASSO IN PASSO
Dallo sciopero
all'opposizione sociale
di Giorgio Cremaschi
Solo tre settimane fa la signora Emma Marcegaglia parlava come portavoce di tutte le parti sociali, compresa la Cgil. Ora questa stessa organizzazione proclama per il 6 settembre uno degli scioperi generali più veri e duri nella storia del Paese. Tra questi due fatti di segno diametralmente opposto non c'è solo di mezzo la manovra disastrosa del governo. La decisione della Cgil è il segno della crisi totale della concertazione, della complicità, della politica di patto sociale.
Dallo sciopero
all'opposizione sociale
di Giorgio Cremaschi
Solo tre settimane fa la signora Emma Marcegaglia parlava come portavoce di tutte le parti sociali, compresa la Cgil. Ora questa stessa organizzazione proclama per il 6 settembre uno degli scioperi generali più veri e duri nella storia del Paese. Tra questi due fatti di segno diametralmente opposto non c'è solo di mezzo la manovra disastrosa del governo. La decisione della Cgil è il segno della crisi totale della concertazione, della complicità, della politica di patto sociale.
Nonostante le affermazioni del presidente della Repubblica, che ha scelto comunque una delle platee più faziose, quella di Comunione e Liberazione, per esternare il suo appello alla coesione nazionale, l'Italia oggi ha bisogno prima di tutto di un vero conflitto sociale.
La manovra economica unisce le rappresaglie contro il lavoro di un governo che oramai ha concluso la sua storia politica, con il disegno dei poteri forti dell'economia, in Italia e in Europa, di uscire dalla crisi con una radicalizzazione a destra del sistema economico sociale. E' inutile nasconderlo o far finta che non sia così. In queste settimane abbiamo assistito a un confronto surreale ove l'opposizione sembrava volere prima di tutto il taglio delle pensioni mentre la maggioranza invece preferiva l'aumento delle tasse per gli stipendi più alti. Nessuno parlava davvero della distruzione del contratto nazionale, dello statuto dei lavoratori, dei diritti del lavoro e, ancor di più, nessuno parlava davvero di una tassazione che colpisca i patrimoni, le grandi ricchezze, la speculazione.
Così questa crisi si è avvitata in un confronto tra due destre. Quella liberale che proponeva qualche piccola penalizzazione per i ricchi in cambio del liberismo selvaggio per tutti e quella populista che invece preferiva scaricare tutto sugli enti locali e sui dipendenti pubblici. Alla fine ne è venuta fuori una salsa mefitica, di cui una sola cosa è chiara: il 98 per cento di tutti i costi della crisi sono pagati dal mondo del lavoro. La Cgil di fronte a questo ha scelto di fare uno sciopero vero in tempi rapidi per farsi sentire sul serio.
E' un segnale importante che deve essere raccolto. Tuttavia è chiaro che questa scelta pratica è in totale contraddizione con i balletti, i documenti, gli incontri del consorzio delle parti sociali. Già la parola parti sociali è un'insopportabile retaggio democristiano. Non ci sono le parti sociali; ci sono i ricchi e i poveri, i padroni e i lavoratori, gli speculatori finanziari e le vittime della crisi. Non sono tutti nella stessa barca. Ora lo sciopero ristabilisce un minimo di senso della realtà in un momento drammatico ma è chiaro che a questa svolta nei comportamenti deve corrispondere un'analoga svolta sul piano della strategia. Mai più, neanche ai tavoli del caffè, la Cgil dovrà affidare alla signora Emma Marcegaglia o a chi per essa il ruolo di portavoce.
L'accordo del 28 giugno, che il governo ha trasformato in un decreto liberticida deve essere disconosciuto dalla Cgil che deve ritirare la propria firma. Occorre che la crisi la paghino davvero i ricchi e la finanza e occorrono misure immediate a favore del lavoro. Per questo non si può pensare che Monti e Draghi siano un'alternativa a Berlusconi. Essi sono semplicemente l'espressione di un liberismo radicale, tanto più coerente di quello di Berlusconi, quanto più pericoloso. Non si tratta più di inseguire parti sociali o accordi unitari con Cisl e Uil che ancora una volta hanno mostrato di essere dall'altra parte. Bisogna invece organizzare una vera e forte opposizione sociale in grado di mettere in crisi la manovra e per questa via far cadere da sinistra questo governo.
