È apprezzabile che in tempi di crisi i grandi finanzieri chiedano di pagare più tasse, negli Usa come in Italia. E infatti ieri molti quotidiani, a sinistra, hanno apprezzato. Non solo il quotidiano comunista Liberazione, che sotto l’ironico titolo «Accontentiamoli» metteva in prima pagina volti e dichiarazioni del magnate americano Warren Buffett, di Luca Cordero di Montezemolo e di Carlo De Benedetti. Ma anche Repubblica, dove Gad Lerner elogiava quei capitalisti «illuminati» che dicono quello che nessun leader della sinistra si sogna più di proporre (titolo: «Se Warren Buffett dà lezione alla sinistra»).
Del resto, sempre su Repubblica, lo stesso Montezemolo precisava in una lunga intervista: «Con tutto il rispetto per Buffett, sulla mia proposta di un’imposta una tantum sui grandi patrimoni, dai cinque ai dieci milioni l’anno, ho sentito un silenzio assordante». Con tutto il rispetto per Montezemolo, il giusto apprezzamento per simili dichiarazioni non dovrebbe impedire di distinguere nel merito le proposte di ciascuno, che restano ben diverse. Buffett, per esempio, dice una cosa precisa: come uomo della finanza, sul suo mega imponibile, paga il 17 per cento di tasse, mentre i suoi dipendenti pagano fino al 41.
Un concetto piuttosto diverso, come si vede, da quello dell’imposta «una tantum» di Montezemolo. Peraltro, l’argomento con cui il Partito democratico ha respinto finora le proposte del governo su contributi di solidarietà e altre misure una tantum di cui si è parlato, comprese diverse versioni della famosa patrimoniale sposata anche da Lerner, è proprio questo: che sono, appunto, «una tantum», mentre quello che serve è un intervento strutturale. Il problema, già mille volte sollevato da pressoché tutti gli esponenti della sinistra italiana, europea e mondiale, è quello del riequilibrio tra tassazione delle rendite finanziarie (scandalosamente bassa) e tassazione del lavoro (scandalosamente alta).
Per dirla con le parole usate dall’“Oracolo di Omaha” sul New York Times, il problema è semplice: «Se fai soldi con i soldi, come alcuni dei miei amici super-ricchi, la tua aliquota potrebbe essere di poco inferiore alla mia. Ma se i soldi li guadagni col lavoro, la tua aliquota sarà sicuramente più alta della mia, e molto probabilmente di un bel po’». C’è poi un altro aspetto della questione, non meno importante del merito, che riguarda il contesto in cui le proposte si inseriscono. Buffett, non a caso, è un sostenitore di Obama, e nel chiedere che i «super-ricchi» siano tassati di più, com’è logico, usa gli argomenti utilizzati in tutto il mondo dai sostenitori di questa tesi. Mica lo fa con gli argomenti del Tea party e dell’estrema destra repubblicana, che vogliono meno Stato e meno spesa pubblica, e denunciano persino la moderatissima riforma sanitaria di Obama come «socialista».
Non si può dire lo stesso di Montezemolo, che si scaglia contro «l’invadenza dello Stato nell’economia» e contro il «neostatalismo municipale». Non si tratta di fare i difficili. Ma se in Italia il premio per il generoso sacrificio «una tantum» di Montezemolo è la privatizzazione di tutto quel che resta di pubblico, dall’acqua alla Rai, magari accompagnata da un paio di liberalizzazioni sul modello di quella dei treni, ci chiediamo se non sarebbe meglio frenarne l’ardore patriottico, e risparmiargli il sacrificio. Nei grandi paesi democratici, con le Borse che sprofondano, ci si interroga su come evitare il rischio che il primo emiro di passaggio possa acquistare banche e industrie a prezzi di saldo. In Italia si discute di come metterli in vendita al più presto. Ben vengano comunque le proposte di tutti, maghi della finanza compresi. Ma non confondiamo questioni serie, come quella posta da Buffett, con prelievi una tantum che rappresentano, nella migliore delle ipotesi, un buffetto.
Del resto, sempre su Repubblica, lo stesso Montezemolo precisava in una lunga intervista: «Con tutto il rispetto per Buffett, sulla mia proposta di un’imposta una tantum sui grandi patrimoni, dai cinque ai dieci milioni l’anno, ho sentito un silenzio assordante». Con tutto il rispetto per Montezemolo, il giusto apprezzamento per simili dichiarazioni non dovrebbe impedire di distinguere nel merito le proposte di ciascuno, che restano ben diverse. Buffett, per esempio, dice una cosa precisa: come uomo della finanza, sul suo mega imponibile, paga il 17 per cento di tasse, mentre i suoi dipendenti pagano fino al 41.
Un concetto piuttosto diverso, come si vede, da quello dell’imposta «una tantum» di Montezemolo. Peraltro, l’argomento con cui il Partito democratico ha respinto finora le proposte del governo su contributi di solidarietà e altre misure una tantum di cui si è parlato, comprese diverse versioni della famosa patrimoniale sposata anche da Lerner, è proprio questo: che sono, appunto, «una tantum», mentre quello che serve è un intervento strutturale. Il problema, già mille volte sollevato da pressoché tutti gli esponenti della sinistra italiana, europea e mondiale, è quello del riequilibrio tra tassazione delle rendite finanziarie (scandalosamente bassa) e tassazione del lavoro (scandalosamente alta).
Per dirla con le parole usate dall’“Oracolo di Omaha” sul New York Times, il problema è semplice: «Se fai soldi con i soldi, come alcuni dei miei amici super-ricchi, la tua aliquota potrebbe essere di poco inferiore alla mia. Ma se i soldi li guadagni col lavoro, la tua aliquota sarà sicuramente più alta della mia, e molto probabilmente di un bel po’». C’è poi un altro aspetto della questione, non meno importante del merito, che riguarda il contesto in cui le proposte si inseriscono. Buffett, non a caso, è un sostenitore di Obama, e nel chiedere che i «super-ricchi» siano tassati di più, com’è logico, usa gli argomenti utilizzati in tutto il mondo dai sostenitori di questa tesi. Mica lo fa con gli argomenti del Tea party e dell’estrema destra repubblicana, che vogliono meno Stato e meno spesa pubblica, e denunciano persino la moderatissima riforma sanitaria di Obama come «socialista».
Non si può dire lo stesso di Montezemolo, che si scaglia contro «l’invadenza dello Stato nell’economia» e contro il «neostatalismo municipale». Non si tratta di fare i difficili. Ma se in Italia il premio per il generoso sacrificio «una tantum» di Montezemolo è la privatizzazione di tutto quel che resta di pubblico, dall’acqua alla Rai, magari accompagnata da un paio di liberalizzazioni sul modello di quella dei treni, ci chiediamo se non sarebbe meglio frenarne l’ardore patriottico, e risparmiargli il sacrificio. Nei grandi paesi democratici, con le Borse che sprofondano, ci si interroga su come evitare il rischio che il primo emiro di passaggio possa acquistare banche e industrie a prezzi di saldo. In Italia si discute di come metterli in vendita al più presto. Ben vengano comunque le proposte di tutti, maghi della finanza compresi. Ma non confondiamo questioni serie, come quella posta da Buffett, con prelievi una tantum che rappresentano, nella migliore delle ipotesi, un buffetto.
Francesco Cundari, L'Unità
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