mercoledì 10 luglio 2013

Non moriremo per l'euro di Andrea Ricci, Contropiano.org


Dietro gli inni di "vittoria" lanciati da Letta per la fine della procedura di infrazione Ue, si avvicina il precipizio della manovra finanziaria d’autunno.



Dopo l’ultima riunione del Consiglio Europeo, il Presidente del Consiglio Gianni Letta ha cantato vittoria e lanciato messaggi di grande ottimismo sul futuro dell’economia e delle finanze pubbliche italiane. Purtroppo, si tratta soltanto di una pura operazione propagandistica tesa a guadagnare qualche settimana di relativa tranquillità prima della bufera.

Alla vigilia delle ferie estive il clima politico è dominato dall’incertezza. La maggioranza delle “larghe intese” sembra turbata dalle vicissitudini giudiziarie di Berlusconi. In realtà, le questioni vere sono ben altre. La mina che sta per esplodere sotto le poltrone del Governo è la manovra finanziaria del prossimo autunno, che allo stato attuale si annuncia imponente e difficilmente realizzabile senza un massacro sociale senza precedenti. Si sta facendo di tutto per nascondere il problema ma basta fare un po’ di conti, avendo in mente il quadro complessivo della situazione macroeconomica, per capire la situazione. Il deterioramento tendenziale del bilancio pubblico, che dovrà essere corretto a settembre con la prossima legge di stabilità, deriva da due fattori, il primo legato all’andamento macroeconomico e il secondo ai vincoli programmatici sulla cui base il Governo Letta si è costituito. Analizziamo con ordine cosa significano questi due vincoli.

1) Il rispetto degli impegni assunti con l’Unione Europea, sanciti dalla legge di stabilità 2013 e ripetutamente confermati dall’attuale ministro dell’Economia Saccomanni, prevede un indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche pari al 2,9% nel 2013 e all’1,8% nel 2014. La declamata flessibilità del bilancio pubblico derivante dall’uscita dell’Italia dalla procedura europea per deficit eccessivo non modifica in nulla questi impegni già assunti. Il problema è che queste cifre derivano da previsioni macroeconomiche che si sono rivelate fallaci perché distorte in senso ottimistico. Esse infatti si basano su una stima dell’andamento del PIL pari ad una flessione dell’1,3% nel 2013 e ad una crescita dell’1,3% nel 2014. La realtà che si sta prospettando è ben diversa. Le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale, formulate in modo benevolente nei confronti dell’attuale Governo, prevedono nel 2013 un calo del PIL dell’1,9% e per il 2014 un incremento di appena lo 0,7%. La prossima legge di stabilità non potrà discostarsi troppo da queste previsioni. In termini di correzione tendenziale del bilancio pubblico ciò comporta la necessità di reperire nuove risorse per 7 miliardi di euro nel 2013 e di 9 miliardi di euro nel 2014. Quindi, soltanto a causa dell’aggravamento della crisi economica, la copertura necessaria per raggiungere gli obiettivi di bilancio ammonta a 16 miliardi di euro.

2) L’accordo programmatico che ha consentito la nascita del Governo Letta prevede due misure di carattere fiscale: l’abolizione dell’IMU sulla prima casa e l’annullamento dell’aumento delle aliquote IVA che doveva scattare dallo scorso 1° luglio. Con due decreti-legge il governo si è finora limitato a posticipare la riscossione di queste tasse, con coperture transitorie. Entro la fine di settembre occorrerà assumere una decisione definitiva su entrambe. Dalle relazioni tecniche, che hanno accompagnato i decreti-legge, si evince che l’abolizione dell’IMU necessita di una copertura di 4,08 milardi di euro l’anno e quella dell’IVA di 2,12 miliardi per sei mesi. Il che vuol dire che prima della fine del 2013 occorre reperire 6,2 miliardi di euro a cui vanno sommati gli 8,22 miliardi per il 2014, per un totale di 14,42 miliardi di euro.

I conti sono presto fatti. Soltanto per il rispetto dei vincoli europei e degli impegni programmatici fondamentali, la prossima legge di stabilità deve prevedere una copertura pari ad oltre 30 miliardi di euro rispetto all’andamento tendenziale dei conti pubblici. A questo bisogna aggiungere come minimo il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga per il 2014 e risorse aggiuntive per il problema degli esodati. Non è difficile prevedere che l’entità della prossima manovra finanziaria si aggirerà intorno ai 35 miliardi di euro, pari a circa il 2,3% del PIL.

Una manovra imponente, la cui quantificazione si basa sull’ipotesi di una situazione di relativa tranquillità sui mercati finanziari, con uno spread tra i titoli di Stato italiani e tedeschi attestato intorno alle attuali cifre di 270 punti. Se invece, come il recente downgrading del rating italiano da parte di Standard & Poor lascia presagire, le cose dovessero peggiorare su questo fronte, la prossima manovra finanziaria arriverebbe a sfiorare addirittura i 40 miliardi di euro, pericolosamente vicina alla stangata storica del Governo Amato del 1992, subito dopo la svalutazione della lira.

In autunno tutti i nodi politici verranno al pettine. Lo scivolamento verso uno scenario greco, fatto di una spirale perversa di tagli alla spesa pubblica/inasprimento fiscale e caduta del PIL, diventerà una tendenza irreversibile anche per l’Italia. Siamo sull’orlo del precipizio. A sinistra ci sarà qualcuno che dirà che non bisogna tagliare la spesa per la sanità, la scuola, l’università, gli enti locali e il resto dello stato sociale ma bisogna combattere l’evasione fiscale, tassare i ricchi, rinunciare alle grandi opere e ai cacciabombardieri. Rivendicazioni giuste e sacrosante. Ma non bastano più. Neanche in questo modo si possono recuperare 35-40 miliardi di euro in pochi mesi, come la mia esperienza diretta in materia di formazione del bilancio pubblico, svolta anche come relatore della legge di bilancio alla Camera dei Deputati, mi dice.

Senza rimettere in discussione i vincoli europei e le modalità di finanziamento del deficit pubblico, oggi costituite solo da emissione di titoli di debito per il mercato privato, non esiste via d’uscita. Le scorciatoie propagandistiche non funzionano più, di fronte al degrado della situazione sociale, alla sofferenza sempre più acuta delle persone in carne ed ossa.

Tutto ciò pone, alla sinistra in primo luogo, la questione dell’appartenenza all’area dell’euro, così come essa è oggi attualmente configurata. Si troverà qualcuno che avrà il coraggio di dire che il bilancio pubblico deve essere costruito sulla base delle esigenze del popolo italiano, dei lavoratori ed anche della gran parte delle imprese italiane, e non sulla base dei diktat dei mercati finanziari internazionali? E se questo vuol dire addio all’euro, ebbene così sia. Sappiate tutti che non moriremo per l’euro.

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