Era partita benino, ieri, la Borsa di Milano. Niente di trascendentale, ma neanche malaccio. I mercati, un po’ per celia un po’ per non morir, si erano bevuti persino la promessa del Cainano sul “pareggio di bilancio entro il 2013”. Poi, d’improvviso, s’è sparsa la voce che aveva parlato Brunetta. E non c’è stato più nulla da fare: perdite a rotta di collo. Intendiamoci, nessuno è andato a leggere ciò che aveva effettivamente detto Brunetta, intervistato dal prestigioso Sallusti sull’autorevole Giornale. È bastato sapere che aveva detto qualcosa. Il fatto stesso che avesse esternato ha riportato alla memoria una circostanza che i mercati, più per disperazione che per convinzione, avevano rimosso: tra i ministri che dovrebbero garantire il pareggio di bilancio, c’è anche Brunetta. Di botto Piazza Affari s’è trasformata in una selva di mani aperte che battevano sulle rispettive fronti: oddio, Brunetta! Di qui il nuovo precipizio. Se poi gli operatori avessero avuto la forza di leggersi il testo dell’intervista, sarebbe andata pure peggio. Avrebbero appreso, infatti, che il mini-stro “ha una ricetta” e, per soprammercato, “preme sull’acceleratore” (quello manuale, si capisce). Idee nuove? Discontinuità? Macché: “Dobbiamo solo completare l’opera stando esattamente nel solco tracciato dal presidente Berlusconi”. Cioè continueranno a fare esattamente quel che han sempre fatto: debiti. Negli anni ‘80, mentre il debito pubblico schizzava dal 60 al 120% del pil, Brunetta era uno dei consiglieri più ascoltati di Craxi e De Michelis, assieme a Sacconi e Tremonti. Intanto B., con la Fininvest, accumulava 4.500 miliardi di lire di debiti e nel ’94 dovette scegliere fra due alternative: portare i libri in tribunale o entrare in politica. Entrò in politica, così da allora i debiti glieli paghiamo noi. E ora che i nodi vengono al pettine, di chi è la colpa? Della “sinistra”, ormai da tempo estinta nel mondo reale, ma non in quello fiabesco di Renatino il Breve: il commissariamento del governo italiano è una “balla della sinistra” e “la crisi economica ha messo a nudo le ipocrisie della sinistra”. Purtroppo per lui, la terribile “sinistra” negli ultimi 10 anni ha governato meno di 2. E la destra 8. Ma lui non si lascia impressionare dall’aritmetica, lui è oltre: “Le ricette che tutti invocano per non soccombere noi le avevamo già scritte. Alcune sono solo rimaste imbrigliate nei riti della politica e nell’antiberlusconismo militante”. E ora – annuncia il mini-stro a un Sallusti scettico persino lui – il governo farà “in tre mesi” ciò che non ha fatto in 17 anni: “Il tempo dei rinvii è finito”, dunque sotto con “riforma fiscale e assistenziale”. Costi della politica? “Fatto”: per “allineare i costi italiani a quelli europei” bastano “tre settimane, ma stando larghi”. Così “da settembre a dicembre si può incardinare quasi tutto. Nel 2012 vediamo i risultati, nel 2013 raggiungiamo il pareggio e rivinciamo le elezioni”. Ma stando larghi. Che ci vuole? Di che si preoccupano quei cacadubbi di Trichet, Merkel e Sarkozy? C’è Brunetta, quello che sfiorò più volte il Nobel per l’Economia (l’ha detto lui), quello che negli anni ‘80 scavava il buco nel bilancio dello Stato e ora si candida a riempirlo, ovviamente a spese dei precari, pensionati, lavoratori, disoccupati. I soliti. Fortuna che il Giornale non è compreso nelle mazzette della Bce e dei governi europei. Dunque ci sono buone speranze che nessuno si sia ancora accorto che Brunetta è ministro. Già è un casino convincerli a fidarsi di B. e Tremonti, figurarsi di lui. Ora però, prima che torni a esternare, è forse il caso di fare qualcosa. Si potrebbe avvertire Francoforte, Berlino e Parigi che si tratta di un simpatico burlone che gioca a fare il ministro. O informarli che, quando parla di “mercati”, intende quelli delle gondole a Venezia. O raccontare che è caduto dal marciapiede. O murarlo vivo in una scatola di fiammiferi. Ma stando larghi.
Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano
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