Questo sciopero è dunque un primo segnale di una svolta. Adesso sta a noi fare in modo che le cose cambino davvero. Bisogna in primo luogo che la giornata di lotta sia di quelle che si ricordano. Bisogna fermare il Paese per fermare la manovra e poi si deve partire da qui per dire definitivamente basta con le politiche di concertazione e complicità che ci hanno condotto a questo disastro.
La manovra economica unisce le rappresaglie contro il lavoro di un governo che oramai ha concluso la sua storia politica, con il disegno dei poteri forti dell'economia, in Italia e in Europa, di uscire dalla crisi con una radicalizzazione a destra del sistema economico sociale. E' inutile nasconderlo o far finta che non sia così. In queste settimane abbiamo assistito a un confronto surreale ove l'opposizione sembrava volere prima di tutto il taglio delle pensioni mentre la maggioranza invece preferiva l'aumento delle tasse per gli stipendi più alti. Nessuno parlava davvero della distruzione del contratto nazionale, dello statuto dei lavoratori, dei diritti del lavoro e, ancor di più, nessuno parlava davvero di una tassazione che colpisca i patrimoni, le grandi ricchezze, la speculazione.
Così questa crisi si è avvitata in un confronto tra due destre. Quella liberale che proponeva qualche piccola penalizzazione per i ricchi in cambio del liberismo selvaggio per tutti e quella populista che invece preferiva scaricare tutto sugli enti locali e sui dipendenti pubblici. Alla fine ne è venuta fuori una salsa mefitica, di cui una sola cosa è chiara: il 98 per cento di tutti i costi della crisi sono pagati dal mondo del lavoro. La Cgil di fronte a questo ha scelto di fare uno sciopero vero in tempi rapidi per farsi sentire sul serio.
E' un segnale importante che deve essere raccolto. Tuttavia è chiaro che questa scelta pratica è in totale contraddizione con i balletti, i documenti, gli incontri del consorzio delle parti sociali. Già la parola parti sociali è un'insopportabile retaggio democristiano. Non ci sono le parti sociali; ci sono i ricchi e i poveri, i padroni e i lavoratori, gli speculatori finanziari e le vittime della crisi. Non sono tutti nella stessa barca. Ora lo sciopero ristabilisce un minimo di senso della realtà in un momento drammatico ma è chiaro che a questa svolta nei comportamenti deve corrispondere un'analoga svolta sul piano della strategia. Mai più, neanche ai tavoli del caffè, la Cgil dovrà affidare alla signora Emma Marcegaglia o a chi per essa il ruolo di portavoce.
L'accordo del 28 giugno, che il governo ha trasformato in un decreto liberticida deve essere disconosciuto dalla Cgil che deve ritirare la propria firma. Occorre che la crisi la paghino davvero i ricchi e la finanza e occorrono misure immediate a favore del lavoro. Per questo non si può pensare che Monti e Draghi siano un'alternativa a Berlusconi. Essi sono semplicemente l'espressione di un liberismo radicale, tanto più coerente di quello di Berlusconi, quanto più pericoloso. Non si tratta più di inseguire parti sociali o accordi unitari con Cisl e Uil che ancora una volta hanno mostrato di essere dall'altra parte. Bisogna invece organizzare una vera e forte opposizione sociale in grado di mettere in crisi la manovra e per questa via far cadere da sinistra questo governo.
Questo sciopero è dunque un primo segnale di una svolta. Adesso sta a noi fare in modo che le cose cambino davvero. Bisogna in primo luogo che la giornata di lotta sia di quelle che si ricordano. Bisogna fermare il Paese per fermare la manovra e poi si deve partire da qui per dire definitivamente basta con le politiche di concertazione e complicità che ci hanno condotto a questo disastro.
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