mercoledì 31 agosto 2011

Cantiere manovra, Confindustria scalpita. Ma domani è settembre!

di redazione contropiano,

da www.contropiano.org

Non c'è un solo soggetto economico o sociale che condivida per intero la manovra uscita fuori dal "vertice di Arcore". Ma nemmeno la versione precedente.

Ne segue necessariamente che ci sarà un "assalto alla diligenza" portato da dentro e da fuori la maggioranza, per riscriverne parti consistenti. Un passaggio che "rischia" - dal punto di vista puramente contabile, che però è l'unico che interessa davvero "i mercati" e l'arcigna Unione Europea - di far saltare i "saldi finali". Un governo di pasticcioni e incapaci, oltre che disonesti, è in effetti quanto di peggio possa capitare a un paese nel pieno di una crisi globale. I pericoli si moltiplicano, il volto degli avversari di fa sfuggente, il "che fare" pieno di zone d'ombra.

Per chi si muove nella logica che per prima cosa il debito va pagato non c'è spazio per "alternative". O si aggredisce in maniera "strutturale" la dinamica della creazione del debito - e inevitabilmente ne fanno le spese le voci più consistenti del bilancio dello stato: pensioni, istruzione, sanità, aministrazione pubblica - oppure tutte le soluzioni tese a trovare una cifra purchessia si riveleranno inutili. Anche a brevissimo tempo. E' vero infatti che "i mercati" hanno analisti preparati che ci mettono un attimo a passare ai raggi X una manovra e deciderne l'irrilevanza rispetto all'abbattimento "strutturale" del debito pubblico. Gli effetti su titoli di stato, qundi sulle possibilità di rifinanziamento del debito a scadenza (ci sono 130 miliardi di titoli da rinnovare da qui al 31 dicembre, 250 miliardi l'anno prossimo; senza contare il fabbisogno ordinario e l'emissione di titoli a sei mesi, come i Bot), sono certi e dramatici. E' la spirale greca, in cui l'impossibilità di trovare denaro fresco in prestito sul mercato costringe a chiederli alle istituzioni sovranazionali, che impogono uno scambio con le "riforme" liberiste che si traducono dell'eliminazione - e perfino la delegittimazione - del "modello sociale europeo".

I soggetti fautori di questa soluzione, paradossalmente, stanno fuori dal governo. Che è ormai palesemente ridotto a lobby gestionale di interessi socialmente limitati (immobiliaristi, appaltisti delle opere pubbliche, amministratori pubblici, rentier di molti tipi e di molti rivoli, evasori fiscali totali e parziali, mafie, intermediatori, ecc).

E' questo ingorgo della rappresentanza a rendere ogni passaggio farraginoso e incomprenbile ai più. Le misure del governo mazzolano lavoratori, pensionati, precari, studenti e docenti, utenti dei sevizi pubblici in generale; ma sembrano persino poca cosa rispetto alle "riforme strutturali" che gli aspiranti subentranti (il "terzo polo" e il Pd, sul piano politico, Confindustria, Banca d'Italia, ecc, su quello economico-tecnico) mettono ormai allo scoperto come proprio programma operativo.

Non c'è la dimensione sociale, per ora. Cisl e Uil hanno appeso il proprio destino a Sacconi e Berlusconi, ma possono sempre cambiare schieramento (lo stanno già segnalando, con la minacciata "mobilitazione" sulle pensioni di anzianità o il pubblico impiego; la Cgil fa un'opposizione morbida e tardiva, in attesa del cambio di governo cui si prostrerebbe immediatamente, silenziando ogni voce di dissenso interna e congelando ogni altra mobilitazione). Il sindacalismo conflittuale è la speranza, ma i suoi numeri, la sua presa di massa, al momento di scrivere, sono ancora molto insufficienti. Ma settembre è domani.

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